Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Mahler e Strauss, colti in composizioni giovanili, protagonisti con il Quartetto Werther alla Società dei Concerti di Trieste.

Un’altra serata dedicata alle composizioni per “quartetto” nella stagione della Società dei Concerti di Trieste: protagonista il Quartetto Werther che ha eseguito pagine musicali di Mahler/Schnittke e Strauss.
L’ensemble è costituito da giovani musicisti che hanno studiato insieme in Conservatorio dove hanno trovato unità d’intenti e passione comune.
Gli esiti artistici di questo affiatamento si sono manifestati subito, perché già nel 2020 si sono aggiudicati il Premio Abbiati, conferito dall’Associazione Nazionale Critici Musicali di cui chi scrive fa immeritatamente parte.
Il tema del concerto erano brani di due giganti della Musica come Mahler e Strauss colti in composizioni giovanili, prima che diventassero appunto celeberrimi.
Nel caso del quartetto di Mahler la situazione è singolare, perché c’è stato sul lacerto di musica autografa un intervento aggiuntivo di Alfred Schnittke, compositore russo polistilista dalla vita assai travagliata, che nel 1988 riesumò le note mahleriane e ne prese ispirazione per uno Scherzo in cui le atmosfere classicheggianti vengono inghiottite dalle inquietudini del Novecento.
Il risultato è avvincente ma piuttosto straniante, perché la transizione tra i due movimenti è sembrata violenta e piuttosto artefatta.
Diverso il discorso per quanto riguarda i Cinque pezzi per quartetto con pianoforte di Richard Strauss, una raccolta forse non troppo omogenea nell’ispirazione ma che comunque lascia intravedere in nuce lo straordinario talento visionario del Compositore, soprattutto nella trascinante e originale Arabischer Tanz.
Dopo l’intervallo è stato eseguito, sempre di Strauss, il Quartetto in do minore op.13 in cui si fiuta una diversa maturità espressiva che si manifesta con una pagina musicale di ampio respiro sinfonico nonostante l’organico ridotto.
Per chi conosce la musica di Strauss la sensazione è stata quasi di percepire l’afflato di un artista pronto al decollo ma ancora trattenuto a terra da qualche remora psicologica.
I giovani del Quartetto Werther sono stati protagonisti di una prova maiuscola per pertinenza stilistica, pulizia interpretativa e tecnica. Inoltre, il gruppo trasmette una piacevole sensazione di empatia col pubblico e di divertimento nel fare musica insieme, che si evidenzia anche con un portamento equilibrato e disinvolto sul palco.
Più volte chiamati al proscenio, hanno proposto come bis una elettrizzante interpretazione del Rondò del Primo quartetto in sol minore di Brahms che da sola valeva la partecipazione alla serata.

ViolinoMisia Iannoni Sebastianini
ViolaMartina Santarone
VioloncelloVladimir Bogdanovic
PianoforteAntonio Fiumara
  
Gustav Mahler/Alfred SchnittkeQuartetto in la minore per pianoforte e archi
Richard StraussCinque pezzi per quartetto con pianoforte
Richard StraussQuartetto in do minore op.13
  
Quartetto Werther

Mahler, Schumann e… Svevo al Teatro Verdi di Trieste. Grande prestazione della compagine orchestrale triestina guidata dal Maestro Enrico Calesso.

