Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Archivi Mensili: giugno 2007

Un piccolo bilancio.

Lo so benissimo che non interessa a nessuno, ma la stagione operistica 2006/2007 resterà negli annali soprattutto per un evento epocale:
la mia discesa in campo quale finto critico musicale. (strasmile)
Il mio esordio risale al Rigoletto allestito a Trieste, nello scorso novembre.
Insomma, anche in questa situazione la prima volta non si scorda mai. Quando mi sono presentato all’entrata riservata alla stampa per avere i biglietti ero molto impacciato; dentro di me c’erano molte emozioni contrastanti: soddisfazione, timore, ansia, gratitudine.
Perché devo dirlo subito, un ringraziamento a Danilo Boaretto ( e a Susy!) e Roberto Chiarelli, responsabili di OperaClick, è indispensabile e doveroso; come altrettanto grato, per avermi incoraggiato, devo essere ad Alessandro Cammarano ( il quale, contrariamente a me, è un critico vero ).
Non ho mai ricevuto da parte degli Admin di Operaclick, e lo so io perché lo scrivo, nessun tipo di pressione o suggerimento: solo un paio di volte mi è stato segnalato che qualche frase delle mie recensioni era sgrammaticata e sembrava scritta da un armadillo berbero, ed insieme abbiamo cercato di rappezzarle in un italiano decente. Nessuno è entrato nel merito dei miei pareri sugli Artisti, anche quando (spesso, ahimé) non erano propriamente lusinghieri.
Ricordavo che ero emozionato. Scrivere sul blog più o meno anonimamente è una cosa, mettere la firma in calce ad una recensione è tutt’altro, e non c’è bisogno di spiegare il motivo.
Nello scrivere i miei pareri ho cercato di non abusare di termini tecnici, per non appesantire la lettura.
V’assicuro, anche se può sembrare strano, che è molto più difficile stendere una recensione leggibile da tutti che fare sfoggio di cultura e terminologia ad hoc.
Inoltre, mi sono imposto la regola di avere il massimo rispetto per il lavoro degli Artisti, soprattutto nelle occasioni in cui ho manifestato dissenso per il loro operato.
Comunque, col passare del tempo tutto è diventato più facile e scorrevole.
L’ex comandante Ripley, che ha sempre letto il mio “lavoro” prima della spedizione, è stata inflessibile: “Paolo, non si capisce!”
“Ma…” – provavo io a difendermi – e lei: “Non si capisce.”
Ho ricevuto molti apprezzamenti sinceri ed anche qualche critica velenosa (anonima), ma va bene così, ci sta.
Il momento più difficile è stato quando ho dovuto scrivere male di un cantante che conosco, quello più appagante quando un’amica mi ha fatto notare che in rete si possono leggere (è solo un esempio, ce ne sono altre) anche queste cose.
Insomma, evviva la Musica, evviva il Teatro, evviva OperaClick e grazie ancora a tutti, anche a voi che continuate a leggermi così numerosi.
Per una volta, mi firmo anche qui. (smile)
 
