Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: Maggio 2010

Otello di Giuseppe Verdi al Teatro Verdi di Trieste: qualche considerazione iniziale.

Ritorna al Teatro Verdi di Trieste lo straordinario Otello di Giuseppe Verdi. Purtroppo, come tutti i lettori di questo blog sanno benissimo, per l’opera lirica è un momentaccio e quindi la prima, prevista per il 27 maggio, con ogni probabilità salterà per lo sciopero (legittimo a dir poco!) dei lavoratori del teatro (qui le foto di una giornata di protesta).
Proprio nell’ambito delle manifestazioni di protesta contro il famigerato decreto Bondi, la settimana scorsa le prove con i cantanti e l’orchestra sono state rese accessibili al pubblico (qui le foto delle prove)
Prove Otello al Verdi di Trieste 2
Ho fatto qualche foto ma più che altro mi sono assai divertito a vedere il Maestro Nello Santi che dirigeva a memoria, senza partitura quindi, e dava indicazioni all’Orchestra e ai cantanti: uno spettacolo!

Molto interessante anche il lavoro che faceva il regista, Giulio Ciabatti, che ogni tanto saliva sul palcoscenico per rifinire il lavoro sui cantanti.
Quest’opera è sostanzialmente ineseguibile: intendo dire che sono anni che non si sente un Otello di livello molto buono, non che l’opera non si esegua. Il problema è il tenore, che ha una parte di rara difficoltà.
Degli altri personaggi principali, Jago e Desdemona, abbiamo potuto apprezzare anche recentemente buone interpretazioni.
Prove Otello al Verdi di Trieste 1
Potrei sbilanciarmi in qualche osservazioni dopo aver visto e sentito le prove, ma appunto perché prove sono, mi pare di poter evitare e rimandare ogni valutazione tecnica a quando assisterò allo spettacolo.
A questo punto è interessante leggere cosa scriveva sulla vocalità di Otello Victor Maurel, creatore del ruolo di Jago nel 1887: il baritono francese oltre a essere stato un cantante di fama straordinaria, era anche uno studioso della vocalità e del teatro.Prove Otello al Verdi di Trieste
 
“L’ideale della potenza vocale di cui il personaggio necessita è stato dato dal creatore del ruolo, Sig. Francesco Tamagno, con un’intensità stupefacente, ma ci sembra pericoloso permettere che in tutti i futuri interpreti di Otello si formi l’idea che questa straordinaria potenza vocale sia una condizione sine qua non per una buona interpretazione.
Quei tenori che hanno l’ambizione d’interpretare Otello non si lascino intimidire dai racconti, del resto reali, a proposito dello strumento unico che il creatore del ruolo possiede. Devono convincersi di questa importante osservazione: dopo dieci minuti un pubblico si è abituato a qualunque tonalità per quanto potente possa essere, ciò che lo stupisce e lo conquista sempre è l’esattezza, l’energia e la varietà degli accenti.”
 
 
È uno scritto chiaro, che ogni artista che ha in progetto d’interpretare questo ruolo dovrebbe imparare a memoria.

 
La gestazione dell’Otello fu piuttosto lunga.
Giuseppe Verdi e Arrigo Boito lavorarono a stretto contatto, anche con qualche incomprensione.
Giulio Ricordi spesso fece da tramite e pungolo tra i due artisti.
Queste tre eminenti personalità della cultura della fine dell’ottocento, quando si riferivano al lavoro tratto dal dramma di Shakespeare, adoperavano una specie di codice:
 
“Dirai a Giulio che sto fabbricando il cioccolatte…”
 
Che non è carino comunque, ma erano altri tempi ed è sempre meglio di abbronzato, secondo me. (smile)
 
Giuseppina Strepponi esercitava il suo dovere di pompiere nei rapporti abbastanza tesi tra Verdi e Boito, anche inventandosi metafore ardite (smile):
 