Il 2023 è l’anno del centenario della pubblicazione di “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, romanzo iconico per noi triestini e non solo.
Soprattutto nelle ultime settimane le celebrazioni si sono susseguite senza soluzione di continuità: dibattiti, pièce teatrali, manifestazioni varie che hanno coinvolto tutta la città.
In questa temperie il Teatro Verdi di Trieste, massima istituzione culturale della regione, ha dato un importante contributo programmando per l’ultimo concerto della stagione sinfonica una pagina musicale di Giulio Viozzi – compositore triestino – dedicata proprio al concittadino scrittore: “Musica per Italo Svevo”, un brano sostanzialmente sconosciuto che è stato riscoperto recentemente e che risale al 1962.
È sempre difficile dare un giudizio al primo ascolto, ma qualche indicazione si può esprimere.
Scritta per una grande orchestra, la pagina musicale è tipicamente novecentesca come ha ben spiegato Enrico Calesso, all’esordio ieri nelle vesti di nuovo Direttore stabile della fondazione triestina.
Il tema inziale percorre tutto il brano ed è di carattere principalmente eroico, tanto che ascoltando – nonostante l’interruzione di un cellulare, il mio – il primo accostamento che m’è passato per la testa è stato con la colonna sonora di qualche film. L’uso piuttosto intenso delle percussioni e i contrasti dinamici mi hanno anche ricordato Stravinsky e il Puccini della Turandot, ma sono codeste suggestioni di un modesto recensore che ha anche apprezzato la splendida prova degli archi gravi.
Difficile, anche per chi come me conosce quasi a memoria il romanzo di Svevo, trovare qualche collegamento con le vicende di Zeno Cosini.
A seguire, dopo l’immersione nell’esprit di una Trieste culla della Mitteleuropa e fucina di talenti trasversali, il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra op.54 di Robert Schumann, interpretato da Massimo Gon.
Strutturato in tre movimenti – l’Intermezzo e l’Allegro sono stati eseguiti senza interruzione, come da indicazioni del Compositore – il brano è uno dei capisaldi del Romanticismo ed è un esempio di dialogo alla pari tra orchestra e solista, che si compenetrano in un flusso sonoro in cui quasi mai prevale un virtuosismo esasperato e che esalta la poetica di una narrazione a tutto tondo innervata da mutevoli stati d’animo screziati da tenere malinconie. Molto buona la prestazione dei legni, nello specifico.
Gon ha un tocco delicato, quasi timido nella sua dolcezza e nella raffinata eleganza nell’affrontare gli arpeggi che ha reso luminosa e al contempo riflessiva, in alcuni momenti quasi ombrosa, l’esecuzione. Successo pieno, suggellato da due bis dedicati a Chopin e Scarlatti.

Dopo l’intervallo è stato servito il piatto forte della serata, la Prima sinfonia in re maggiore di Gustav Mahler che credo non abbia bisogno di presentazioni, sia perché è notissima sia perché è una delle vette più alte della musica sinfonica tout court.
E qui ci starebbe un lungo e particolareggiato peana all’Orchestra del Verdi che, come più volte rilevato nelle recensioni – non solo qui su OperaClick, ma ovunque ci sia qualcuno sensato che si occupa di musica –  va a concludere un anno in cui l’ensemble di casa ha acclarato una crescita artistica e professionale straordinaria. E questa crescita si è manifestata in tutte le sezioni, credo di poterlo affermare con sicurezza visto che seguo le recite di musica lirica e sinfonica da…qualche anno: diciamo cinquanta.
Il Titano presenta enormi difficoltà esecutive – insomma, è Mahler, il rischio di confondere tutto in un indistinto magma sonoro è altissimo – eppure ieri il suono è uscito pulito, devastante nelle dinamiche impreziosite da agogiche che non erano pigre, bensì meditate e analitiche, che è tutt’altra cosa.
Gli archi gravi e gli ottoni sono stati straordinari (bravissima Chiara Molent, primo contrabbasso della fondazione), ma tutte le sezioni hanno suonato in modo eccellente.
Le compagini orchestrali hanno però bisogno di una guida per rendere al meglio e ieri, anche se sembra superfluo sottolinearlo, Enrico Calesso ha dato una lettura davvero emozionante di questo formidabile affresco naturalistico di Mahler, in cui c’è tutta un’umanità che si esprime con slanci popolareschi di danze, di fiabe per bambini dai risvolti resi lugubri e grotteschi, di gioie e di dolori. Di vita, una vita palpitante come la parabola di tutti noi nel nostro breve viaggio sulla terra.
Il pubblico, assai numeroso, ha capito l’impegno e la passione dei protagonisti e li ha premiati con un tripudio di applausi e innumerevoli chiamate al proscenio.

