Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: luglio 2010

Recensione semiseria del Siegfried al Festival di Bayreuth 2010.

L'anno scorso l'aggettivo scelto per la consueta recensione semiseria del Siegfried è stato nientemeno che "inferocita", quindi le aspettative quest'anno erano che la recita risultasse, come minimo, tale da non farmi usare parole risentite.
E quindi vediamo!

I atto
 
Il Siegfried comincia con il lungo dialogo tra Mime e il protagonista e, ancora una volta, se da un lato non posso che apprezzare la direzione di Thielemann, dall’altro mi è impossibile non stigmatizzare la voce chioccia e senescente di Wolfgang Schmidt (Mime), che è davvero un pessimo tenore. L’anno scorso fu inaccettabile e non sembra che il tempo l’abbia migliorato, anzi.
Un po’meglio Lance Ryan, almeno perché prova ad interpretare, anche se i risultati non sono straordinari.
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Per quanto mi sia parso cauto, nella sortita del wanderer (Wotan), Albert Dohmen, solennemente sostenuto dal direttore, è sembrato subito di una classe artistica diversa. L’accento, il fraseggio, la comprensione psicologica del personaggio ne fanno un gigante. Solo un esempio: l’ironia beffarda con la quale insinua Nun rede, weiser Zwerg (parla, quindi, sapiente nano) a Mime.
C’è però qualche incertezza, oggi, nel canto di Dohmen, specie in alto.

Per fortuna nel duetto Schmidt si modera nei cachinni e negli effettacci da guitto, che però riprende con convinzione all’inizio della terza scena.
Nella scena, terribile e lunghissima, della forgiatura della spada Notung, si comporta assai bene Lance Ryan e Thielemann e l’Orchestra di Bayreuth sono ancora strepitosi.
Siegfried
Il pubblico esplode in un fragoroso (e meritatissimo!) applauso al primo intervallo.

II atto

Ancora benissimo Thielemann nel Preludio, ammantato di un tenebroso e inquietante mistero.
Alberich e Wotan si fiutano, si studiano: sempre un po' troppo effettistica la caratterizzazione di Andrew Shore, ma Albert Dohmen è ancora autorevolissimo. 
Shore-Dohmen

Si sveglia il drago Fafner, interpretato da Diógenes Randes, che pare davvero un vocione notevole.
La seconda scena rivede Mime e Siegfried, nel lungo duetto che precede il confronto col drago. Wolfgang Schmidt sempre pessimo, devo dire, e in questa fase anche Ryan non è straordinario.
Il tenore prova a trovare un accento più intimo nel lungo racconto che precede il famoso "mormorio della foresta", ma la voce si stimbra un po'. Sicuramente l'intenzione è lodevole, ma l'artista è più efficace nel classico declamato.
Dicevo del vocione di Randes, che però è modesto nel legato, e nel racconto della stirpe dei giganti si sente mancanza di morbidezza nel canto.
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Il waldwogel di Christiane Kohl non è certo un usignolo di gran pregio, bisogna dirlo.
Penso con una certa gioia, ascoltando il Mime di Schmidt (che cala di brutto sull'unico acuto degno di tal nome), che presto Siegfried metterà fine alla sua vita.
Lance Ryan, tra qualche incertezza e qualche momento abbastanza interessante, porta a casa il secondo atto, ma appare evidente come ho già scritto sopra che vocalmente gli si addicono di più i momenti eroici che i ripiegamenti più tormentati.
Molti appausi anche alla fine del secondo atto.

III atto

Ancora sugli scudi Dohmen all'inizio, ma purtroppo Christa Mayer (Erda) gli risponde come se stesse dormendo davvero da un sacco di tempo, con una voce fibrosa e senescente che toglie ogni drammaticità al momento. Il suo non è canto, è un singulto sincopato. Legato inesistente e pure qualche urlo. Anche per lei non vedo l'ora che torni sottoterra.
E arriviamo così al fondamentale incontro tra Wotan e Siegfried, con il commiato dal Ring di Albert Dohmen, gloriosissimo.
tgross03_02_01_s2007_szeneCom'era facilmente prevedibile Lance Ryan è molto più a suo agio rispetto al secondo atto, in questo passaggio che necessita di vigore e intensità emotiva. Chiude con un acuto abbastanza pulito.
Thielemann è sempre, e di gran lunga, il migliore in campo.
E siamo al lunghissimo ( e per me e non solo, noiosissimo, vero Giuliano?) duetto finale tra Siegfried e Brünnhilde.
Linda Watson comincia discretamente, a dire il vero, e trova accenti convincenti nel risveglio. Purtroppo poi non è diversa dal solito: il timbro non è male ma gli acuti sono ghermiti, si sente che la cantante è preoccupata, ansiosa. Nei tentativi di addolcire l'accento la voce si stimbra e il risultato non è gradevole, sinceramente.
Molto meglio Ryan, che si conferma tenore solido e ben preparato.
BrunnhildeIl duettone però non decolla, proprio perché entrambi sembrano preoccupati e tesi, manca poesia e abbandono. Nella parte finale pure Lance Ryan è evidentemente affaticato: la parte di Siegfried si conferma come una delle più micidiali per tenore.
La Watson è stremata e cala di brutto e strilla nel vero senso della parola.
L'acuto finale all'unisono è un urlo per entrambi.
Insomma, peccato per questo finale che ha rovinato una prova che avrebbe potuto essere assai più lusinghiera, soprattutto per il tenore.
Il pubblico ha tributato un successone a tutti.
A domenica, per il Crepuscolo!

I’m in a Bayreuth state of mind.

I numeri parlano chiaro.