“Lasciamo che la corrente se ne vada diretta per la sua via al mare. È negli ampi spazi che certi uomini sono destinati ad incontrarsi ed intendersi”
Prove Otello al Verdi di Trieste 3
 
 
 
 
Due parole su Jago, che è personaggio fondamentale sia nell’opera verdiana sia nel dramma teatrale originale di Shakespeare. Anche il librettista Arrigo Boito aveva le idee chiare sulla connotazione psicologica di Jago.
Aggiungo che l’opera, per lungo tempo, ha rischiato d’intitolarsi Jago e non Otello.
Allora, forse vale la pena conoscere, almeno in sintesi, le opinioni di questi illustri personaggi.
Cominciamo da Boito.
 
“Jago è l’invidia. Jago è uno scellerato. Jago è un critico. Nella lista dei Personaggi lo caratterizza così: Jago è uno scellerato, e non aggiunge una parola di più. Jago sulla piazza di Cipro si definisce così: I am nothing if not critical. Fa il male per il male.
Il più grossolano errore, l’errore più volgare nel quale possa incorrere un artista che s’attenta d’interpretare codesto personaggio è di rappresentarlo come una specie di uomo demone! È di mettergli in faccia il ghigno mefistofelico, è di fargli fare gli occhiacci satanici.
Ogni parola di Jago è da uomo, da uomo scellerato, ma da uomo.
Cinzio Giraldi, l’autore della novella da dove Shakespeare trasse il suo capolavoro, dice di Jago: un alfiero di bellissima presenza, ma della più scellerata natura che mai fosse uomo del mondo.
Spigliato e gioviale con cassio; con Roderigo, ironico; con Otello apparisce bonario, riguardoso, devotamente sommesso; con Emilia (la moglie, specifica Amfortas) brutale e minaccioso; ossequioso con Desdemona e con Lodovico.
 
Parafrasando Dave Letterman, che non perde l’occasione per autoflagellarsi , dico anch’io: “ E’come avere un gemello!” (strasmile)
 
Ecco che ne pensava Verdi, di questo piccolo Amfortas.
 
“Ma se io fossi attore ed avessi a rappresentare Jago, io vorrei avere una figura piuttosto magra e lunga, labbra sottili occhi piccoli vicino al naso come le scimmie, la fronte alta che scappa indietro, e la testa sviluppata di dietro; il fare distratto, nonchalant, indifferente a tutto, incredulo, frizzante il bene e il male con leggerezza come avendo l’aria di pensare a tutt’altro di quel che dice”
 
Cioè, sono proprio io eh?
 
Un contributo decisivo lo diede anche un pittore, Domenico Morelli che disse a Verdi d’aver trovato “un prete che pare proprio lui”.
Verdi, che non vedeva precisamente con favore i preti, rispose:

“Bene, benone, benissimo, benissimissimo! Jago con la faccia da galantuomo! Hai colpito! Oh lo sapevo bene, ne era sicuro. Mi par di vederlo questo prete, cioè questo Jago con la faccia da uomo giusto!"

 
Nei prossimi giorni, se ho tempo, scriverò qualcosa sul duetto tra Jago e Otello che chiude il secondo atto.
Abbiate fiducia e buona settimana a tutti.
 
 
 

Un abbraccio per pochi intimi al Teatro Verdi di Trieste: soli, perduti e abbandonati?

Che m'aspettavo? Beh, una partecipazione maggiore, questo è poco ma sicuro! Dopotutto anche il quotidiano locale ne aveva parlato, ieri mattina, perciò sono sceso in città con un certo anticipo perché pensavo che sarei stato in abbondante compagnia.
Protagonisti

Non è stato così, ma peraltro a chi interessano questi argomenti? Se ne parlava proprio con il Maestro Fabrizio Ficiur e altri dipendenti del Teatro: solo chi è coinvolto, come appassionato o perché direttamente toccato dal Decreto Bondi, capisce i rischi della situazione che si è creata. Gli altri, evidentemente, abbracciano altre cause (se ne fregano, questa è la triste verità). O peggio, come ha fatto anche il nostro Sindaco, sparano cazzate a nastro, sulle quali sorvolo per decenza.
E così, mentre si raccolgono firmeFirme

