Oggi mi sono reso conto del perché il sito di
OperaClick è sempre più seguito.
Il motivo è evidente: noi finti critici che collaboriamo al sito diciamo pane al pane ecc.
Vi sottopongo questo confronto, tra un critico vero ed il critico de noantri (che sarei io).
Dice l’ottimo Claudio Gherbitz sul quotidiano locale, a proposito del Maestro Gèrard Korsten:
"Sollecito e attento, ha ottenuto una buona corrispondenza dall’orchestra, scarnificata nell’organico, spesso sollecitata verso una dinamica alta.
Tensione e apprensione, destinate a smussarsi con le repliche, gli avranno magari impedito di volare alto come può. Conosce bene la partitura ed è stato concentratissimo nel perseguirne la puntualità, al punto da risultare fin troppo rigido, senza il lievito e la libertà che le diverse situazioni psicologiche dell’opera esigono. Una conduzione in linea con i momenti di aggressiva chiassosità del «Don Pasquale», col suo versante buffo, ricco e importante quanto la sua «tinta», il suo fondo di mestizia e pateticità."
Ora ecco il finto critico Paolo:
Sonorità che definire eccessive è dir poco, piglio da dramma verdiano, nessuna fantasia e leggerezza, una totale assenza di colori hanno caratterizzato la prestazione dell’esordiente (a Trieste) direttore sudafricano. L’esecuzione dell’ouverture ci è parsa un uragano di suono incontrollato. La stessa orchestra è sembrata irriconoscibile, tanto che sono stati numerosissimi gli attacchi sporchi.
Speriamo che nelle prossime recite Korsten riesca a ritrovare un po’di garbo artistico e adegui il volume all’acustica del Verdi.
Claudio Gherbitz, in merito ai cantanti:
"Le voci dal palcoscenico non saranno memorabili, ma sono state apprezzatissime con consensi a più riprese e a scena aperta per i protagonisti. Grazie all’impianto tecnico, Giorgio Surjan non ha bisogno di barare nel ruolo del titolo; magari, con la figura che si ritrova, è più suo agio nella vocalità pura, persino nei ribattuti, con la voce che scorre fluida, duttile nell’espressione. L’emissione di Mariola Cantarero non ha risonanze particolarmente affascinanti, ma l’agilità è precisa, vola con facilità sugli acuti, e aggiunge al personaggio effervescenza e simpatia innate. Antonino Siragusa sa usare la mezza voce meglio di quanto creda, l’abbinamento a quel tanto di acerbità nell’emissione tenorile si confà comunque al personaggio di Ernesto.
Alberto Rinaldi è un Malatesta seducente per conoscenza della tradizione belcantistica, per morbidezza nei recitativi. Gustosa l’apparizione notarile di Saverio Bambi."
Ancora Paolo, alter ego del più noto Amfortas:
Giorgio Surjan è stato un Don Pasquale piuttosto scialbo e monotono e non ha trovato, a mio parere, la chiave interpretativa giusta. Ad esempio non è mai teneramente malinconico, e nei momenti in cui il personaggio richiede una connotazione buffa, ricorre ad espedienti piuttosto banali, quando non smaccatamente volgari.
La voce è parsa spesso velata, il volume ridotto, il sillabato stentato, la dizione perfettibile. Buona la presenza scenica, ma è troppo poco.
Forse mi sbaglio, ma credo che Don Pasquale non sia un personaggio che si addice particolarmente al basso, che in altre occasioni mi era sembrato molto più incisivo.
Alberto Rinaldi, nei panni del Dottor Malatesta, è apparso in gravi ambasce vocali. Più volte è stato costretto a parlare invece che cantare; nei concertati non si sentiva e nel duetto sillabato con Don Pasquale si è espresso in una lingua sconosciuta.
Certo, l’esperienza gli garantisce una grande padronanza del palcoscenico, ma il personaggio rimane confinato in un’evanescenza impalpabile, privo di malandrina freschezza.
Antonino Siragusa, probabilmente intimidito dal volume orchestrale, dopo un inizio buono ( Sogno soave e casto) non ha trovato di meglio che cantare tutto forte, dimenticandosi completamente che Ernesto è un giovane innamorato scanzonato e un po’ pacioccone, e non Radames.
In questa maniera, senza nessuna sfumatura e colore, il personaggio esce algido, privo di calore, passione e tenerezza. Peccato, perché Siragusa ha dimostrato altre volte di avere la tecnica per piegare la voce a qualche nuances interpretativa appropriata. Tra l’altro, in quest’impeto, anche gli acuti sono apparsi schiacciati e forzati.
Mariola Cantarero mi ha deluso moltissimo e, nel suo caso, si va oltre il problema interpretativo.
L’intonazione è apparsa almeno incerta, le agilità inconsistenti, il legato difficoltoso, la voce addirittura stridula: inoltre ha abusato di portamenti e falsetti.
Aggiungiamo che, almeno ieri sera, è apparso evidente che di Norina non ha nulla: né la civetteria, né la freschezza giovanile e sfrontata. E poi, Norina è fondamentalmente una buona, un’innamorata un po’ calcolatrice sì, ma non una druda bieca e sordida.
Paradigmatica della pessima serata è stata l’esecuzione del meraviglioso duetto “Tornami a dir che m’ami”, che è scivolato via manierato e senza un’emozione, una tenerezza, un accento realmente amoroso da parte d’entrambi gli interpreti. È mancata del tutto ogni complicità e non si è percepito nessun abbandono.
Corretta la prestazione di Saverio Bambi, in veste di Notaio.
Vi giuro, e spero di avere il conforto di qualche amico melomane, che io e Gherbitz, a parte qualche sfumatura irrilevante, abbiamo riportato le stesse impressioni sulla serata.
Ora, ditemi, quale delle due recensioni fa capire meglio quello che è successo sul palcoscenico?
Buona settimana a tutti, chiedo scusa se non sono molto presente nei vostri blog, cercherò di rimediare al più presto.
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