In soli 5 giorni circa 1200 visite a questo blog e 2.500 pagine lette, un rapporto uno a due che indica che non sono visite casuali, ma chi passa preme poi quel continua a leggere che consente di andare avanti sino alla fine del post.
Sono numeri che indicano interesse per l’argomento Wagner, che sarà pure di nicchia, ma evidentemente riesce a calamitare la curiosità di molti appassionati.

Inoltre, e anche questo mi pare un dato da rimarcare, ben l’otto per cento delle chiavi di ricerca sono una combinazione delle parole Kaufmann e Lohengrin, segno che la lirica ha bisogno anche di “divi”, di Artisti che siano popolari oltre che per le loro qualità intrinseche, anche per impatto mediatico e carisma.
Ovviamente sono contento che le mie recensioni strampalate abbiano un tale successo (il ranking di questo povero blog è pari a quello di pretenziosissimi luoghi mediatici, che si vendono come fabbriche di cultura eccelsa), ma al di là degli sbrodolamenti autoreferenziali, m’interessa sapere che la musica lirica fa discutere, coinvolge, entusiasma.
Ed è una buona notizia.
Stasera la recensione del Siegfried, per piacere mio e per continuare a parlare della musica che ci piace.
 
 

Recensione semiseria di Die Walküre al Festival di Bayreuth 2010.

È arrivato il giorno della Walchiria e la recensione espressa era d'obbligo, considerato che Die Walküre è per me una specie di coperta di Linus. Ecco qui di seguito le mie impressioni, anche questa volta ricavate quasi in diretta dai miei appunti durante l'ascolto, e quindi magari con qualche stonatura nella consecutio che spero mi perdoniate, nell'eventualità.

I atto

Di solito capisco se siamo davanti ad un grande Hunding dalla prima frase: Du labtest ihn? (lo rifocillasti?).
Ecco, oggi a Bayreuth c’era un Hunding davvero ragguardevole e cioè Kwangchul Youn, che ha insinuato a Sieglinde la frase riportata all’inizio con l’accento giusto: sorpresa, sospetto, forse già l’intuizione che quello straniero è proprio l’odiato Siegmund.
Hunding
A Youn rimprovero solo qualche sfumatura troppo corrusca, ma credo che la circostanza sia dovuta anche all’adrenalinica concertazione di Christian Thielemann, un vero gigante sotto ogni punto di vista.
Pallidina e fragile anzichenò invece Edith Haller alla quale imputo soprattutto una mollezza di fondo e scarsa incisività interpretativa, pur senza che si siano ravvisati problemi particolari. Credo che proprio la voce, che ho spesso sentito andare indietro anche sui primi acuti, non sia adatta a questo repertorio, tanto che la recita l’ha vista cantare sempre in difesa, cercando una liricizzazione che suonava, in alcuni momenti, grottesca. Un vero e proprio naufragio il lungo monologo O merke wohl, was ich dir melde! Nella parte centrale del successivo duetto sembrava una Lucia di Lammermoor piuttosto affaticata capitata per caso a Bayreuth.
Anzi, a voler dirla tutta, m'ha evocato quest'immagine agghiacciante: una velina in preda a un attacco isterico sull'Isola dei Famosi.
Voglio dire, la giovanile passionalità di Sieglinde non può essere resa con una generica e concitata agitazione, vuota in basso e stridula in alto!
Quanto a Johan Botha, Siegmund, mi è piaciuto abbastanza nella terza scena anche se così, a orecchio, mi sa che la voce non abbia l’ampiezza e il volume per svettare sull’ordito orchestrale wagneriano (paradigmatica l’invocazione a Wälse, deboluccia come volume e come accento) , soprattutto con un Thielemann che mi è sembrato in questo primo atto ottimo, ma molto autocompiaciuto. Il tenore è arrivato stremato al celeberrimo Winterstürme, povero!
Meglio nel finale, nonostante l’ultimo acuto che, lo ricordo per l’ennesima volta, è un LA che pesa come un macigno, sia stato ghermito con uno sforzo sovrumano.
Dicevo di Thielemann (che anche avuto il pregio di “riprendere” un paio di volte la Haller, palesemente fuori tempo). Il direttore opta per una lettura bruciante di questo primo atto torrido e sensualissimo, e l’Orchestra di Bayreuth risponde a meraviglia, tanto che l’ascoltatore attento non può che meravigliarsi per il diverso rendimento della compagine rispetto al confusissimo Lohengrin iniziale.
Certo, questo primo atto è una delle pagine musicali più emozionanti mai scritte.
Pubblico in delirio all’intervallo.

 II atto
 
Albert Dohmen apre con cautela il secondo atto, dopo la splendida introduzione orchestrale di Thielemann, vibrante e appassionata.
Linda Watson ha un accento fiero e appropriato, ma la voce appare un po’ schiacciata negli acuti che sono pure leggermente calanti.
Brunhilde
Mihoko Fujimura, Fricka, non è adamantina nell’intonazione ma anche lei ha l’accento giusto, cosa di cui ho dubitato ieri dopo il Rheingold.
Nel complesso il lungo duetto iniziale appare convincente soprattutto per l’ottimo contributo di Dohmen, che è un Wotan di livello storico e non certo da oggi. Brava però anche la Fujimura, che si riprende bene ed appare sufficientemente nobile e altera. Splendido, in particolare il suo commiato all’arrivo di Brünnhilde.
Il duetto successivo tra Wotan e Brünnhilde è interpretato magnificamente da Dohmen, che sembra in forma vocale migliore rispetto all’anno scorso. La Watson, pur senza demeritare particolarmente, non mi convince perché mi dà la sensazione di essere sempre al limite con l’intonazione e di forzare molto.
Tornano in scena Siegmund e Sieglinde, fuggitivi e spaventati: il tenore Botha sembra rinfrancato, mentre la Haller pare sempre una bambolina con grossi problemi d’intonazione, ahimé. Inoltre, la sua perenne agitazione la fa sembrare petulante e algida, esattamente il contrario di ciò che dovrebbe.
La quarta scena è una delle più drammatiche mai scritte in un’opera e anche tra le più commoventi.
Qui entrambi i protagonisti, Siegmund e Brunnhilde, sono egualmente convincenti anche dal lato vocale (meglio Botha, però) oltre che da quello interpretativo, ben supportati da un Thielemann straordinario nella ricerca di un suono drammatico ma pulito e mai ridondante o retorico.
Eccellente poi Dohmen, nel suo raggelante Geh' hin, Knecht!, che precede il sacrificio di Siegmund.
Walkure
Sono pronto per la celebre “Cavalcata”!