Si espongono striscioni:
Striscioni 2

Si ricorda che il Teatro Verdi esiste dal 1801:
 

1801

Si suona sotto il portico del teatro:Gente seria

E così, dicevo, si manifesta per…quattro cani per strada, così sconsolati che alla fine non si sono neanche abbracciati.
Se in altre città è andata meglio, fatemelo sapere.
Qui tutte le foto, ma forse ne pubblicherò altre.

Ancora un’iniziativa per salvaguardare i nostri Teatri Lirici.

normal_abbraccio

Costituzione Italiana, articolo N° 9, comma 1.

http://www.firmiamo.it/flash/180150black.swf Continuano le proteste nei teatri italiani, con modalità varie.
Questa foto è stata scattata ieri sera dopo la Carmen al Teatro Comunale di Bologna.carmen~1

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Firmate anche voi qui!

I veri risultati del XXIX Premio Abbiati.

Dopo il divertissement (mah…) del post precedente e mentre proseguono in tutti i teatri italiani le manifestazioni contro il decreto Bondi sui tagli alle fondazioni liriche, manifestazioni per le quali i lavoratori dei teatri hanno il mio appoggio incondizionato, è giunto il momento di commentare con due parole il risultato del Premio Abbiati.

Questi i risultati in sintesi.
 
SPETTACOLO.Götterdämmerung di Richard Wagner (Venezia, Teatro la Fenice: direttore Jeffrey Tate, regia Robert Carsen, scene Patrick Kinmoth, luci Manfred Voss). 
Qui sotto una bellissima immagine dello spettacolo che vidi alla Fenice e di cui ho parlato qui.
Brünnhilde1  

NOVITÀ ASSOLUTA. Gramignaper cimbalom e ensemble di Stefano Gervasoni (I esecuzione: Venezia, Biennale Musica, 28 settembre 2009: Ensemble Spectra, diretto da Filip Rathé; Luigi Gaggero cimbalom).

DIRETTORE.Seiji Ozawa (Piccola volpe astuta di Leóš Janáček, Firenze, Maggio Musicale).

REGIA, SCENE, COSTUMI. The Rake’s Progressdi Stravinskij (Milano, Teatro alla Scala: regia di Robert Lepage, scene di Carl Fillion, costumi di François Barbeau).

SOLISTA. Francesco D’Orazio. Violinista.
CANTANTI. Sara Mingardo. Contralto. 


     
Jonas Kaufmann. Tenore. (qui la mia recensione del suo ultimo cd)

INIZIATIVA.“Bianco, Rosso e Verdi” realizzato da Francesco Micheli per il Teatro Massimo di Palermo.
A questo premio sono affezionato in modo particolare, come ben sa una mia lettrice e amica di Palermo (smile).
Però è giusto sottolineare come tutte le iniziative in favore dei giovani siano a dir poco meritevoli!

PREMIO SPECIALE. All’Associazione culturale La “Cappella Musicale” di Santa Maria della Passione a Milano (direttori artistici-organisti Edoardo Bellotti e Maurizio Salerno).

PREMIO “FILIPPO SIEBANECK”.  “Imparolopera”– Teatro Regio di Parma.

In generale sono abbastanza soddisfatto dell'esito delle votazioni, anche se io ho votato in alcuni casi in modo diverso.
I premi saranno consegnati il 9 giugno al Teatro Donizetti di Bergamo.
Un saluto a tutti!
 

In anteprima i vincitori del Premio Abbiati 2010.

