Daland è stato alla Scala ieri sera, credo sia importante leggere anche la sua opinione sulla Carmen.
Proseguono le recite della Carmen alla Scala di Milano, e un paio di giorni fa è andata in onda su SkyClassica la prima replica della serata inaugurale di Sant’Ambrogio, ma alla registrazione manca un pezzo:
i fischi alla regista Emma Dante sono scomparsi. Sono rimaste, invece, le disapprovazioni a Adriana Damato, il soprano che interpreta Micaela.
Mi sembra veramente una brutta azione.
In primis perché, a torto o a ragione, i fischi alla Dante ci sono stati, clamorosi (
qui la mia recensione) e si sono ripetuti seppur in tono minore nelle recite successive, e poi perché non si capisce come mai la Damato debba avere un trattamento diverso dalla regista, per non parlare della pura e semplice mistificazione della realtà di stile orwelliano.
Forse alla Scala, dove tutti i dirigenti pensano ancora di essere alla guida del più prestigioso teatro del mondo, mentre non è più così da decenni, qualcuno dovrebbe farsi un esame di coscienza.
Bene, detto questo, ho pensato che avrebbe potuto essere interessante riproporre qui l’intervista che ho fatto al basso baritono Erwin Schrott per
OperaClick, qualche giorno
prima della prima.
Ah sì, tra l’altro ora OperaClick è come Nadia Cartocci,
su Facebook (strasmile).
Erwin Schrott torna alla Scala di Milano con la Carmen che quest’anno apre la stagione operistica.
Il cantante uruguaiano, al contrario di molte altre star della lirica, s’esibisce abbastanza spesso in Italia. Pur essendo ancora giovane, ha già cantato a Firenze, Napoli, Torino, Parma, Roma, insomma è un artista affezionato al nostro paese.
OperaClick non poteva lasciarsi sfuggire l’opportunità di fare quattro chiacchiere col prossimo Escamillo scaligero. Ne è uscita un’intervista a tutto campo, nella quale il basso baritono fa anche sfoggio di un ottimo senso dell’umorismo che ci rivela qualcosa anche del suo lato umano, oltre che professionale.
M° Schrott come e quando si è accorto che la musica lirica, il canto, avrebbe potuto diventare la sua professione?
La prima volta che ho cantato davanti a un pubblico che non fosse solo la mia famiglia avevo otto anni, è stata la prima volta che ho messo piede su un palcoscenico d’opera e ancora me lo ricordo. Ma la realizzazione che cantare sarebbe diventata la mia professione è venuta successivamente, di sicuro non a otto anni! Quando ne parlavo con i miei amici e dicevo “voglio fare il cantante d’opera” ricevevo come risposta delle sonore risate, forse perché pensavano che per un uruguaiano diventare cantante lirico non fosse una cosa molto comune, ma un po’ per testardaggine, ma soprattutto per amore della musica, mi sono messo a studiare costantemente e seriamente per realizzare il mio sogno. In ogni caso provenire da una famiglia molto unita in cui la musica, non solo l’opera, ma tutta la musica, è sempre stata presente mi ha aiutato moltissimo.
C’è stato qualcuno o qualcosa che l’ha convinto ad avvicinarsi all’opera?
Mi sono convinto da solo. Lo faccio principalmente perché mi piace, non lo vedo tanto come un mestiere, ma come la fortuna di poter vivere facendo qualcosa che mi piace. Anche il sostegno della mia famiglia, degli amici, delle persone a me care è il carburante che mi aiuta ad andare avanti. Ovviamente, oltre che per me stesso, canto per il pubblico, e quello dell’opera è giustamente molto esigente, perciò quando a loro piaccio è una gratificazione in più oltre alla gratificazione che mi dà la musica – e non parlo solo di quando la faccio io, ma anche di quando l’ascolto – ancora oggi se sento la voce della Callas mi vengono i brividi, ed è una sensazione bellissima.
Le reazioni del pubblico e della critica hanno avuto un peso nella scelta del suo repertorio?