Giulio ViozziMusica per Italo Svevo per orchestra sinfonica
Robert SchumannConcerto in la minore op.54 per pianoforte e orchestra
Gustav MahlerPrima sinfonia in re maggiore
  
DirettoreEnrico Calesso
PianoforteMassimo Gon
  
Orchestra del Teatro Giuseppe Verdi di Trieste



A Lubiana è il tempo delle grandi orchestre. La Royal Concertgebouw e Iván Fischer esaltano la Settima di Mahler

Al Festival di Lubiana è tradizione invitare grandi orchestre e anche questa edizione non fa eccezione.
Ieri è stata la volta della Royal Concertgebouw di Amsterdam diretta da Iván Fischer e nei prossimi giorni toccherà alla Boston Symphony Orchestra (Andris Nelsons) e per il concerto di chiusura alla Gewandhaus di Lipsia con il grande vecchio Herbert Blomstetd.
La Sinfonia n.7 in mi minore di Mahler è una pagina musicale impressionante che rispecchia in pieno la lacerata e controversa personalità del compositore che vi lavorò incessantemente e con furore – come riporta la moglie Alma –  quasi sino alla prima, che si svolse a Praga nel 1908.
Strutturata in cinque movimenti che comprendono due Nachtmusiken, il brano ha carattere mutevole ma persino sovrabbondante di effetti coloristici in cui convivono felicemente marce e atmosfere eteree. L’organico orchestrale è quello proverbialmente ampio di Mahler, particolarmente ricco nelle percussioni (timpani, piatti, grancassa, glockenspiel, triangolo, frusta, campanacci e campana) e prevede anche la chitarra e il mandolino nella seconda Nachtmusik.
Iván Fischer ha scelto un’interpretazione che definirei barbarica e rutilante, addirittura brutale in certi momenti, ma che ha restituito in pieno l’espressività e il contrasto di sentimenti di cui la musica è ambasciatrice. Nonostante ciò, il controllo delle dinamiche non gli è mai sfuggito di mano. In questo modo le poche oasi più serene della sinfonia sono emerse in modo prepotente e hanno avuto un nitore spirituale ancora più rilevante. Le agogiche tese, agitate, hanno innervato di grande tensione tutta l’esecuzione.
L’orchestra ha risposto come era lecito aspettarsi dal suo rango e cioè in maniera strepitosa in tutte le sezioni.
Formidabili gli archi gravi con gli otto contrabbassi che hanno fatto un lavoro incredibile, dialogando e al contempo sostenendo con vigore i continui colloqui con i legni. Lucenti e precisi gli ottoni, con i corni in grande evidenza. Le percussioni hanno restituito quelle sfumature agresti che profumavano di una ruralità antica e, probabilmente, ormai perduta.
Nel Rondò finale, che è una specie di sintesi di buona parte dell’inventiva mahleriana, l’emozione suscitata dal fluire della musica è stata rafforzata proprio dalla straordinaria coesione della compagine. Eccellente, tra gli altri, la prestazione della Konzertmeister.
il pubblico, numeroso ma forse meno folto del solito a causa delle proibitive condizioni atmosferiche, ha tributato un quarto d’ora di acclamazioni e applausi a direttore e orchestra.

Gustav MahlerSinfonia n.7 in mi minore
  
DirettoreIván Fischer
Royal Concertgebouw Orchestra



Mahler e Schönberg in versione cameristica a Lubiana convincono anche in…chiesa!