III atto 

Cavalcata nella quale, a mio parere, si sente qualche urlo di troppo da parte delle amazzoni, che sono: Gerhilde (Sonja Mühleck), Ortlinde (Anna Gabler), Waltraute (Martina Dike), Schwertleite (Simone Schröder), Helwige (Miriam Gordon Stewart), Siegrune (Wilkete Brummelstoete), Grimgerde (Annette Küttenbaum) e Rosweisse (Alexandra Petersamer).
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Ancora una volta è pessima la Sieglinde della Haller, che corona così una prova veramente scadente.
Bene invece Dohmen, autorevole e imponente, affaticata la Watson. Thielemann stupefacente!
Nel lunghissimo duetto finale si percepisce lo sforzo e la fatica della Brünnhilde di Linda Watson, piuttosto stimbrata, ma l'artista non ce la fa proprio a tenere testa con il mestiere a un Dohmen pregevolissimo, ispirato più che mai nel fraseggio e brillante vocalmente.
Nel monologo finale, uno spauracchio vero e proprio, si sente qualche sintomo di stanchezza anche nel baritono, che però sembra quasi raccogliere le forze e ci regala un'invocazione a Loge memorabile.
Wotan
Alla fine, grandi emozioni da un Thielemann già storico e da un sorprendente Albert Dohmen che sembra vivere una seconda giovinezza, soprattutto sentite le prove interlocutorie degli anni scorsi.
Peccato per la complessiva resa modesta delle donne, argh!
Pubblico in delirio, quasi impazzito.
Domani non riesco a seguire il Parsifal, perciò se volete aggiornarmi ve ne sarò grato.
Un saluto a tutti voi.
 

 
 

Recensione semiseria del Rheingold al Festival di Bayreuth 2010: Christian Thielemann über alles.

Insomma, farei un appello agli ascoltatori di RADIO3 perché non alimentino con sterili polemiche una guerra tra poveri.
Che senso ha mandare sms per protestare contro la messa in onda del Festival di Bayreuth? Per una volta all'anno che succede e con la penuria di cultura che c'è in giro? Mah…
Dicono che noi wagneriani dovremmo essere confinati all'ascolto notturno, carini eh?
Siete mostri, anzi, così sfrutto anche una tag dimenticata, nuovi mostri.
Prima d’affrontare la recensione dell’odierna recita del Rheingold, credo valga la pena ricordare ai neofiti o a coloro che non hanno troppa dimestichezza con le vicende del Ring che la stesura di questo lavoro monumentale durò qualcosa come 26 anni.