Paolo
 

De gustibus? Sì ok, ma con qualche distinguo…

Anche quest’anno sono stati resi noti i risultati delle preferenze del pubblico al Teatro Verdi di Trieste. (dice: come si fa a saperlo? Facile, è stato distribuito un questionario in sala il giorno dell’ultima rappresentazione)
Come troppo spesso mi accade, e lo dico senza nessuno snobismo inutile, non sono d’accordo con la maggioranza dei miei concittadini.
Concordo sul voto positivo espresso sulla qualità complessiva della stagione triestina.
Sono note a tutti le difficoltà finanziarie in cui versa il teatro lirico in Italia ( e la cultura in generale, vedi i tagli ai finanziamenti ecc ecc ), quindi è sicuramente meritorio riuscire ad organizzare, in una città piccola come Trieste, un cartellone che allinea sette opere liriche e due balletti.
Trovo invece del tutto fuori luogo, s’intende per la mia sensibilità, che lo spettacolo che ha raggiunto il maggior numero di consensi sia stato il Rigoletto che ha aperto la stagione.
Non certo per demeriti artistici, perché anzi è stato un allestimento abbastanza buono, ma perché questo giudizio rappresenta, una volta di più, che il pubblico triestino è troppo tradizionalista.
Rigoletto è l’opera verdiana per eccellenza, assieme a Traviata e Trovatore non a caso fa parte della cosiddetta trilogia popolare, e per di più è stata proposta con una regia ed una scenografia che definire tranquillizzante è un eufemismo.  
Il protagonista era Renato Bruson, cantante straordinario anche alla soglia dei settant’anni, ma appunto per motivi anagrafici legato al passato.
Insomma tutti segnali che Trieste, ahimé, guarda indietro e non al futuro.
Ora, io ho compiuto 52 anni, non sono un ragazzino, eppure sono culturalmente curioso e trovo appassionante confrontarmi con realtà che mettono in discussione le mie certezze, anche le più radicate.
Non pretendo che gli altri si adeguino a me, che detto tra parentesi non sono nessuno, ma almeno che provino a sintonizzare le antenne su qualche lunghezza d’onda inconsueta.
Quindi, dopo tutta ‘sta tirata ed in totale controtendenza con i risultati del sondaggio di cui sopra, affermo che gli spettacoli che complessivamente mi sono piaciuti di più in questa stagione operistica sono a pari merito il Don Giovanni di Mozart, Der Fliegende Holländer di Wagner e La Voix Humainedi Poulenc, seguiti a breve distanza dalla Sonnambula di Bellini.
Questi allestimenti non sono affatto esenti da mende, anzi, ma almeno mi hanno stimolato intellettualmente ed incuriosito in qualche modo; sono frutto di una sperimentazione artistica intelligente, rispettosa della musica e dello spirito dell’opera.
I cantanti protagonisti sono stati tutti all’altezza ma, soprattutto, sapevano quello che stavano cantando, e questo va a loro esclusivo merito, perché si può anche cantare bene stilisticamente ma essere lontani mille miglia dal personaggio dal punto di vista psicologico.
Auguro una felice settimana a tutti.

Repetita juvant?

Circa tre anni fa, scrissi questo sgrammaticatissimo testo. Lo ripropongo, perchè mi pare adatto ai tempi, diciamo così.