Come ho scritto nella recensione di ieri, il Festival di Lubiana appartiene a tutto il territorio della capitale slovena in cui abbondano, tra le altre meraviglie, numerose chiese.
E proprio nel comprensorio di Križanke, uno dei principali monumenti architettonici di Lubiana, è allocata la Chiesa di Nostra Signora della Misericordia dove spesso si tengono concerti per orchestre da camera e altro.
È un edificio piccolino, ricco di storia, che può contenere circa duecento persone, che anche in quest’occasione hanno affollato il concerto inserito nella manifestazione.
Le pagine musicali previste dal programma erano due: il celeberrimo sestetto per archi Verklärte Nacht di Arnold Schönberg e l’arrangiamento dello stesso compositore di Das Lied von der Erde di Gustav Mahler nella versione per tenore e baritono.
Schönberg, prima di diventare la bandiera dell’Espressionismo musicale ha percorso anche strade più ortodosse ed è bene diffondere e conoscere anche le radici che hanno poi dato vita al suo rivoluzionario albero compositivo.
L’esecuzione è stata affidata all’Ensemble Dissonance di cui fanno parte professori d’orchestra che suonano abitualmente con le maggiori compagini slovene ed era diretto, ieri, da Jonathan Stockhammer. I solisti erano due giovani cantanti, il tenore austriaco Paul Schweinester e il baritono sloveno Jaka Mihelač.
Prima dell’inizio è stata ricordata Brigiti Pavlič, scomparsa prematuramente quest’anno in gennaio e a lungo attiva a Lubiana e Maribor come dirigente teatrale.
Ispirata da una poesia di Richard Dehmel che Schönberg riteneva indispensabile avere presente durante l’ascolto e che per me contiene in nuce l’esile trama della successiva Erwartung, Verklärte Nacht è una pagina musicale in cui echeggiano reminiscenze wagneriane e non solo, dove i cromatismi degli archi sembrano rincorrersi e al contempo allontanarsi creando un’atmosfera suggestiva e ipnotica.
Molto bravi tutti gli interpreti tra i quali –  senza togliere nulla agli altri –  è spiccato il contributo del violino di Kana Matsui e della viola di Roberto Papi.
Dopo un brevissimo intervallo è stata la volta dell’esecuzione di Das Lied von der Erde che, dal mio punto di vista, è stata più problematica. Non per particolari mende degli interpreti, anzi, ma perché l’acustica dell’ambiente ha un po’ inficiato l’equilibrio musicale.
Almeno dalla mia posizione le voci dei cantanti – che magari non saranno state grandi, ma certo sono parse espressive – sono state spesso coperte dai legni che risuonavano con grande vigore, mentre per esempio il pianoforte e l’harmonium si percepivano appena. Nonostante ciò è stata una bella interpretazione perché, pur nell’arrangiamento forzatamente minimalista, il senso del ciclo della vita e della morte, dell’alternarsi delle stagioni e delle tante domande prive di risposta che Mahler – il quale morì senza ascoltare il suo lavoro – lascia come briciole sullo spartito è stato pienamente sviscerato.
La Marcia Funebre in particolare, è sembrata quasi guadagnare in asciuttezza e drammaticità dalla riduzione cameristica.
I due solisti – a mio gusto la versione è più efficace con un contralto, ma non è certo un problema – hanno cantato bene. Paul Schweinester è tenore di bella voce lirico leggera, partecipe e preciso, e allo stesso modo il baritono Jaka Mihelač è sembrato cosciente che nel Lied l’accento, lo scavo della parola, la dizione e la pertinenza stilistica sono fondamentali.
Alla fine successo pieno, con numerose chiamate all’…altare per tutta la compagnia artistica.


Arnold SchönbergVerklärte Nacht
Gustav MahlerDas Lied von der Erde (arrangiamento Schönberg)
  
DirettoreJonathan Stockhammer
  
TenorePaul Schweinester
BaritonoJaka Mihelač
  
Ensemble Dissonance

Festival di Lubiana: Manfred Honeck e Hélène Grimaud in concerto con la Pittsburgh Symphony Orchestra

Grande serata, tra le migliori degli ultimi anni.