Nel 1848 ci fu il primo vagito della creatura “Ring”: in quella data, infatti, Wagner scrisse il testo della  “Morte di Sigfrido” e poi tra ripensamenti e riscritture, intervallati anche da un lungo silenzio durato più di dieci anni, la parola “fine” con il Crepuscolo nel 1874.
La Tetralogia (il Prologo dell’Oro del Reno e le tre giornate successive, Die Walküre, Siegfried, Götterdämmerung) venne poi rappresentata per la prima volta nella sua interezza, a Bayreuth, nel 1876.
Il Rheingold , invece, debuttò nel 1869.
Non è il caso di lanciarsi in un’improvvisata esegesi dell’opera ma, molto più prosaicamente, dichiaro che tra i personaggi del Rheingold il mio amore assoluto va allo scatenato Loge (tenore) e sottolineo l’importanza fondamentale di Erda (contralto) dei cui ammonimenti ,per nostra fortuna ,il grande capo Wotan si disinteressa .
Voglio dire, se Wotan fosse stato saggio, non avremmo avuto il Ring (smile)!
Ma veniamo all’attualità, com’è stato questo Rheingold, la storia di un nano malefico e megalomane che corre dietro alle ragazze e per l'oro farebbe qualsiasi cosa (ehm…ogni riferimento a persone e fatti reali è casuale)?
Nella scena iniziale, le Figlie del Reno Woglinde (Christiane Kohl), Wellgunde (Ulrike Helzel) e Flosshilde (Simone Schröeder) hanno ben figurato, e vale anche per il finale.
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Il baritono Andrew Shore (Alberich) mi è sembrato un po' più sorvegliato del solito, limitandosi nell'accentuare il lato caricaturale del personaggio, circostanza che m'aveva infastidito negli anni scorsi. Bene nella scena della maledizione. Certo, ogni tanto sconfina nel parlato, più che nel declamato, ma sapete ho ancora nelle orecchie il Telramund del Lohengrin, e quindi si può affermare che la sua prova sia stata positiva. 
Di gusto datato la caratterizzazione di Fricka da parte di Mihoko Fujimura, tra l'altro piuttosto stridula in alto: insomma la "moglie" di Wotan non può essere risolta come fosse solo una donnetta petulante e basta, il personaggio ha ben altra complessità. Vedremo domani, che succede.
Gli anni passano inesorabilmente anche per Albert Dohmen, e l'usura del tempo e delle tante "battaglie", wagneriane e non, si manifesta in un timbro che sembra un po' morchioso. Dohmen però mi ha sorpreso per le sue doti di recupero già altre volte, quindi non dispero di sentirlo quale Wotan più concentrato domani. E poi l'accento è quello giusto, sempre.
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Non un granché Edith Haller, Freia, sempre più sbiadita e generica di anno in anno.
Senza infamia e senza lode Donner e Froh, impersonati rispettivamente da Ralf Lukas e Clemens Bier.
Bene i due giganti, in particolare (ma era quasi scontato, conoscendo la bravura dell'artista) il Fasolt di Kwangchul Youn. Leggermente meno centrata la prova di Diógenes Randes (Fafner), ma comunque apprezzabile.
Mi ha positivamente sorpreso la prestazione del tenore Arnold Bezuyen (Loge), che ha migliorato di molto la prestazione del 2008.
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Impresa che non è riuscita, invece, all'altro tenore Wolfgang Schmidt, che io ho trovato semplicemente pessimo nei panni di Mime.
Ancora deludente, maledizione, Christa Mayer nei panni di Erda. E dico deludente a voler essere estremamente generosi. Possibile che per una parte così delicata non si trovi (a Bayreuth!) una cantante all'altezza?
Il direttore Christian Thielemann, che dire? Un grande che riesce a trovare un suono sempre bellissimo dall'Orchestra di Bayreuth, maestoso ma non retorico, scabro ma non sciatto. Peccato che questa sia (a meno di ripensamenti, piuttosto improbabili) la sua ultima stagione sulla collina.
Pubblico contento e grande successo per tutti.
A domani per Die Walküre, credo!
L'incredibile numero di visite a questo blog, che mi è stato fatto notare da un commento nel post precedente, meriterà (forse, non mi piace troppo autocelebrarmi) un post alla fine del Festival.

Recensione espressa del Lohengrin al Festival di Bayreuth: Jonas Kaufmann über alles.

Dopo aver pubblicato questo post, ho letto l'ultimo commento al post precedente. Ebbene, caro amico anonimo, come vedi hai perso l'occasione per tacere.

Intanto ribadisco subito che una recensione che si basa sull’ascolto radiofonico è di per se stessa incompleta: mancano troppi elementi perché il giudizio sia effettivamente affidabile.
Peraltro, una certa esperienza d’ascolto in teatro ce l’ho, quindi credo di poter esprimere valutazioni abbastanza centrate.
Inoltre, per quanto mi renda conto perfettamente che la considerazione si possa prestare a critiche, viste le foto dello spettacolo, credo che a non vedere l'allestimento ci si guadagni parecchio.

I atto

Comincio dal primo atto, perché questa recensione espressa si base sugli appunti che ho scritto durante l’ascolto in diretta dell’opera.
Già dal Preludio si capisce che il direttore Andris Nelsons non ha intenzione di raccontarci una fiaba, quanto piuttosto un fatto di cronaca, mi verrebbe da dire. Manca poesia, mistero, romanticismo. Il suono dell’orchestra sembra secco e aspro, e non mancano un paio di notevoli pasticci degli ottoni.
Il primo solista ad entrare in scena è il basso Samuel Youn (Araldo del Re), che se la cava con dignità, mentre di ben altro spessore appare, sia come voce sia come accento, il monologo iniziale di Georg Zeppenfeld (König Heinrich).
Zeppenfeld
Segnalo che alla fine del monologo si è sentito un grido, non ho capito dovuto a cosa (magari è piovuto qualcosa in testa a qualche tecnico del suono, che ne so!)
Inizio davvero difficoltoso, a voler essere generosi, per il Telramund di Hans Joachim Ketelsen: vociferante e sgraziato, calante e stonato. Il fatto che abbia sostituito il previsto Lucio Gallo non lo giustifica, perché era davvero sotto il minimo sindacale.
Arriva Elsa e subito la sensazione è che la voce di Annette Dasch sia sottodimensionata per la parte. D’accordo che deve interpretare una giovane ragazza, quindi una virago sarebbe stata inopportuna, però sembra proprio una vocina e neanche troppo educata, visti i notevoli problemi sui primi acuti della sortita (Einsam in trüben Tagen).
Finalmente arriva Jonas KaufmannKaufmann e sinceramente siamo su di un altro pianeta. Il suo “saluto al cigno” è magnifico, perché fotografa bene la natura di Lohengrin: etereo e misterioso, un essere che è ancora impalpabile. A maggior ragione s’apprezza il cambio d’accento quando, subito dopo, si rivolge al Re in modo determinato ed energico, vigoroso.
Molto bene il Coro, intanto.
Nel concertato che precede il duello tra Telramund e Lohengrin il direttore fa un po’ di confusione e ancora peggio va nel finale dell’atto, dove sembra di sentire una versione particolarmente accalorata del Verdi degli “anni di galera” invece che Wagner.
Parecchie contestazioni del pubblico all’intervallo, sicuramente dirette alla regia di Hans Neuenfels.
Topi