Come molti sapranno, il Premio Abbiati, dal nome di Franco Abbiati, critico musicale del Corriere della Sera per decenni,  è il riconoscimento che l’Associazione Nazionale Critici Musicali (by the way, ci sono anch’io) assegna ai protagonisti della lirica nei teatri italiani che si sono distinti durante l’anno precedente.
Di solito la discussione per l’assegnazione dei premi, che come vedrete sono divisi per categorie, è molto accesa. Quest’anno, sorprendentemente, c’è stata una quasi totale unanimità di giudizi e quindi poche polemiche sanguinose.
Ecco di seguito i vincitori.

 
 
MIGLIORE SPETTACOLO: Renato Brunetta, per questa interpretazione di un'aria di furore e pazzia insieme.

NOVITA' ASSOLUTA PER L'ITALIA: Sandro Bondi, per l’innovativa creazione di un decreto che contemporaneamente mortifica i lavoratori e gli artisti dei teatri italiani e preclude ogni futuro ai giovani dei conservatori.

DIRETTORE D’ORCHESTRA: Giulio Tremonti

REGISTA: Silvio Berlusconi

CANTANTI: Daniele Capezzone,

per la sua straordinaria interpretazione del pupazzo del ventriloquo Sandro Bondi nell’opera contemporanea “ Il Cecchino, ossia il servo del padrone” di Vecchio Bassista Balconesi.

SOLISTA O COMPLESSO DA CAMERA: Silvio Berlusconi, nella doppia veste di solista, di complesso e qualche volta anche della camera.

INIZIATIVA MUSICALE: Sandro Bondi, perché ha dimostrato cosa significa davvero essere suonati.

SEGNALAZIONI PER UN PREMIO SPECIALE: al sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna, Marco Tutino, che ha mandato la Digos a scacciare i lavoratori che occupavano gli uffici della sovrintendenza.

INIZIATIVA DIDATTICA: a “Il Giornale”, per questo articolo, in cui si dimostra con chiarezza cosa significhi fare disinformazione e cercare di approfittare delle difficoltà economiche dei lavoratori per dividerli.
 
Buon fine settimana a tutti.
 

Recensione semiseria del Werther di Jules Massenet al Teatro Regio di Parma.

Update del tutto fuori tema, ma non ho tempo per scrivere nulla.
Il grandissimo mezzosoprano Giulietta Simionato ci ha lasciati a pochi metri dal traguardo dei 100 anni.
Per tutti noi melomani è una perdita irreparabile.

Non ho molto da dire sulla situazione di scontro che si è creata tra Governo e Sindacati dopo il decreto sulle fondazioni liriche, se non che io sono dalla parte dei lavoratori teatrali e che, lo scrivo per chi di lirica sa poco o nulla, questa non è una riforma, ma sono solo tagli indiscriminati e basta.