Ieri ho parlato con una mia ex-compagna di classe, che ogni tanto passa di qua e lascia commenti stravaganti firmandosi in modo puerilmente accattivante.
Questa ragazza (si sa, rimaniamo tutti ragazzi, fino alla tumulazione) ha due figli, uno dei quali sembra debba affrontare a giorni l’esame di maturità.
Ovviamente, questo fatto ha scatenato una serie di ricordi.
Che faccio scrivo?
Ma sì, dai.
Ai miei tempi, sì portavano due materie per l’esame orale, e si dovevano affrontare la prova scritta d’italiano ed un’altra specifica dell’indirizzo scolastico, nel mio caso matematica.
Quindi, c’era il problema della scelta riguardo all’orale.
Io ero sicuro solo della prima, che sarebbe stata la lingua straniera, inglese.
La mia sicurezza derivava dal fatto che conoscevo un certo numero di vocaboli in inglese, perché nutrendo la passione per la musica pop, mi traducevo vocabolario alla mano i testi dei King Crimson, che sono più ermetici delle risposte della sfinge e della politica economica di Tremonti, anche se meno creativi.
Il problema quindi, stava nella scelta della seconda materia.
La scelta, eticamente, è una cosa importante, ma perché dare la possibilità di scegliere a chi non ha nessun tipo di preferenza, ottenebrato dalla totale ignoranza su qualsiasi degli argomenti opzionabili?
È una crudeltà inutile.
Ho passato giorni terribili ad arrovellarmi su quale disciplina presentare, poi sono stato folgorato da un’idea geniale!
Che c’è di meglio per uno che non sa nulla ma è sostenuto da un genio creativo semantico inarrestabile di una materia fumosa e vaga, dove non ci sono formule precise e tutto è opinabile?
Nulla, quindi filosofia, assolutamente filosofia.
D’accordo, anche disquisire di critiche alla ragione pura per chi n’è totalmente privo non è impresa da poco, ma si può sempre sperare nell’argomento a piacere, che è un evento statisticamente improbabile, ma possibile.
Voglio dire, ancora oggi se uno mi dice: ”Parlami di quello che vuoi” posso tirarla lunga non dicendo nulla per ore, ma apparendo se non culturalmente preparato, almeno originalmente idiota, c’è chi oggi è al governo solo per questo eh?
Prima però c’erano le prove scritte da superare.
Anche qui, su tre temi che erano proposti, uno era storico, l’altro scientifico, e l’altro semplicemente aleatorio, quindi nessun problema, anche se ci scappa un errore di grammatica o di consecutio, l’esaminatore dovrebbe essere talmente affascinato dall’originalità del mio pensiero che non si dovrebbe mettere a questionare su sciocchezze.
In matematica ero bravo, non chiedetemi perché, è sempre stato un mistero anche per me; so solo che mi districavo bene tra curve, parabole ed assi cartesiani, per non parlare degli integrali, che ancora oggi sono il mio cavallo di battaglia, specie a colazione.(è andata peggio con le curve, giacché la mia assicurazione auto mi costa come il prodotto interno lordo della Namibia).
In ogni modo, arriva il gran giorno degli scritti.
La prova d’italiano è superata brillantemente, figuriamoci, sono un improvvisatore nato, ricordo che avrei potuto scriverne quattro di temi sul nulla, e tutti avrebbero potuto avere lo stesso titolo.
Lo scritto di matematica era facilissimo, tanto che l’ho finito dopo due ore e sono andato a scriverlo sulla porta del gabinetto maschile, suscitando l’ira della professoressa della commissione interna, che m’impose di farlo anche in quello femminile, cosa che feci con grande senso di responsabilità. (fui ricattato: o lo scrivevo anche di là o mi cacciavano immediatamente, il che dimostra una mia teoria, gli atti eroici sono sempre incomprensibili ai più, perché non sanno cosa c’è dietro, va detto però che il gabinetto femminile era più gradevole del nostro, quindi la discriminazione sessuale tra uomo e donna aveva delle isole di privilegio, pur nella sostanziale parità delle funzioni corporali primarie).
Giunse quindi, dopo qualche giorno che affrontai dedicandomi all’aiuto di una mia sventurata compagna di classe che aveva scelto fisica come prima materia orale, e che aveva scoperto solo all’ultimo momento che si trattava non di educazione fisica, ma fisica sperimentale, il giorno del mio colloquio.
Inglese: “Tell me something about Shakespeare”- ed io, come una segreteria telefonica, ma con voce più monotona: “From a literary point of view…”
Non lo so se “from” andasse bene, ma la professoressa d’inglese era innamorata di me, credo vedesse in me tutte le qualità negative che aveva sua figlia, e si sa, quando in una donna scatta l’istinto materno…
Filosofia: “Lei trova che la filosofia sia una materia ancora attuale?”
Ma figuriamoci! Mi hanno fatto uscire dall’aula perché stava calando il buio e i maturandi successivi stavano organizzando una sommossa, i panini ai distributori automatici erano esauriti e la polizia aveva circondato la scuola pensando ad un sequestro di massa!
In conclusione, so e spero che oggi gli esami di maturità siano più seri, ma so anche per certo che molti si troveranno nelle condizioni nelle quali ero io, cioè totalmente impreparati su qualsiasi argomento dello scibile umano…quindi spero prima di tutto di aver sollevato qualcuno dalla tensione pre- esame; in seconda battuta ricordo a tutti gli insegnanti, che operano in condizioni difficilissime per i motivi che loro sanno, che i ragazzi di oggi possono essere i serial killer di domani, perché farsi un nemico sanguinario solo per esercitare un’autorità che non viene comunque riconosciuta?
Scherzo, è ovvio, buon lavoro a tutti e buona fortuna a tutti i maturandi!