II atto

Ancora greve all’inizio Nelsons, che equivoca l’atmosfera misteriosa con un generico suono opprimente, pesante.  Comincia il duetto fondamentale tra Telramund e Ortrud e all’inizio tra la voce senescente di Evelyn Herlitzius e il più che mai orchesco Ketelsen possiamo parlare di un Wagner trasformato nel Mascagni della Cavalleria rusticana, sia detto col massimo rispetto per Mascagni. Nel prosieguo, se possibile, il baritono fa ancora peggio, mentre si riprende un pochino il soprano, ma un pochino pochino eh?
Altro duetto magnifico quello che segue, tra Elsa e Ortrud. Almeno le voci sono ben distinte per colore, anche se la Danch è troppo bambolina con tanto di orrendo effetto sirena stonata negli attacchi e la Herlitzius troppo strega Grimilde. Anche qui risulta evidente lo scarso peso vocale della Danch, a volte al limite dell’evanescenza e con grossi problemi pure nella gestione dei fiati.
Dal mio punto di vista riescono a rovinare il finale del duetto, aiutate da una direzione davvero pessima, lenta, mollacciona e priva di nerbo di Nelsons.
Nelle scene successive si apprezza il Coro, davvero straordinario per compattezza, intonazione e precisione.
Purtroppo la Herlitzius conferma un approccio troppo aggressivo alla parte, sicché il voltafaccia che sorprende Elsa invece di guadagnare in efficacia drammatica, perde credibilità.
Ancora Kaufmann sugli scudi, subito dopo. La vocalità del tenore è sicuramente singolare e la sensazione è che canti di gola e non sul fiato, ma senza dubbio il risultato è apprezzabile.

III atto

Cigno

Che si apre con la celeberrima marcia nuziale, scempiata da un clangore orchestrale indescrivibile. Sono davvero basito.
Il drammatico e concitato duetto tra Lohengrin e Elsa vede, dal punto di vista vocale, una prestazione del soprano un po' più pertinente e centrata, pur se gli acuti sembrano sempre al limite del grido.
Kaufmann invece è ancora molto buono per accento e non lesina mezzevoci (un po' falsettanti) suggestive.
Il direttore è di una pesantezza assurda, non capisco cosa gli sia preso. 
Si arriva poi al clou dell'aria (è improprio chiamarla così, guai se lo sapesse il buon Richard che però mi perdonerà!) di Lohengrin, In fermen Land. Kaufmann è bravissimo, generoso nelle mezzevoci e canta con un accento dolce, dolente ma fiero ed emozionante. E tutto questo nonostante l'accompagnamento orchestrale sia paradilettantesco, una volta di più.
Forzatissima nel finale la Herlitzius, che urla e basta.
Il pubblico ha apprezzato, mi è parso di capire, la compagnia di canto (qualche dissenso per la Her litius)mentre ha buato il regista.
E poi ditemi che non sono diligente eh?
Buona settimana a tutti!
 

Festival di Bayreuth 2010 al via con il Lohengrin: ancora Jonas Kaufmann in prima linea.

Con il Lohengrin di Richard Wagner (sembra superfluo specificarlo, ma metto in conto che ci sia qualche lettore nuovo, non si sa mai, ché le vie di Internet sono infinite) comincia domenica 25 luglio il Festival di Bayreuth 2010.
Io quindi entro ufficialmente in modalità “Bayreuth state of mind” e di conseguenza, a meno che non ci siano rogne particolari, seguirò la recita in diretta su RADIO3 e poi m’esibirò, tra fuochi d’artificio e festeggiamenti vari, nella consueta recensione semiseria.
Mi pare quindi opportuno scrivere qualche piccola curiosità sull’opera, così, senza troppe pretese.
Prima però segnalo questo bellissimo e particolareggiato post di Daland, che ha il raro dono di saper scrivere senza annoiare.

Intanto, lo sapevate che il Lohengrin ha fatto il “cavallo di Troia” per la diffusione della musica di Wagner in Italia?
Già, perché l’opera debuttò il 1° novembre 1871 al Teatro Comunale di Bologna e fu la prima rappresentazione nel nostro paese di un lavoro wagneriano. La recita fu in lingua italiana mentre per la prima rappresentazione in lingua originale dobbiamo andare addirittura al 2 agosto 1939, a Palermo.
A dire il vero, il Lohengrin in tedesco si sentì già a Trieste il 28 luglio 1917, ma a quei tempi la città era sotto la dominazione austriaca.
Wagner fu molto felice di questo esordio bolognese ed espresse la sua soddisfazione in una lettera a Arrigo Boito.
Ci fu qualcuno invece, confuso (un po’ nascosto forse?) tra il pubblico della replica bolognese del 19 novembre, che non apprezzò molto la novità e sul suo spartito vergò note non proprio lusinghiere per la musica di Wagner e per la direzione di Angelo Mariani:
 
Troppo forte…non si capisce…bello ma riesce pesante con le continue note acute dei violini…
Impressione mediocre. Musica bella, quando è chiara vi è il pensiero. L’azione corre lenta come la parola. Quindi noja. Effetti belli d’istromenti. Abuso di note tenute e riesce pesante. Esecuzione mediocre, molta verve ma senza poesia e finezza. Nei punti difficili cattiva sempre.

 
Ma chi era questo critico semiserio? Pensate un po’, nientemeno che Giuseppe Verdi (ho scelto quest'immagine non a caso…)!

Eppure il Lohengrin non dovrebbe suscitare sentimenti biliosi (strasmile) è solo una fiaba in musica, una commistione appunto tra la Märchenoper (opera di soggetto fiabesco) e il dramma musicale di soggetto storico.
Voglio dire, sempre di un tale che appare su di una “navicella trainata da un cigno” stiamo parlando (smile).
E a questo proposito, cito letteralmente un aneddoto raccontato dal critico triestino Gianni Gori (che mi legge, bontà sua) in un vecchio programma di sala triestino.