In attesa dei Recital di Juan Diego Flórez, della coppia Anna Netrebko&YusifEyfazov e della serata dedicata a Plácido Domingo – su quest’ultima si stanno addensando nubi minacciose, come probabilmente saprete – il Festival di Lubiana procede con appuntamenti di altissimo livello artistico.
Nella grande sala del Cankarjev dom, vicina al sold out anche in quest’occasione, è stata ieri la volta della Pittsburgh Symphony Orchestra guidata dal suo direttore, Manfred Honeck, e della magnifica Hélène Grimaud al pianoforte.
Il concerto è principiato con la musica di un compositore poco noto al grande pubblico, Erwin Schulhoff, del quale è stata eseguita una pagina affascinante e cioè i Cinque pezzi per quartetto d’archi nella versione per orchestra.
Schulhoff, ceco nato a Praga, è stato uno dei rappresentanti di quella Entartete Musik (Musica degenerata) duramente colpita dalla follia del Nazismo di cui lo stesso compositore è stato vittima. Deportato più volte nei campi di concentramento, morì in un Lager nel 1942.
Nella pagina musicale proposta, scritta negli anni Venti del secolo scorso, si riconoscono numerose suggestioni: da Berlioz a Stravinskij, da Bartók a Schönberg sino al blues e al jazz.
Manfred Honeck ne ha dato un’interpretazione vigorosa e adrenalinica, che ha evidenziato la brillante ispirazione del compositore sia nelle parti più rilassate sia in quelle più scoppiettanti.
Formidabile in toto l’apporto dell’orchestra, con percussioni, ottoni e legni in grande evidenza che hanno scatenato l’entusiasmo del pubblico.
Hélène Grimaud, oltre che pianista di grande valore, è un personaggio a tutto tondo. Impegnata nel sociale, ecologista, l’artista francese mi è sembrata accostarsi al Concerto per pianoforte e orchestra in sol maggiore di Ravel con aristocratica timidezza, con quella scarna umiltà scevra da effetti speciali che spesso disturba le esibizioni delle star.
E questa leggerezza ed eleganza è stata trasferita nell’interpretazione della pagina musicale, che vive di momenti quasi jazzistici (il Presto finale) e atmosfere rarefatte, purissime e sognanti (Adagio assai, uno degli scorci magici della serata).
La grande sintonia emotiva tra solista e direttore ha poi connotato l’esecuzione di una particolare sensazione di gioia, anche grazie a una prestazione straordinaria dell’orchestra di cui è impossibile non segnalare gli interventi dell’arpa e del corno inglese.
La Grimaud è parsa perfettamente a proprio agio, quasi che il concerto le fosse stato cucito sartorialmente addosso – e del resto Ravel lo pensò per una donna, la pianista Marguerite Long – dimostrando un invidiabile controllo delle dinamiche e un virtuosismo liquido e al contempo espressivo.
Dopo l’intervallo il protagonista è stato Gustav Mahler con la sua Sinfonia n1 in re maggiore.

Pietra miliare del sinfonismo mahleriano, la Prima Sinfonia è percorsa da un sottile fremito d’inquietudine che s’intuisce già nel naturalismo del primo movimento, sembra quasi scomparire nell’apparente spensieratezza del Länder del secondo e riaffiora, come un fiume carsico, nella grottesca e macabra citazione di Frére Jacques del terzo per poi esplodere tragicamente nel drammatico quarto tempo.
Manfred Honeck, che ha diretto a memoria, ha colto le contraddizioni e la magniloquenza della partitura, esaltandone vigorosamente sia le spigolosità sia gli sprazzi melodici in un fluire di colori e fraseggio orchestrale quanto mai lontani dalla mesta metronomicità che affligge – soprattutto nel terzo movimento – le esecuzioni di routine.
L’orchestra ha dato spettacolo per la precisione delle percussioni, il legato degli archi, le good vibration degli ottoni, la morbidezza dei legni.
Alla fine trionfo grandioso per Honeck e la sua spettacolare compagine, che hanno concesso anche due bis per un pubblico che non voleva saperne di andarsene.