 

Dimmi quando…dimmi quando quando quando…

Dunque, oggi a quest’ora io dovevo essere in viaggio verso l’orrida Venezia, per vedere il Siegfried con la regia di Robert Carsen e la direzione di Jeffrey Tate.
Invece, a causa dell’epidemia di sfiga che si è diffusa tra i miei collaboratori, sono a casa.
Quindi, evitate di chiamarmi al cellulare e chiedere “Come va?” perché rispondo male.
Inoltre dopo che me la son presa con il tesoretto, ora ritrovo ovunque un altro termine fastidioso: tolleranza zero.
Quindi, ora vi sciorino le 10 situazioni in cui io sono intollerante, ma sul serio, nel senso che di fronte a certe situazioni mi ricopro di brufoli purulenti e presento sintomi evidenti di coprolalia. ( non che di solito m’esprima come un lord inglese, ma insomma, peggioro, ecco)
 
1)      Quando Montezemolo tuona contro gli evasori fiscali.
2)      Quando mi chiedono: “Vuole la ricevuta?”
3)      Quando il mio commercialista mi dice che “…è meglio che non incrementi il suo fatturato”
4)      Quando mi dicono “come fai ad essere di sinistra, tu che sei un imprenditore”
5)      Quando Berlusconi parla di attacchi alla democrazia.
6)      Quando chiunque tesse lodi a Gustavo Selva, perché è stato così signore da dimettersi.
7)      Quando, nella mia città, premiano 10 vigili urbani perché hanno dimostrato impegno nel loro lavoro. (gli altri? Non s’impegnano? Li cacciamo, allora)
8)      Quando, nella mia città, riasfaltano per la terza volta in un anno le Rive.
9)      Quando, nella mia città, qualsiasi libro chieda, in qualsiasi libreria, mi rispondono “che non è disponibile al momento, ma basta ordinarlo”
10) A piacere, nel senso che mi sono accorto che 10 punti sono troppo pochi.
 
     

Autoreferenziale.

Oggi mi sono reso conto del perché il sito di OperaClick è sempre più seguito.
Il motivo è evidente: noi finti critici che collaboriamo al sito diciamo pane al pane ecc.
Vi sottopongo questo confronto, tra un critico vero ed il critico de noantri (che sarei io).
Dice l’ottimo Claudio Gherbitz sul quotidiano locale, a proposito del Maestro Gèrard Korsten:
 
"Sollecito e attento, ha ottenuto una buona corrispondenza dall’orchestra, scarnificata nell’organico, spesso sollecitata verso una dinamica alta.
Tensione e apprensione, destinate a smussarsi con le repliche, gli avranno magari impedito di volare alto come può. Conosce bene la partitura ed è stato concentratissimo nel perseguirne la puntualità, al punto da risultare fin troppo rigido, senza il lievito e la libertà che le diverse situazioni psicologiche dell’opera esigono. Una conduzione in linea con i momenti di aggressiva chiassosità del «Don Pasquale», col suo versante buffo, ricco e importante quanto la sua «tinta», il suo fondo di mestizia e pateticità."
 
Ora ecco il finto critico Paolo:
 
Sonorità che definire eccessive è dir poco, piglio da dramma verdiano, nessuna fantasia e leggerezza, una totale assenza di colori hanno caratterizzato la prestazione dell’esordiente (a Trieste) direttore sudafricano. L’esecuzione dell’ouverture ci è parsa un uragano di suono incontrollato. La stessa orchestra è sembrata irriconoscibile, tanto che sono stati numerosissimi gli attacchi sporchi.
Speriamo che nelle prossime recite Korsten riesca a ritrovare un po’di garbo artistico e adegui il volume all’acustica del Verdi.
 