Spartito Werther

Una volta chiarito questo punto, riferisco della mia trasferta mordi e fuggi al Regio di Parma, in occasione dell’ultima recita del Werther di Jules Massenet, domenica 2 maggio.
Intanto un piccolo appunto polemico, perché non è la prima volta che mi capita di non riuscire a vedere bene lo spettacolo,  pur acquistando biglietti di costo rilevante (palco laterale, prima fila, tanto per capirci) perché il regista si dimentica che esistono in teatro vari ordini di posti e che l’allestimento dovrebbe tenere conto anche della visibilità in sala. Voglio dire, tutto ciò che è successo da metà palcoscenico verso lo sfondo, per me non è esistito.
C’è da considerare che Marco Carniti ha messo su uno spettacolo brutto e spesso anche incongruente, con qualche spruzzatina di comicità involontaria (penso a Werther sostanzialmente morto che si rialza come Lazzaro e cammina, appunto, verso lo sfondo). Non è stata una gran perdita, quindi, perché ciò che ho visto non mi è piaciuto per niente.
Molto modesta la scenografia di Alessandro Chiti, scena fissa e fondale mobile che ogni tanto si apriva per lasciar intravedere un albero (?), un muretto, uno spazio aperto.
Parliamo dell’uso delle luci? La povera Sonia Ganassi, ad un certo punto, illuminata di rosso e spot bianchi, sembrava avesse una forma severa di psoriasi (strasmile). Mah. Certo, il blu ogni tanto rendeva l’atmosfera tetra, crepuscolare, ma non me la sentirei di affermare che il light design di Paolo Ferrari fosse memorabile, così come i costumi di Giusi Giustino erano improntati a una banalità da bancarella di fiera di strapaese.
Molto meglio, per fortuna, sono andate le cose dal punto di vista musicale, a cominciare dalla concertazione magnifica (come potete vedere dalla foto della partitura, ha frequentato quest'opera spesso, smile) di Michel Plasson, che sin dalla prima nota del Preludio mi ha coinvolto in quella che resta, a mio parere, un’estenuante e sofferta, lunghissima, marcia funebre.
Toni cupi, prodromi di una vicenda davvero straziante soprattutto dal punto di vista intellettuale, perché non tutte le morti sono uguali neanche nel melodramma. L’Orchestra del Regio di Parma ha risposto bene, trovando una morbida compattezza di suono nei momenti più drammatici e squarci luminosi ma trattenuti anche nelle aperture melodiche. Un plauso particolare agli archi, davvero eccellenti. Bene ha fatto anche il Coro di Voci Bianche, istruito da Sebastiano Rolli, che ha evitato ogni impertinenza dei ragazzi.
Werther Applausi Francesco Meli-Sonia Ganassi
Il motivo principale d’interesse di questo Werther era il debutto di Francesco Meli e mi fa piacere dedicargli un po’ di spazio.
 Il giovane artista ha superato la prova con notevole disinvoltura, nonostante sia evidente che debba ancora maturare una parte così complessa e psicologicamente sfaccettata.
Però, ragazzi, che bella voce di tenore (ma si sapeva) e che progressi ha fatto questo artista negli ultimi due anni, specialmente in quella famigerata zona che si chiama “passaggio”, in cui in passato si era trovato spesso in difficoltà. Ora la voce sale uniforme e senza scosse agli acuti e non si sbianca né assottiglia, ma resta anzi sonora e ben proiettata.