Più che la critica ha principalmente influito l’autocritica. Ho studiato e continuo a studiare molte opere che mi piacciono ma che poi ho deciso di accantonare, per una serie di motivi: perché non penso di essere all’altezza o di non esserlo ancora, perché in un primo momento credevo che la mia voce potesse essere adatta a quella determinata opera e invece poi mi accorgo che non lo è… Ci sono numerosi motivi. Per ora ho, in fin dei conti, un repertorio abbastanza esclusivo, circoscritto, ma oltre al fatto di scegliere attentamente le opere da interpretare, è limitato anche perché scelgo di tenere un po’ di tempo per me: non posso cantare sempre, tutti i giorni, ho la necessità di passare del tempo con la mia famiglia, o semplicemente di riposare. Parallelamente a queste considerazioni personali, poi, c’è il fattore pubblico: come dicevo prima non canto solo per me stesso, quando sono sul palcoscenico canto soprattutto per il pubblico, persone che pagano un biglietto e giustamente poi desiderano vedere uno spettacolo che li soddisfi, che li faccia fantasticare, viaggiare in un mondo diverso da quello reale per tre ore, e non me la sento di deluderli. L’opera che interpreto deve innanzitutto piacere a me, dal punto di vista musicale, da quello drammaturgico, da qualsiasi punto di vista, perché se non è così, se c’è qualcosa che non mi convince poi non riesco a rendere al massimo, e il pubblico se ne accorge e rimane deluso. Ho un grande rispetto anche per i critici e per il loro lavoro. Senza dubbio sono generalmente persone molto colte che hanno visto e studiato un’infinità di opere, ma spesso dimenticano che c’è una prima volta per tutti, che il debutto in nuovo ruolo non è solo una questione di studio ma anche emozionale. Leggo spesso quello che hanno da dire, alcuni li conosco di persona e mi dicono direttamente ciò che pensano, e specialmente in questi casi considero importante e utile la loro opinione. Avere immediatamente un riscontro critico, positivo o negativo che sia, è anche un modo per affrontare la questione con un atteggiamento meno distaccato. Sono comunque sempre aperto a ricevere critiche e impressioni dalle persone, è anche quello un metodo per imparare e migliorare sempre.

C’è un personaggio che ama in modo particolare, che ritiene più vicino alla sua sensibilità?
In genere tutti i ruoli per cui il basso-baritono a un certo punto uccide il tenore! Purtroppo però molto più spesso capita che il basso-baritono alla fine muoia, mannaggia… Scherzi a parte, nonostante abbia cantato moltissime volte il ruolo di Don Giovanni, sento invece molto più vicino a me quello di Leporello: è più caratteristico, più divertente e dà anche la possibilità di spaziare vocalmente, perché Leporello nel giro di tre ore sperimenta tante e tali emozioni, belle e brutte, che è impossibile essere monotoni. Poi mi piacerebbe interpretare ruoli verdiani, per esempio Attila, vorrei anche affrontare Boris, e i grandi ruoli drammatici wagneriani – Wotan! -, ma bisogna dare tempo al tempo.
Con quale personaggio ha debuttato? Come è andata?
Ho debuttato con Roucher nell’Andrea Chenier, è stata un’esperienza molto, molto emozionante, mi è sembrato come se la mia anima guardasse dall’alto il mio corpo sul palcoscenico.
Quali sono state le parti più difficili da imparare o che le hanno creato comunque problemi ?
Difficili lo sono un po’ tutte, nel senso che è semplice imparare un ruolo a memoria, un po’ più complicato è applicare una tecnica soddisfacente, ma la cosa più ostica è rendere interpretativamente senza perdere la tecnica, anzi, possibilmente non facendola trasparire , tentare di far sembrare tutto molto naturale. Sembra un po’ un controsenso, perché nel mondo reale la gente non parla per recitativi accompagnati né si mette a cantare quello che ha da dire, però è così che funziona… in effetti è una cosa abbastanza complicata, non del genere di difficoltà della fisica quantistica, certo, ma comunque complicata. Però, se non fosse una cosa difficoltosa, sarei il primo ad annoiarmi, quindi mi va benissimo così.
Tra gli appassionati c’è un grande dibattito sulle regie, spesso giudicate insensate o perlomeno poco rispettose del libretto e anche dei cantanti. Lei si è mai trovato in difficoltà, da questo punto di vista?