Claudio Gherbitz, in merito ai cantanti:
 
"Le voci dal palcoscenico non saranno memorabili, ma sono state apprezzatissime con consensi a più riprese e a scena aperta per i protagonisti. Grazie all’impianto tecnico, Giorgio Surjan non ha bisogno di barare nel ruolo del titolo; magari, con la figura che si ritrova, è più suo agio nella vocalità pura, persino nei ribattuti, con la voce che scorre fluida, duttile nell’espressione. L’emissione di Mariola Cantarero non ha risonanze particolarmente affascinanti, ma l’agilità è precisa, vola con facilità sugli acuti, e aggiunge al personaggio effervescenza e simpatia innate. Antonino Siragusa sa usare la mezza voce meglio di quanto creda, l’abbinamento a quel tanto di acerbità nell’emissione tenorile si confà comunque al personaggio di Ernesto.
Alberto Rinaldi è un Malatesta seducente per conoscenza della tradizione belcantistica, per morbidezza nei recitativi. Gustosa l’apparizione notarile di Saverio Bambi."
 
Ancora Paolo, alter ego del più noto Amfortas:
 
Giorgio Surjan è stato un Don Pasquale piuttosto scialbo e monotono e non ha trovato, a mio parere, la chiave interpretativa giusta. Ad esempio non è mai teneramente malinconico, e nei momenti in cui il personaggio richiede una connotazione buffa, ricorre ad espedienti piuttosto banali, quando non smaccatamente volgari.
La voce è parsa spesso velata, il volume ridotto, il sillabato stentato, la dizione perfettibile. Buona la presenza scenica, ma è troppo poco.
Forse mi sbaglio, ma credo che Don Pasquale non sia un personaggio che si addice particolarmente al basso, che in altre occasioni mi era sembrato molto più incisivo.
Alberto Rinaldi, nei panni del Dottor Malatesta, è apparso in gravi ambasce vocali. Più volte è stato costretto a parlare invece che cantare; nei concertati non si sentiva e nel duetto sillabato con Don Pasquale si è espresso in una lingua sconosciuta.
Certo, l’esperienza gli garantisce una grande padronanza del palcoscenico, ma il personaggio rimane confinato in un’evanescenza impalpabile, privo di malandrina freschezza.
Antonino Siragusa, probabilmente intimidito dal volume orchestrale, dopo un inizio buono ( Sogno soave e casto) non ha trovato di meglio che cantare tutto forte, dimenticandosi completamente che Ernesto è un giovane innamorato scanzonato e un po’ pacioccone, e non Radames.
In questa maniera, senza nessuna sfumatura e colore, il personaggio esce algido, privo di calore, passione e tenerezza. Peccato, perché Siragusa ha dimostrato altre volte di avere la tecnica per piegare la voce a qualche nuances interpretativa appropriata. Tra l’altro, in quest’impeto, anche gli acuti sono apparsi schiacciati e forzati.
Mariola Cantarero mi ha deluso moltissimo e, nel suo caso, si va oltre il problema interpretativo.
L’intonazione è apparsa almeno incerta, le agilità inconsistenti, il legato difficoltoso, la voce addirittura stridula: inoltre ha abusato di portamenti e falsetti.
Aggiungiamo che, almeno ieri sera, è apparso evidente che di Norina non ha nulla: né la civetteria, né la freschezza giovanile e sfrontata. E poi, Norina è fondamentalmente una buona, un’innamorata un po’ calcolatrice sì, ma non una druda bieca e sordida.
Paradigmatica della pessima serata è stata l’esecuzione del meraviglioso duetto “Tornami a dir che m’ami”, che è scivolato via manierato e senza un’emozione, una tenerezza, un accento realmente amoroso da parte d’entrambi gli interpreti. È mancata del tutto ogni complicità e non si è percepito nessun abbandono.
Corretta la prestazione di
Saverio Bambi, in veste di Notaio.
Vi giuro, e spero di avere il conforto di qualche amico melomane, che io e Gherbitz, a parte qualche sfumatura irrilevante, abbiamo riportato le stesse impressioni sulla serata.
Ora, ditemi, quale delle due recensioni fa capire meglio quello che è successo sul palcoscenico?
Buona settimana a tutti, chiedo scusa se non sono molto presente nei vostri blog, cercherò di rimediare al più presto.
 