Werther Parma Francesco Meli e Sonia Ganassi 1
Il tenore è sembrato cauto all’inizio (O nature) ma poi la prestazione è andata in crescendo nei tre atti successivi, affrontati con una maturità e sicurezza vocale rilevanti: nei duetti con Charlotte, nella famosa lettura dei versi di Ossian (Pourquoi me réveiller) e nel drammatico finale del quarto atto.
Certo in scena era un po’ impalato, ma al di là del fatto che Werther è un personaggio statico dal punto di vista scenico, mentre, in un certo senso, è ipercinetico dal lato psicologico, si dovrebbe sapere anche quanto hanno influito le indicazioni del regista.
Belle le mezzevoci e misurati anche i tanto vituperati falsetti, dei quali però non ha abusato e che comunque sono usciti puliti e sonori. Bravissimo.
Di rilievo anche la prestazione di Sonia Ganassi nella parte di Charlotte, anche se io speravo che sfoderasse accenti più drammatici nella “scena delle lettere” che è stata ben cantata ma carente di quel pathos che la caratterizza. Il mezzosoprano però è un’artista musicalissima, sa stare in scena, recita con gusto e tratteggia una Charlotte che alla fine convince, anche perché nel finale ritrova accenti accorati e davvero commoventi pur in una linea di canto aristocratica che non ha concesso nulla allo sbracamento (termine tecnico, me ne rendo conto, strasmile)
Werther Parma Giorgio Caoduro e Sonia Ganassi
Giorgio Caoduro (Albert), altro giovane cantante che a me piace molto ma che non avevo mai avuto la possibilità di ascoltare dal vivo, si è comportato bene. La parte però non è certo di quelle che danno emozioni particolari, trattandosi di un personaggio tra i più inutili della storia dell’opera. Bella voce comunque, e mi sembra un baritono vero e non un tenore corto, come spesso succede di sentire.
Serena Gamberoni è stata bravissima, soprattutto perché non ha trasformato il personaggio di Sophie nella caricatura di una ragazzina un po’ scema e petulante. La voce è bella e gli acuti sono sembrati penetranti e sicuri.
Michel Trempont si è rilevato un Borgomastro a posto più scenicamente che vocalmente.
Routine bassina per tutti gli altri: Nicola Pamio (Schmidt), Omar Montanari (Johann), Asuza Kubo (Kätchen), Seung Hva Paek (Brühlmann).
Mi ha sorpreso che non ci sia stato alcun comunicato sindacale o accenno alla situazione dei tagli, ma evidentemente al Regio sapranno come difendere il loro lavoro senza che io dia suggerimenti non richiesti.
Grande successo di pubblico per tutti, teatro quasi esaurito e manifestazioni di giubilo per Francesco Meli e Sonia Ganassi, che i due artisti hanno strameritato.
Parentesi culinaria: mi sono ingozzato di tortelli e culatello e ho esagerato col mascarpone all’amaretto.
Peraltro ho una linea invidiabile e me lo posso permettere.
Contenta anche ex Ripley, anche se si è un po’ infastidita con una maschera.
Succede.
Ciao a tutti, qui trovate tutte le foto.
 