Lauritz Melchior, tenore wagneriano leggendario, interpretava la parte di Lohengrin al Metropolitan di New York nel 1936.
Ebbene, per un errore del macchinista, la navicella col cigno venne ritirata in quinta prima che Lohengrin potesse mettervi piede e imbarcarsi. Una di quelle classiche situazioni da panico che rendono ancora più vivo e piacevole il teatro.
Senza perdere il proprio eroico aplomb pare che il tenore abbia domandato: What time does the next swan leave?
E allora, sperando che al prode Jonas Kaufmann (ormai non se ne può più di lui, lo metterò tra i coautori di questo blog, strasmile) non succedano inconvenienti di alcun tipo, ascoltiamoci (io spero sempre che qualcuno si prenda la briga di farlo) proprio il grande Lauritz Melchior nella sortita (mein lieber Schwan) di quest’opera meravigliosa.
A seguire, uno dei passi più famosi dell'opera, che ha per me un fascino speciale perché mi fa sempre piangere come un neonato: o mi commuovo per la bellezza dell'interpretazione o m'immalinconisco per l'inadeguatezza del Lohengrin di turno (strasmile).
Si tratta di In fermen Land, nell'interpretazione straordinaria di Franz Völker, un tenore che non conosce neanche Wikipedia e che Youtube non mi consente di linkare se non postando direttamente l'URL.

http://www.youtube.com/watch?v=Af204dlXpXw&feature=related

Un saluto a tutti.

 
 

Placido Domingo? No, meglio Jonas Kaufmann.

Il fatto è che il povero blogger critico musicale militante deve scrivere qualcosa, anche in quest’afosissima estate in cui spesso nelle piazze telematiche deputate si discute del nulla oppure, nella migliore della ipotesi, si elevano sconsiderati  e non richiesti monumenti a se stessi.


Perciò ecco che la notizia, già ventilata da tempo e ora confermata, dell’ulteriore impegno di Placido Domingo in una parte da baritono (Rigoletto…) diventa occasione per una scelta di campo.
Accadrà alla Washington National Opera, il 2 agosto, dove il nostro amico Placido è Direttore Generale.
Il resto del cast qui, direttamente dal comunicato stampa del teatro statunitense:
 
Performing with him are recent graduates of his Domingo-Cafritz Young Artist Program, including Micaëla Oeste as Gilda, Yingxi Zhang as the Duke, Nathan Herfindahl as Marulo, Grigory Soloviov as Sparafucile and Cynthia Hanna as Maddalena. Eugene Kohn conducts the performance, leading the Chinese National Opera House Symphony Orchestra and Chorus.
 
 
Voglio dire, già quando il giurassico tenore (ex tenore di fatto da molto tempo, a dire il vero, e non ditemi che sono cattivo!) affrontò il Simon Boccanegra espressi i miei dubbi sulla validità artistica dell’operazione, tanto che scelsi per la mia consueta recensione semiseria l’aggettivo “amara”.
Tutto sommato però si poteva guardare con un minimo di bonomia al vecchio (nessuno sa quanto: l’età di Domingo è come il terzo segreto di Fatima) e glorioso Placido e pensare: Si è voluto togliere una soddisfazione, ci può stare.
Ero disposto a chiudere un occhio anche per questo debutto nel “suo” teatro, circondato da allievi e in forma di concerto.
Un trafiletto sul giornale di stamane, però, mi ha convinto che siamo alla farsa e cioè all’operazione commerciale bieca, al classico evento nazionalpopolare per minus habens.
Solo così infatti, a mio parere, si può considerare la successiva ripresa del personaggio in mondovisione (evento già comprato 137 televisioni) in una baracconata di regime simile alla Tosca nei luoghi e nelle ore di qualche anno fa e la Traviata di Parigi (forse la più brutta di tutti i tempi).
Peraltro ecco pronto il prestigioso direttore Zubin Mehta per questo Rigoletto a Mantova, che conta anche sul regista cinematografico Marco Bellocchio e il premio Oscar Vittorio Storaro, oltre che sul meglio dell’attuale tecnologia digitale: 30 telecamere, 3 regie televisive, non so quanti km di cavi e 8 gruppi elettrogeni.
Che culo! Potremo vedere in primo piano e in alta definizione le rughe del vetusto Domingo! Chissà se pure il buon Placido ricorrerà a qualche stratagemma per apparire più giovane (ricordate la famosa calza sulla telecamera?), come ha fatto un altro guitto in una diversa disciplina d’intrattenimento, e cioè la politica.
Lo scopriremo solo vivendo, diciamo.
So che in molti, assai più prestigiosi di me, difenderanno e promuoveranno quest’assurdità, ma sinceramente a me pare proprio una buffonata.
Vorrei che la Gialappa’s s’inventasse un Mai dire Rigoletto e commentasse in diretta (anzi Marco, se mi leggi nel caso ci vengo io gratis):
 
Ed ecco Rigoletto che egagro e fiero delle sue adenoidi cerca di proteggere Gilda, la figlia deficiente, ma viene preso per il culo da Marullo e si copre di ridicolo.
 
E allora io dico Evviva Kaufmann, che forse non sarà il best Cavaradossi ever  che alcuni ci vogliono far credere ma almeno, domenica prossima debutta a Bayreuth  (non nella parte, già affrontata)nel Lohengrin di Richard Wagner.
Un tenore che canta una parte da tenore è qualcosa che appartiene all’opera lirica, un ex tenore che sfrutta la popolarità per gonfiare il già opimo portafoglio è altro, lascio a voi decidere cosa, ma certamente non ha nulla a che fare con l’opera lirica.
 