In difficoltà per questo mai, forse perché penso che non si può sempre mettere in scena la stessa opera. Ovviamente il gusto delle persone non è il medesimo, quindi si incontrerà sempre qualcuno che pensa che una produzione sia troppo di avanguardia o troppo tradizionale o troppo qualche altra cosa, così come io stesso a volte posso pensare che una regia sia poco indicata per un’opera. È naturale che non a tutti piaccia la stessa cosa, però credo anche che se nessuno apportasse mai elementi di novità l’Opera diventerebbe rapidamente un’arte impolverata e noiosa che ben poche persone avrebbero voglia di seguire.
Lei ha una voce importante e voluminosa. Qualcuno sostiene che oggi il pubblico e la critica non siano più abituati a queste caratteristiche, è d’accordo?
È una bella domanda! A volte sembra che tutto ciò che importi sia il volume, la dimensione della voce, ma la realtà è che non è veramente quello che conta. Ci sono voci grosse e belle, piccole e ugualmente belle, l’importante è sapere usare al meglio quella che uno si ritrova, che sappia cantare, recitare, scandire, perché, per esempio, una voce grossa ci mette pochissimo a diventare “grossa e brutta”. Ogni voce può essere bella, ogni voce è un dono, l’importante è saper utilizzare questo dono. E il pubblico questo lo sa, non è una questione di essere abituati o meno a delle caratteristiche vocali, sono ancora convinto che il pubblico sappia distinguere un buon cantante da uno pessimo. E lo stesso, ovviamente, vale per la critica.
Le recite sono sempre un’incognita, gli aneddoti divertenti basati su imprevisti accaduti sul palcoscenico sono molti. A lei è mai capitato qualche fatto curioso ed inaspettato?
Sì proprio nell’ultimo Mosè a Zurigo: Faraone, Michele Pertusi, doveva sparare a una della sue guardie ma al momento di fare fuoco la pistola non ha funzionato. E allora c’era questo faraone perplesso con la pistola che avrà fatto click senza sparare almeno venti volte, ma niente, il colpo proprio non partiva! Sul palco ci veniva anche un po’ da ridere, e credo venisse da ridere al pubblico stesso. Però il soldato a un certo punto è morto ugualmente – immagino sia stato un altro miracolo di Mosè…
C’è qualche cantante storico, ovviamente tra i bassi, che ammira in modo particolare?
Con il rischio di sembrare banale, e anche se non è un basso, ma non importa: la Callas, la Callas e poi anche la Callas. Tra i bassi e baritoni Siepi, Kipnis, Ghiaurov, Van Dam, Nucci, Souzay… ci sono moltissimi artisti che ammiro profondamente, ma la lista sarebbe lunghissima.
All’estero che immagine si ha dell’Italia, dal punto di vista della programmazione teatrale?
Non quella di una volta, purtroppo. E’ un peccato perché l’Italia è veramente la patria dell’opera, e vedere la sua creatura così spesso mortificata dalla burocrazia è abbastanza avvilente. Ci sono spettacoli bellissimi che vanno in cartellone solo per poche repliche, ed è un vero peccato, perché è stressante per gli artisti ma soprattutto deleterio per il pubblico, che materialmente non può, non riesce a seguire gli spettacoli – penso per esempio a come i biglietti spesso a prezzo altissimo taglino fuori la parte giovane degli appassionati-, che magari sarebbe anche interessata ad andare a teatro, ma non può. Così si ha sempre l’impressione che l’opera sia una cosa da vecchi, ma io so benissimo che non è così, perché quando gliene viene data la possibilità, i giovani riempiono i teatri, anche per l’opera, l’ho visto con i miei occhi. I tagli alla cultura non aiutano, ma anche la gestione interna di alcuni teatri è molto discutibile. A volte sembra come se, già ferita gravemente, l’opera si auto-infliggesse altre ferite per mano dei teatri stessi. Tutto questo è molto melodrammatico, certo, però sarebbe bene che il melodramma rimanesse sui palcoscenici e non diventasse vita reale.