 

Recensione semiseria di Madama Butterfly al Teatro Verdi di Trieste.

Questa Madama Butterfly al Verdi di Trieste è arrivata, come credo ormai tutti sappiate, in un momentaccio per la musica lirica in Italia.

Partitura Madama Butterfly
Alla prima un rappresentante sindacale ha letto un comunicato mentre alle sue spalle, sul palcoscenico, erano schierati Coro e Orchestra. Poi la decisione di scioperare oggi per la pomeridiana domenicale. Iniziative simili a Firenze, Bologna, Torino e Milano, ma credo che saranno coinvolte altre fondazioni nei prossimi giorni.
Senza entrare direttamente nella questione, ci tengo a dire che appoggio in pieno la protesta e che i lavoratori dei teatri hanno la mia solidarietà.
Ma veniamo alle cose semiserie.
Mentre me ne stavo nascosto dietro a una colonna del foyer triestino (non sono propriamente uno che vuole apparire…), mi sono sentito chiedere: Lei è Paolo Bullo?– da una bella ragazza. Ora, siccome sono brutto, vecchio, sporco e cattivo, ho pensato a qualche denuncia o a qualcuno che mi voleva picchiare.
Timoroso ho risposto e ho scoperto, pensate un po’, che la gentile ragazza è una mia appassionata lettrice e che voleva farmi i complimenti per il blog, che sostiene di leggere prima delle opere ad esempio, per poterle digerire meglio.
Non c’è nulla da fare, ormai sono una specie di medicina, l’Amaro Giuliani della lirica (strasmile, già so che qualcuno scriverà che più che altro sono un confettone Falqui).
Insomma, ciao e grazie, spero che tu legga anche questo post.
L’allestimento di Giulio Ciabatti ha il pregio di essere tradizionale sì ma tutt’altro che polveroso, nonostante abbia già 4-5 anni almeno. Il regista ha lavorato bene sui cantanti e i risultati si vedono nella recitazione partecipe ed appropriata di tutta la compagnia.
Le scene sono piuttosto scarne ma non certo sciatte, anzi appaiono eleganti nella loro semplicità, un gran plauso all’ottimo Pier Paolo Bisleri che le ha ideate. Belli anche i costumi di Chiara Barrichello, sgargianti ma non volgari e ottimo l’impianto luci di Iuraj Saleri.
Lo spettacolo funziona e ci sono almeno un paio di momenti assai suggestivi, come per esempio l’inizio dell’opera, in cui Cio-Cio-San compare all’improvviso, tra il corteo dei parenti, e la prima scena del secondo atto, nella quale la presenza di Butterfly in un ambiente quasi privo di oggetti (solo qualche ricordo di Pinkerton ormai lontano) ne sottolinea l’isolamento anche mentale.Foto06
Veniamo ai protagonisti, a cominciare da Svetla Vassileva che è stata abbastanza altalenante nel primo atto dal punto di vista vocale, specialmente negli acuti un po’ gridati. Molto meglio nei due atti successivi, che l’hanno vista ricevere applausi a scena aperta dopo la famosa Un bel dì vedremo.
Ottima la scelta d’interpretare una Butterfly mai leziosa e manierata, privilegiando già dall’inizio l'accento drammatico, confacente alla figura di una donna giovanissima ma matura e conscia quasi della tragedia che l’aspetta. Il soprano ha fatto uscire anche il lato orgoglioso di Cio-Cio-San, che rifiuta sdegnosamente ma mantenendo una grande dignità gli aiuti finanziari (interessati, ovviamente) del ricco Yamadori.
E poi, niente scenate da vaiassa che ormai non sono più accettabili al pari di eccessivi bamboleggiamenti.
Roberto De Biasio ha una voce bella e calda ma tende a forzare qualche acuto, che risulta schiacciato. Molto ben riuscito l’attacco (tutt’altro che facile) del duettone del primo atto. Ottima la dizione e appropriata anche la recitazione, indubbiamente il suo Pinkerton è seducente e un po’gaglioffo com’è giusto che sia. Bravo anche nel finale, in cui ha cantato un bel Addio fiorito asil. Mi è sembrato che il regista abbia voluto recuperare, nella figura di Pinkerton, qualche atteggiamento tipico dello yankee imperialista (peraltro già presente nel libretto e ancor di più nel dramma originale di Belasco).
Paolo Rumetz ha centrato l’interpretazione di Sharpless, personaggio ambiguo: distaccato e un po’ cinico all’inizio e partecipe della tragedia umana di Butterfly alla fine. Anche il baritono triestino ha mostrato qualche piccola difficoltà negli acuti, ma la sua prestazione è da considerare più che discreta.
Cinzia De Mola è stata una Suzuky di buon livello, per canto e recitazione. Bello il “duetto dei fiori” con il soprano e presenza scenica adeguata.
Il perfido e viscido Goro è stato interpretato da Gianluca Bocchino, che mi è sembrato centrare la parte dal punto di vista attoriale ma un po’evanescente dal lato vocale.
I comprimari hanno svolto bene il loro compito: altero e impetuoso Alessandro Svab (Zio Bonzo), dignitoso e non macchiettistico Giuliano Pelizon (Yamadori e Commissario Imperiale), solido Giovanni Palumbo (Ufficiale del Registro). Pur impegnata in una piccola parte, mi sento di spendere una parola in più per il mezzosoprano Silvia Verzier, che ha caratterizzato una Kate molto incisiva anche nella recitazione.
Bene, come è ormai prassi, il Coro, preparato per l’occasione da Alberto Macrì.
Prestazione molto buona dell’Orchestra del Verdi di Trieste, guidata dal direttore Lorenzo Fratini che ha optato per una concertazione attentissima alle esigenze dei cantanti ma allo stesso tempo mirata a rendere senza inutile enfasi i colori accesi della partitura. Di questa sobrietà interpretativa hanno beneficiato i momenti di canto di conversazione, cifra caratteristica assieme alle grandi aperture melodiche della musica di Puccini.
Grande successo di pubblico, teatro pressoché esaurito, trionfo per Svetla Vassileva e Roberto De Biasio e ottimo successo per tutta la compagnia di canto.
Purtroppo, se la linea del governo è quella del decreto ministeriale, queste belle serate a teatro resteranno solo un bel ricordo. Un fil di fumo, appunto.
Buona settimana a tutti.
 

Lo spleen del Werther e dei melomani: scioperi ovunque.

Update: domani salta la pomeridiana di Butterfly a Trieste.