 
 

Recensione semiseria di Tosca dalla Bayerische Staatsoper di Monaco: Jonas Kaufmann, una stella cadente.

Intanto informo che giovedì scorso, a Trieste, si è aperto il 41° Festival dell’Operetta con la Principessa della czárdás, uno dei lavori più gettonati della “piccola lirica”.
Qui potete leggere la mia recensione per OperaClick.

Ieri poi, sempre su Arte (ma anche su SkyClassica) dopo il Don Giovanni di lunedì scorso, è andata in onda la Tosca di Puccini da Monaco.

Questa Tosca era già molto chiacchierata da tempo, perché la regia di Luc Bondy aveva suscitato polemiche all’esordio al Metropolitan di New York e l’anno prossimo è in cartellone alla Scala di Milano.
Ci aveva messo del suo anche Franco Zeffirelli che ha apostrofato così il collega: He is not second rate, he is third rate.
Bondy ha risposto così: I’m a third-rate director, and he is a second assistant of Visconti.
Insomma, uno di quei rari casi in cui hanno ragione entrambi i contendenti (strasmile).
In realtà a me la regia è sembrata più che altro bruttina ed inutile, con alcuni momenti di comicità involontaria.
I costumi di Milena Canonero (terribili quelli di Tosca, e assai sciatti e tetri in generale) e le scenografie di Richard Peduzzi (il secondo atto è tremendo) non aiutavano molto.
Come scordare la matura e matroneggiante Karita Mattila costretta a fare le moine come una liceale innamorata, col rischio che sgambettando le esca il polpaccio importante costretto nella calza contenitiva?
Oppure quando cerca di prendere a calci gli scherani di Scarpia e ancora un po’ dà una culata sulla rampa di scale? O quando sembra presagire, dopo aver ucciso Scarpia, il suicidio mediante salto nel vuoto (che quando dovrebbe esserci, cioè nel finale, non si vede)?
E che dire dello studio di Scarpia sullo stile di un pied á terre d’infimo ordine, con tanto di divani bordeaux e Spoletta che paga le zoccolette di turno?
Insomma, nessuno scandalo, solo vuoto mentale.
Dal lato musicale qualche lucina in un mare di tenebre.

Cominciamo da Jonas Kaufmann (qui sopra nell'allestimento di Bondy con Patricia Racette) e il suo Cavaradossi di questa recita.
The best Cavaradossi ever–  come mi dissero due suoi fan a Venezia? Per favore. Ma per favore!

Un canto perennemente a squarciagola (Recondita armonia urlato di brutto e calante all’inizio), qualche tentativo d’addolcire la voce con risultati rivedibili (nel duetto del primo atto, nella romanza finale): ne escono suoni sgradevolissimi, di pura gola, morchiosissimi. Un Cavaradossi muscolare e basta, da solida provincia.
In merito alla recitazione ripropongo la mia definizione di perenne “stupito stupore” del cantante tedesco, una specie di passepartout per tutti i personaggi che interpreta e che li accomuna, da Don José a Werther a Cavaradossi. Strabuzza gli occhi, fa salire e scendere il rigoglioso pomo d’Adamo, s’intristisce in un’espressione smarrita. Per non parlare della scena della tortura in cui si esibisce in due vagiti da fuori scena che lascerebbero pensare che il torturato sia un neonato. Ti verrebbe voglia di chiamare il telefono azzurro.
Detto questo, i risultati possono anche piacere ed io non discuto i gusti personali, ma almeno si abbia la decenza di non contrabbandarlo per una specie di artista rivoluzionario. È un tenore come ce ne sono altri e in questa parte non è neanche il migliore del panorama odierno. Meglio, molto meglio in altri repertori.
Karita Mattila è una grande artista, ma con Tosca non c’entra nulla, soprattutto ora che non è sorretta dalla forma vocale di qualche lustro fa (diciamo due). E poi conciata in quel modo, suvvia.
Spesso calante (il do della lama, solo per fare un esempio), spesso al limite dell’intonazione, con una prima ottava che definire artefatta è un eufemismo, quasi sempre costretta a ricorrere al “mestiere” per dare un senso a ciò che canta, il che significa sbracamenti di stampo veristeggiante il più delle volte.
Emoziona? Non lo so, da casa si vedevano e sentivano solo i difetti.
Per quanto riguarda lo Scarpia di Juha Uusitalo basta un aggettivo: pessimo. Immagino che il regista gli abbia chiesto di fare del barone una belva assatanata, ma non avrà certo insisitito perché canti così male! Stonato, calante, voce senescente e chioccia, sempre "indietro". Mi spiace, perché è un cantante che in altro repertorio (è un discreto Wotan, per esempio) se la cava abbastanza bene.
Accettabile poi, quale Angelotti, Christian Van Horn, così come sufficiente era il Sagrestano di Enrico Fissore, per il quale si deve almeno il rispetto per la lunga carriera.
Terribili tutti gli altri, ma proprio a livelli inaccettabili eh? E non sto parlano di caratterizzazione attoriale del personaggio, ché quella potrebbe essere una scelta imposta dal regista, ma proprio di professionalità nel canto.
Come sempre ho detto negli ascolti radiofonici o televisivi è difficile valutare il direttore d’orchestra, però mi pare che Fabio Luisi (auguri Maestro per il suo incarico al Carlo Felice di Genova) sia stato, dal punto di vista artistico, il migliore della serata.
Il pubblico ha apprezzato moltissimo lo spettacolo e ha tributato un trionfo enorme al divo Jonas, che ormai è già più un fenomeno di costume che un cantante lirico.
Meglio per lui, che vi devo dire.
Un caro saluto a tutti, buona settimana. 

