Purtroppo, non tutte le ciambelle riescono col buco.
Credo che questa frusta, abusata ed anche un po’ volgare frase fatta si presti bene, forse meglio di tante parole, a descrivere la serata di ieri sera, dedicata alla presentazione del libro “Inadatti al Volo”.
Però mi pare giusto, dal momento che vi ho tediato, forse in modo del tutto inopportuno, con le mie aspettative, dare conto a tutti della frustrazione di cui sono preda the day after.
Comincio dalle crude cifre.
Un mio amico di cui non farò il nome, perché francamente già mi sembra per lui una pena insopportabile che io lo citi anonimamente, mi ha riferito che il pubblico, diciamo così, è stato scarsissimo: 71 persone, escludendo, ovviamente, i cosiddetti autori presenti ed il relatore, modestissimo insegnante, per caso approdato al titolo di Preside della Facoltà di Psicologia di Trieste.
Tenete presente che nello stesso Café Rossetti, qualche tempo fa, una notissima professoressa universitaria, autrice di un testo di scarsissima rilevanza sulle implicazioni del teatro di Italo Svevo, raccolse almeno una trentina di persone distratte e solo una dozzina erano del suo entourage universitario.
Non posso celare la mia delusione non tanto per il numero risibile di partecipanti quanto per la qualità e la provenienza degli stessi: tutti i loschi individui, e non sto a fare distinzioni di sesso, che hanno avuto una qualche rilevanza nella mia vita, erano presenti.
Sembrava una serata dedicata alla puntuale conferma delle ferali e proditorie teorie lombrosiane.
La delusione più grande, da questo punto di vista, mi è stata consegnata da un altro amico che, in lacrime e paralizzato dall’emozione, ha osato chiedermi una dedica sulla copertina dell’orrido libello in questione. Questo rituale tristissimo della dedica si è ripetuto più volte alla fine della presentazione, anche da parte di perfetti sconosciuti, non voglio nascondervelo perché la mia vergogna ed umiliazione devono essere palesi.
Ma voglio, devo, stracciarmi pubblicamente le vesti.
Consiglio, a questo punto, chi è costretto a convivere con un’emozionalità periclitante e morchiosa, di non leggere oltre.
Ebbene, sono stato costretto a leggere il mio disdicevole contributo all’antologia.
La mia voce chioccia, querula, stimbrata, sgradevole ed orrendamente connotata di quella triestinità di cui mi vergogno profondamente, ha tediato in modo inverecondo i pochissimi astanti per circa dieci minuti.
Alla fine, in un impeto liberatorio dettato dal nervosismo, dallo sdegno e dal fastidio accumulatisi, l’insignificante ed esigua pattuglia di borderline e dropout che ascoltava immobile e silenziosa (segno anche questo di evidenti alterazioni genetiche), per porre il sigillo alla mia umiliazione ha applaudito istericamente. Un gesto altamente simbolico, uno schiaffo morale che mi sono meritato ma che non copre il rossore paonazzo della mia vergogna.
Lo so, sono parole che non avreste voluto leggere ma, nonostante sia ovunque additato come esempio d’insensibilità non posso tacere, almeno questa volta, la realtà delle cose.
La mia compagna di sventura letteraria, Beatrice, una donna che vive ai margini della società sfruttando freddamente le disgrazie altrui, si è comportata, se possibile, peggio di me.
Pensate che per far ancora più male allo sparuto manipolo di esausti astanti, già duramente provati dalla mia penosa esibizione di miseria umana, ha ingaggiato, sordidamente, un’attrice professionista per leggere il suo scadentissimo e superficiale racconto, che tratta, gonfiandolo di una retorica insopportabile, di un problema di irrilevante valenza sociale e, come se non bastasse, costellato di domande, riflessioni, del tutto incomprensibili ai più.
Anche a lei, che nasconde la sua natura luciferina sotto le mentite spoglie di una ragazza mite, il pubblico sfinito non ha potuto fare a meno di appalesare il proprio rancore battendo aritmicamente le mani. Molte persone, addirittura, non sono riuscite a trattenere le lacrime, rose dalla rabbia e dal disappunto.
Una serata che si è conclusa degnamente con un’orrida gozzoviglia generale in un locale frequentato dalla peggiore feccia cittadina. In questa brodaglia (in)umana galleggiavano evidenti, come putridi escrementi in una fogna a cielo aperto, ( e qui credetemi mi vergogno sul serio, tanto che scrivere queste poche battute mi costa una fatica immensa ) degli elementi che a stento posso definire appartenenti alla nobile tradizione culturale occidentale…tenetevi forte…sì, ve lo dico…erano…comunisti!!!
Forse, ieri sera, sono arrivato alla fine di una discesa morale agli inferi che sembrava inarrestabile.
Forse, ho davvero toccato il fondo.
Ora, non posso far altro che risalire.
E come testimonianza di questa mia volontà di rinascita, di quest’anelito incontenibile e gioioso di redenzione vi giuro che questa sera guarderò il Festival di Sanremo alla televisione. (sì, come no)
Buon fine settimana a tutti. (ultrastrasmile)
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