 
 

Mi par ch’oggi…

Opera deliziosa, il Don Pasquale, che alterna momenti divertenti ad altri permeati da una dolce malinconia. Anche il compositore bergamasco, alla fine della sua parabola creativa (seguiranno, se non sbaglio, solo altre due opere) si ferma a riflettere sulla vita e lo fa con leggerezza e grazia.
Echi di Cimarosa (Il matrimonio segreto) e Mozart ( Le Nozze di Figaro) si avvertono in questo dramma buffo.
Insomma, vi saprò dire martedì.
Tra l’altro, questo potrebbe essere il mio ultimo appuntamento con la lirica live per qualche mese, purtroppo.
Tra i miei collaboratori, infatti, sembra essere scoppiata un’epidemia di sfiga: al momento in cui scrivo conto una frattura al perone, uno schiacciamento delle vertebre lombari ed uno sbalzo di pressione rovinoso.
Saltano quindi gli appuntamenti nell’orrida Venezia per il Siegfried (biglietti già in tasca per la prima del 14 giugno…) ed il “mezzo Ring” a Firenze.
Chissà, magari riesco a vedere qualcosa all’Arena di Verona.
“Mi par ch’oggi il demonio si diverta d’opporsi a’ miei piacevoli progressi: van mal tutti quanti…” dice Don Giovanni: il teorema di Da Ponte postulato da Giorgia, sembra essere efficace.
Ringrazio di cuore tutti gli amici che mi hanno lasciato gli auguri per il mio compleanno!
E buon fine settimana a tutti.

Non feci mai male ad anima viva…

Il mio tesoretto intanto.

Non ne posso più di sentir parlare di tesoretto.
Ogni volta che accendo la radio, c’è l’esperto (de che?) di turno che elargisce i suoi consigli sul come dove quando e perché collocare questo fantasma, questa creatura mitologica, questa leggenda metropolitana, quest’ennesimo imbroglio.
Voglio dire, allo stato avanzano 10 miliardi di euro ed il problema è l’allocazione di questa insperata risorsa?
Ma rivolgetevi a me, accidenti.
Ecco qui i miei 10 consigli (volendo ne avrei di più, basta chiedere), che sono sicuro risponderebbero alle reali esigenze del Paese.
Un miliardo ciascuno, non fa male a nessuno.
 