Ora che il Presidente della Repubblica ha firmato il decreto sulle Fondazioni Liriche, davvero posso dire di essere entrato in quel clima di spleen che caratterizza il Werther di Jules Massenet, che dovrei vedere domani a Parma.

Sacrosanta protesta al Teatro Regio di Parma.
Dico dovrei perché è probabile che ci sia uno sciopero.Ovviamente mi seccherebbe molto, ma credo che al loro posto, di fronte all’ennesimo tentativo di far pagare al più debole tutte le colpe dello sfascio economico dei teatri italiani, farei peggio.
Al momento sono sicuri scioperi a Firenze, Milano, Genova, Torino, Bologna, Trieste..
By the way, di limitare in qualche modo i danni perpetrati da chi gestisce criminalmente le risorse per la cultura nel nostro paese non se ne parla neanche, e tantomeno di programmazione o dei ragazzi dei conservatori.
Ieri alla prima della Butterfly, di cui darò conto credo domani, i lavoratori del teatro triestino si sono limitati a leggere un comunicato prima dell’inizio dello spettacolo. Vederli tutti lì, schierati sul palco, artisti del Coro e professori d’Orchestra (in rappresentanza di tutti gli altri, quelli “invisibili”, dai tecnici ai truccatori), mi ha fatto abbastanza male.
Io posso solo sperare che si giunga più che a un accordo, a un definitivo abbandono di azzerare i teatri lirici italiani.
Jules Massenet è ricordato oggi come l’autore di Werther e Manon, ma in realtà fu compositore di successo anche per altri lavori oggi quasi dimenticati, con l’unica eccezione di qualche episodico allestimento dei Les pêcheurs de perles. Qualche titolo? Esclarmonde, Le roi de Lahore, Thaïs e lo splendido Don Quichote.
Una particolarità del Werther, nella produzione di Massenet, è il grande rilievo sia “quantitativo” sia psicologico della figura del tenore. Sino a quel momento Massenet era considerato quale compositeur de la femme.
Pensando alla Manon, alla Thaïs, ma anche a Leyla direi proprio che la definizione fosse azzeccata.
Ma ecco Werther, che tratto da Die Leiden des jungen Werther di Goethe, pone in primo piano e caratterizza fortemente la figura maschile e relega, si fa per dire, quella “antagonista” femminile, Charlotte a un ruolo che si definisce appieno solo dopo la scena delle lettere (ancora lettere, come già tante altre volte nel melodramma, da Traviata a Tatiana nell’Onegin).
Charlotte d’ora in avanti prende un “colore” drammaturgico diverso e si riscatta in qualche modo dal passato di perbenismo piccolo borghese che la vuole promessa sposa ad un uomo che non ama.
Ma, per citare Guccini (pensate voi, strasmile) come in un libro scritto male lui s’era ucciso per Natale ed è troppo tardi.
L’opera debuttò il 16 febbraio 1892 all’Opera-Comique a Parigi, dopo qualche tentativo andato a male sia per un certo ostracismo del direttore Carvalho (timoroso di un fiasco), sia per sfighe contingenti (l’incendio del teatro nel 1887).

Do you believe in a love at first sight? Si chiedevano i Beatles, in quel rivoluzionario album che fu Sgt. Pepper Lonely Heart's Club Band, nel 1967.
Ecco, per quanto l’opera lirica abbondi d’incontri fatali, forse mai come nel Werther l’amore a prima vista e i suoi possibili effetti distruttivi sono stati resi con più bruciante intensità.
Opera di carattere francese se mai ne esiste una, Massenet con la musica del Werther fa sentire lo spleen, il mal de vivre, le angosce disperate del protagonista.
Insomma, tra il suicidio di Cio Cio San, quello di Werther e il tentato (per ora, ma ce la faranno) omicidio del governo nei confronti dei teatri lirici m’attende un sereno fine settimana!
Un saluto a tutti, appuntamento per la recensione semiseria della Butterfly.