Erwin SchulhoffCinque pezzi per quartetto d’archi
Maurice RavelConcerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra
Gustav MahlerSinfonia n1 in re maggiore
  
DirettoreManfred Honeck
PianoforteHélène Grimaud
  
Pittsburgh Symphony Orchestra

Un Mahler cameristico al Festival di Lubiana. Qualche perplessità sulla distribuzione dei brani non inficia una serata assai gradevole.

Continuano le mie trasferte al Festival di Lubiana e gli esiti artistici sono sempre felici, nonostante qualche distinguo.

Come sottolineato più volte il Festival di Lubiana, giunto alla 70esima edizione, si caratterizza sia per la presenza di noti artisti e grandi orchestre sia per l’ampia presenza sul territorio della capitale slovena anche al di fuori del circuito delle sale da concerto e dei teatri.
La serata di stasera ne è stata ulteriore conferma, perché si è svolta in una chiesa, la barocca Križevniška Church (Nostra Signora dell’aiuto), gremita sino al limite della capienza da spettatori di varia estrazione sociale e culturale: si andava dal turista di passaggio al critico, dall’appassionato di musica sinfonica al giovane curioso. Un’istantanea di cosa dovrebbe essere la cultura nel suo senso più nobile, un mezzo che unisce genti diverse nel nome dell’Arte e della bellezza.
La serata era dedicata a Gustav Mahler, qui colto in due tra le sue composizioni più famose e quasi coeve: il ciclo dei Rückert-Lieder e la Sinfonia n.5 in do diesis minore. Entrambe le pagine musicali erano arrangiate per orchestra da camera – circa una ventina di elementi – rispettivamente da Eberhard Kloke (Lieder) e Klaus Simon (Sinfonia).
Una proposta raffinata e interessante ma che è stata proposta in modo discutibile e cioè alternando i Lieder ai movimenti della sinfonia, circostanza che ha tolto continuità di narrazione e quindi partecipazione emotiva a entrambe le composizioni.
Brillante, invece, l’esecuzione da parte dell’Ensemble Dissonance, una formazione orchestrale mista che accoglie elementi di varie compagini locali, tra cui Kana Matsui che è il Konzertmeister delle due principali orchestre slovene.
Sul podio c’era Jonathan Stockhammer il quale, dosando con attenzione le dinamiche considerata la particolare acustica della chiesa e l’organico ridotto, è riuscito a essere efficace sia nell’interpretazione della sinfonia sia nell’accompagnamento cameristico dei Ruckert-Lieder.
Ovviamente, alcuni passaggi dell’iniziale Trauermarsch sono stati penalizzati per mancanza di…polpa orchestrale ma era inevitabile. Al contrario, l’Adagietto è uscito scandalosamente commovente anche grazie alla bravura dei professori d’orchestra che sono tutti da elogiare, con un particolare cenno di merito alle percussioni e alla tromba.
Per quanto riguarda Nika Gorič, giovane artista slovena in ascesa, spendo volentieri parole di sincera ammirazione.
Elegante nella figura e nel portamento, raffinata nel porgere la parola, dotata di una bella voce di soprano leggero screziata da sfumature ombrose e di acuti saldi e penetranti, è sembrata perfettamente a proprio agio nella difficile tessitura dei Lieder. Inoltre, Gorič è artista moderna, capace di accentuare e valorizzare con una mimica di classe gli alterni sentimenti del tardo romanticismo mahleriano.
Alla fine successo calorosissimo per tutti, con Stockhammer e Gorič chiamati più volte alla ribalta e festeggiati anche dall’orchestra.

Gustav MahlerSinfonia n.5 in do diesis minore
Gustav MahlerRückert-Lieder
  
DirettoreJonathan Stockhammer
SopranoNika Gorič
  
Ensemble dissonance

Myung-Wung Chung e la Nona di Mahler al Teatro La Fenice: un’esperienza quasi mistica.