Ha ancora tempo e voglia di andare a teatro a sentire un’opera per il piacere di farlo?
Spesso vado a teatro, al teatro di prosa specialmente, oppure a Broadway con mia figlia a vedere i musical. Poi vedo concerti di jazz, rock, bossa nova, flamenco, tango. All’opera vado quando voglio andare a sentire un collega a cui sono affezionato e che mi fa piacere ascoltare.
Io amo moltissimo Wagner. Ha mai pensato d’affrontare questo compositore?
Sì, sicuramente, come ho detto anche a me piace moltissimo, ma non sono molto sicuro che a Wagner piacerebbe sentire me in questo momento. Credo che la mia voce non sia ancora pronta, probabilmente lo sarà tra una decina di anni, forse prima, forse dopo… in questo momento, però, di sicuro non lo è ancora. Però, ripeto, è assolutamente un compositore che voglio affrontare.
Qual è il suo rapporto con Internet?
E’ un ottimo rapporto, specialmente per quanto riguarda la comunicazione con le persone a me care che però, per ovvi motivi, non possono essere sempre vicine a me, per cui tramite Messenger e Skype riesco a rimanere in contatto in modo continuo. Poi ovviamente è un ottimo modo per tenersi informati, ormai i giornali li leggo quasi solo via internet. Mi piace molto l’idea della comunicazione dal basso, del citizen journalism, quello per cui con internet anche chi non avrebbe non tanto il coraggio quanto la forza, la possibilità materiale di far sentire la propria voce localmente riesce invece a farlo attraverso il web, e a livello planetario, perché con internet la comunicazione è a lunghissimo raggio.
In Uruguay qual è la situazione della musica lirica?
L’opera è sempre opera, ovunque nel mondo, e non morirà mai, e in Uruguay abbiamo delle ottime scuole di musica. Ma la situazione economica a livello mondiale affligge anche il teatro, per cui quelli più ricchi se la cavano più facilmente, quelli più poveri sono più in difficoltà, come in qualsiasi altro campo. In Uruguay la musica è molto sentita, è parte integrante della vita della gente. In questo momento, però, più che all’opera si pensa a come uscire dalla crisi, oggettivamente. L’opera sarà ancora lì quando tutto questo sarà passato.
Un’ultima domanda legata all’attualità di questa Carmen e al prossimo Don Giovanni.

Nella novella di Mérimée da cui è tratta la Carmen di Bizet, il personaggio di Escamillo non ha il rilievo che assume invece nell’opera, è un semplice picador e non il tombeur de femme unico rivale di Don José.
Visto che lei tra qualche mese tornerà alla Scala per il Don Giovanni, trova che ci sia qualche vicinanza psicologica tra i due personaggi? E tra Carmen e Don Giovanni?
A dire il vero non vedo somiglianze: Don Giovanni è fondamentalmente un uomo annoiato ed egoista. Escamillo non è cattivo e di sicuro non si annoia mai, trovo che sia soprattutto molto vanitoso. Gli piace essere al centro dell’attenzione, ma è in fondo un tipo abbastanza piatto, tutta apparenza, che però non farebbe deliberatamente del male agli altri, di sicuro non per divertimento come invece fa Don Giovanni. Forse l’unica somiglianza tra i due è l’essere superficiali, ma la loro superficialità si estrinseca in modi diversi: per Escamillo nella sua vanità, per Don Giovanni nella sua arroganza.
Tra Carmen e Don Giovanni vedo invece qualche affinità, entrambi usano la seduzione come arma. Ma Carmen ama e vuole essere riamata, mentre Giovanni lo fa per aumentare il numero delle sue conquiste, non gli importa nulla di queste, in lui manca completamente il rispetto per qualsiasi essere umano, probabilmente anche per se stesso.
Inoltre entrambi muoiono tragicamente alla fine dell’opera. Carmen muore per amore della sua libertà, lei è uno spirito libero ma è guidata dall’amore; Don Giovanni invece muore per punizione, la sua morte è conseguenza delle sue azioni.
Bene, a questo punto non mi resta che farle un grosso in bocca al lupo per l’ormai imminente prima di Carmen!
Crepi, un saluto agli amici di Operaclick!
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