Recensione semiseria del Don Giovanni dal Festival di Aix en Provence, ovvero “non l’avrei giammai creduto!”

Nei giorni scorsi sulla televisione satellitare Arte è andato in onda, in diretta differita di qualche minuto, il Don Giovanni di Mozart, dal Festival di Aix en Provence.

Prima considerazione: era davvero il Don Giovanni di Mozart? Può essere considerato ancora tale se il regista, in questo caso Dmitri Tcherniakov, già all’inizio ci vuole convincere che queste qui sotto e cioè le indicazioni di quei due coglionazzi di Da Ponte e Mozart:
 
La scena si finge in una città della Spagna.
 
Don Giovanni: giovane cavaliere estremamente licenzioso.
Donn’Anna: dama promessa sposa di Don Ottavio.
Don Ottavio: Duca.
Il Commendatore: padre di Donn’Anna.
Donn’Elvira: dama di Burgos abbandonata da Don Giovanni.
Leporello: servo di Don Giovanni.
Masetto: contadino, amante di Zerlina.
Zerlina: contadina.

 
Sono stronzate tanto grandi che bisogna rimescolare le carte in questo modo:
 
L’azione si svolge presso la casa del Commendatore.
 
Il Commendatore
Donna Anna: sua figlia.
Don Ottavio: il suo nuovo fidanzato.
Zerlina: la figlia di Donna Anna.
Masetto: il fidanzato di Zerlina.
Donna Elvira: la cugina di Donna Anna.
Don Giovanni: il marito di Donna Elvira.
Leporello: un parente che vive in casa del Commendatore.

 
E tutto perché il grande regista ha deciso che la vicenda si deve svolgere in un appartamento?
Io direi di no, che questo non è il Don Giovanni, ma un’elucubrazione del genio di turno o un libero adattamento dal Don Giovanni di Mozart, nella migliore delle ipotesi.
Ma vi pare che Don Giovanni possa essere sposato e avere figli? È possibile che Donna Anna, dopo che il padre è stato ucciso (per sbaglio, in questo caso, perché dà una capocciata alla libreria, giuro) indichi all’assassino da dove fuggire?
E taccio di altre incongruenze e follie, per carità di patria.
I protagonisti sono tutti vestiti molto trendy: Zerlina come una winx, Anna come una escort d’alto bordo, Elvira come una signora molto fashion, con tanto di low boot. Sono tutte carine, va detto, in particolare Elvira.
Gli uomini non so se sono belli o brutti, perché non so giudicare i maschi in questo senso, a meno che non siano brutti pe’esse’ brutti come me o acclaratamente belli come Erwin Schrott.
Don Giovanni era vestito come Marlon Brando nel film Ultimo tango a Parigi, ed era una scelta del regista anche questa, come sempre del regista è la decisione di farlo apparire come un semideficiente che sbava e fa le boccacce, una via di mezzo tra il Jack Nicholson più deteriore e Alvaro Vitali.
Ma, dico, Don Giovanni??? Il mitico Don Giovanni??? Per fortuna che il povero Cesare Siepi è morto prima di vedere questo scempio!
Bene, ora mi calmo un po’ e passo a due parole due sulla parte più squisitamente musicale.
Il libertino era interpretato da Bo Skovhus che è stato orribile: lo definirei un cantante diversamente intonato, tanto per essere politically correct. E calante spesso e volentieri, come se non bastasse. E afono, anche.
Una vera tragedia.
Leporello era Kyle Ketelsen, che non ha demeritato particolarmente ma che spesso dava la sensazione di non sapere ciò che stava dicendo e, come sappiamo, specialmente nei meravigliosi recitativi dapontiani, bisognerebbe avere contezza del testo, no?
Di Masetto, David Bizic, non ricordo nulla e probabilmente è un bene.
Don Ottavio era interpretato dal tenore Colin Balzer che ne ha fatto un decerebrato molle ed effeminato, dalla voce quasi bianca fastidiosa, irritante e dalla pronuncia e dizione imperscrutabili.
Il Commendatore era il basso Anatoli Kotscherga: terribile, orchesco, caricaturale, stonato.
Meglio le donne, decisamente.

Buona la prova del soprano Marlis Petersen, Donna Anna, anche se qualche acuto è sembrato stridente, ma sarebbe interessante capire come risultasse in teatro. Spesso la disgraziata ha dovuto cantare distesa o comunque in varie posizioni del Kamasutra.

Discreta l’Elvira di Kristine Opolais, anche lei spesso mezza nuda (e non me ne sono dispiaciuto, francamente), che ha reso bene la nevrosi del tormentato personaggio.
Molto scadente invece Kerstin Avemo che ha una voce striminzita e spesso fissa e asprigna, sgradevole.
Ci sarebbe da questionare molto sulla scelta di barocchizzare il Don Giovanni, però è certo che la direzione di Louis Langrée (sul podio della Freiburger Barockorchester) è stata pesante, fracassona, letargica e, insieme ai lunghi cambi scena imposti dalla regia, responsabile di momenti di grande noia e fastidio.
Insomma, dal lato musicale qualcosa di buono si è sentito (poco) ma erano gocce in un oceano di volgarità e mistificazione intellettuale.
E poi non scherzate sulle mie opere preferite, ché divento una bestia.
Il pubblico ha giustamente sbertucciato il regista alla fine, ma anche durante la rappresentazione.
Meno male.
Un saluto a tutti e chiedo scusa se non mi faccio vedere nei vostri blog, ma non è un momento particolarmente felice.