Come sapete non sono facile ai trionfalismi, ma in quest’occasione è difficile mantenere compostezza nello scrivere.
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La stagione sinfonica 2016 e il Rigoletto d’apertura della stagione lirica 2016-2017.

Questa è l’ultima recensione che firmo per La Classica Nota, una creatura che ho amato moltissimo e che mi ha dato tante soddisfazioni e anche qualche amarezza.
Per fortuna la musica NON finisce mai.
Sipario.

 

Per me era finita così, ma dopo qualche mese è successo questo e perciò mi sono sentito in dovere di reagire.

Con questo articolo rimedio, parzialmente, alla folle e criminale decisione di un oscuro censore del Piccolo, quotidiano di Trieste, di cancellare dalla Rete il blog d’autore La Classica Nota di cui ero titolare.
Per l’ultima volta chiedo scusa a tutti gli artisti e al Teatro Verdi per l’incresciosa situazione e per i perversi accadimenti.
Il prossimo post sarà finalmente normale, nel senso che parlerà di Evgenij Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij, operà che aprirà la stagione lirica di quest’anno.
Ovviamente le statistiche qui, su Di tanti pulpiti, sono alle stelle. Ci tengo a sottolinearlo anche se nella contingenza è del tutto marginale.
Qui ci sono anche alcune foto del Rigoletto di cui sopra, per provare a immergerci nel magico clima del teatro lirico. Leggi il resto dell’articolo

Tra Paganini e Mahler, al Teatro Verdi compaiono due grandi della musica di tutti i tempi, per non parlare di Paganini.

Come ho titolato, spero efficacemente, su OperaClick, ieri sera al Teatro Verdi aleggiava uno spirito ed era, indovinate un po’, quello di Jimi Hendrix!
Ora invece, mentre mi sto stendendo questa piccola introduzione alla cronaca di ieri sera, è il momento di ricordare che oggi 14 ottobre, nel 1990, ci lasciava per sempre Lenny Bernstein, che di Gustav Mahler è stato uno dei più grandi intrepreti di cui ci sia traccia.
Io continuo ad adorare entrambi questi due giganti, e spero che l’accostamento non suoni irrispettoso per nessuno dei miei happy few. Sono due delle tante facce di questo blogger che si chiama Amfortas aka Notung aka Paolo Bullo.
So che mi amate (?) anche per questo.
Un saluto a tutti!

Dopo la sosta della settimana scorsa, dovuta alla furiosa sarabanda della regata Barcolana che monopolizza la città fagocitando l’interesse per qualsiasi altro evento, al Teatro Verdi è ripresa la stagione sinfonica. E, lo sottolineo subito, teatro finalmente affollato come dovrebbe essere sempre.
Gli Angeli e demoni – tema conduttore di quest’anno – avevano per l’occasione l’aspetto sulfureo di Niccolò Paganini e quello soave di Gustav Mahler colto in una delle opere più morbide, anche se io definirei più realisticamente ambigua la sua Quarta sinfonia.
Di Paganini mi piace ricordare un’istantanea del grande Heinrich Heine il quale, nelle Florentinische Nächte, descrive così il musicista durante un’esibizione:

Dietro a lui s’agitava uno spettro, la fisionomia del quale rivelava una beffarda natura di caprone e talvolta vedevo due lunghe mani pelose (le sue, pareva) toccare le corde dello strumento suonato da Paganini. Talvolta esse gli guidavano pure la mano onde reggeva l’arco e risate belanti d’applauso accompagnavano i suoni che sgorgavano dal violino sempre più dolorosi e cruenti. Leggi il resto dell’articolo

Il Lied trionfa al Verdi di Trieste nell’ambito della stagione della Società dei concerti.

Insomma, bella serata ma nonostante il successo e la buona partecipazione di giovani, speravo in un’affluenza più nutrita. La Juventus però ha vinto, nonostante le mie maledizioni ad Allegri che ha lasciato in tribuna Bonucci (strasmile).c1 Leggi il resto dell’articolo