1)      Un miliardo alla massoneria, per far sì che si riorganizzi dopo le devastanti inchieste che hanno minato la capacità di tramare colpi di stato seri.
2)      Un miliardo ai petrolieri, che stanno passando un momentaccio a causa di questo continuo ciarlare di energia pulita ed alternativa.
3)      Un miliardo alle case farmaceutiche, perché possano investire nella nobile ricerca di un nuovo antidepressivo che curi i disturbi dei lavoratori precari.
4)      Un miliardo a Follini, in modo che possa fondare un partito che sia realmente di centro, anzi, già che ci siamo, affinchè ne fondi due, uno di Cen e l’altro di Tro.
5)      Un miliardo a Luca Cordero di Montezemolo, perché possa finalmente dotare le Ferrari, così richieste sul mercato, di un accessorio indispensabile: il botoxdispenser automatico.
6)      Un miliardo alla Lega Nord, perché provi a rendere presentabili le facce da culo di Calderoli e Borghezio. (so che non basta un miliardo, ma tentar non nuoce)
7)       Un miliardo a Berlusconi, perché provi a curare l’impotentia generandi che lo affligge al cervello.
8)      Un miliardo alla Rai, perché possa programmare qualche nuova fiction sulle tristi vicende di Paris Hilton, Lapo Elkann e Barbara Palombelli.
9)      Un miliardo per tutti gli evasori fiscali che risiedono solo formalmente all’estero, affinché si possano comprare almeno un monolocale nel paese che hanno scelto.
10)  Un miliardo alla Chiesa, perché possa trovare la formula di un elisir di lunga vita per questo Papa così lungimirante.
 
 
Oh, io ci ho messo 5 minuti eh, quindi se ci sono errori d’ortografia o consecutio, abbiate pazienza.

Non per soldi… ma per denaro.

Il Maestro Daniel Oren lascia il Teatro Verdi di Trieste.
Era ora, per quanto mi riguarda.
In questi giorni non ne ho parlato né qui né su OperaClick, anche se ovviamente ero informato con sufficiente precisione.
Trieste non è New York, ho amici e conoscenti che suonano nell’orchestra triestina, altri che cantano nel coro che, a mio avviso, è uno dei migliori che si possano ascoltare in Italia.
La situazione di disagio si trascinava da troppo tempo, e non faceva bene a nessuno.
Ho affermato all’inizio “Era ora…” ma il mio non è certo un giudizio tecnico sul direttore israeliano. Oren è un buon professionista (nulla di più, sia chiaro) e deve essere giudicato di volta in volta, come tutti.
Quest’anno l’ ho sentito dirigere, dal vivo o in registrazione, un Rigoletto in modo almeno altalenante, un ottimo Werther a Monaco (mi pare), La Juive a Parigi, una controversa Forza del Destino a Genova, una buona Manon Lescaut a Trieste.
Però, è un dato di fatto, ovunque vada crea malumori e tende ad accumulare impegni in modo disordinato; non si può pretendere di essere un punto di riferimento contemporaneamente in più teatri: Genova, Salerno, Trieste, senza contare gli impegni all’estero e la quasi esclusiva all’Arena di Verona.
Certo, porta spesso con sé nomi di prestigio ma anche comprimari o coprotagonisti che sono ancora in carriera solo perché legati in qualche modo a lui.
Insomma, ci sarebbe da dire molto.
Ieri, nella conferenza stampa in cui ha spiegato le motivazioni del suo abbandono, ha parlato di mobbing…suvvia Maestro, non mi faccia ridere.
Ha inoltre affermato che le nomine alla sovrintendenza dei teatri italiani sono dettate da criteri politici: davvero??? (strasmile) E questo non va bene a Trieste ed è il criterio migliore di scelta a Salerno?
Vogliamo parlare della serata in cui marinò il Teatro Verdi adducendo motivi di salute ed in cui invece risultò applaudito a Reggio Calabria?
Ora, cito dal quotidiano triestino Il Piccolo, ha intenzione di chiedere un risarcimento alla fondazione triestina, questo il dettaglio:
 
…un milione 302 mila euro di mancati cachet dopo la rescissione del contratto triennale con il Vedi, un milione e mezzo di danno all’immagine, 17.535 euro di spese d’albergo risalenti al 2005 e mai pagate dalla Fondazione, 123 mila 900 euro per la mancata direzione del Don Pasquale… (ultimo appuntamento della stagione, Nota di Amfortas)
 
 
Sono tanti soldi, accidenti.
Speriamo che non vinca la causa, altrimenti sai che botta di tasse…perché sono certo che qualcuno andrà a vedere quanto guadagna, ‘sto povero direttore colpito dal mobbing.