Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Nel sesto concerto della stagione sinfonica al Teatro Verdi di Trieste brillano Francesca Dego e Alessandro Taverna.

Anche quest’anno, come ormai da tradizione, alla vigilia della Barcolana – che porta in città una quantità spaventosa di persone dall’Italia e dall’estero – era in programma un concerto della stagione sinfonica. Il sesto, appunto, e in questa occasione ex ante la scelta del programma mi è sembrata azzeccata. Non che ci fosse nulla di marinaresco o legato alla cultura del mare, ma sicuramente le pagine musicali esprimono gioia di vivere e divertimento in senso lato come fa la grande manifestazione triestina.
A fare eccezione il primo brano e cioè l’Ouverture da Der Freischütz, perché neanche la mia fervida fantasia e il mio amore per le vie traverse che uniscono arti differenti riescono a trovare correlazione tra le vele bianche delle barche e gli oscuri presagi della “gola del lupo”: marinai e cacciatori sembrano proprio agli antipodi. Giulio Cilona, giovane Kapellmeister della Deutsche Oper Berlin ne ha dato una bella interpretazione, che ha messo in luce la sottile tensione che innerva la pagina di Weber che anticipa i temi dell’opera in cui naturale e sovrannaturale si contendono il ruolo di protagonista.

Una volta ridotta nell’organico l’orchestra è stato il momento di un Mendelssohn adolescente (14 anni!), quello del Concerto in re minore per violino, pianoforte e orchestra d’archi, affidato alla perizia di due grandi solisti ben noti a Trieste, Francesca Dego al violino e Alessandro Taverna al pianoforte.
Pagina musicale imponente, strutturata nei classici tre movimenti, il concerto si apre con una lunga e severa esposizione degli archi che ricorda molto Beethoven, ma ben presto il clima grave si rasserena e inizia un sottile dialogo tra i solisti che prosegue senza sosta sino alla fine. Nel gioco di rimandi tra violino e pianoforte c’è l’anima del concerto, che vive di singoli virtuosismi ma anche della gioia di fare musica insieme.
Nell’Adagio centrale l’atmosfera è vivace e al contempo lieve e sognante, un’oasi di tenerezza che prepara a un Allegro finale scoppiettante e brioso in cui tutti i protagonisti esprimono energia e vigore ma sempre nel contesto di un impianto generale equilibrato.
Alessandro Taverna e Francesca Dego sono stati ineccepibili e, ancora una volta, hanno palesato un’ottima intesa: di là dei tecnicismi e delle caratteristiche peculiari si percepisce che fanno volentieri musica insieme e la scelta di due corposissimi bis (Brahms e Schumann) ne è stata la conferma. Entrambi i solisti hanno la grande qualità di dosare in modo sapiente le dinamiche senza togliere corpo e tensione alla narrazione, creando un’atmosfera rilassata ed elettrica al contempo.
Il pubblico ha evidentemente percepito questa intesa artistica e ha premiato gli artisti con un uragano di applausi.
Molto buona in tutte le sezioni la risposta dell’Orchestra del Verdi di cui ancora una volta ho apprezzato la compattezza e la precisione.

A chiudere la serata nel segno della gioia e della leggerezza il Beethoven della Sinfonia n. 8 in fa maggiore, op. 93, scritta nel 1812 quando il compositore aveva già rivoluzionato il mondo musicale.
In questo caso è stata meno centrata l’interpretazione di Cilona, che mi è sembrata un po’ troppo inamidata nella gestione ritmica e appiattita nelle dinamiche sbilanciate, almeno dalla mia posizione, su un mezzoforte che non ha messo in luce la delicatezza della più inattuale delle sinfonie di Beethoven il quale, dopo gli sconvolgimenti della Quinta in particolare, torna a guardare a Haydn e Mozart.
Quindi, se dal lato puramente tecnico non ho nulla da eccepire, mi è sembrato invece che mancasse quella briosa empatia che l’Ottava sprigiona in interpretazioni più meditate e che invece latita dove la gestione metronomica è stringente e un po’ claustrofobica.
Anche in questo caso ottima la prestazione della compagine triestina che, come Cilona, ha ricevuto meritati applausi e gratificazioni dal pubblico.

Carl Maria von WeberOuverture da Der Freischütz
Felix Mendelsshon – BartholdyConcerto per violino, pianoforte e orchestra d’archi
Ludwig van BeethovenSinfonia n8 in fa maggiore op.93
  
DirettoreGiulio Cilona
  
ViolinoFrancesca Dego
PianoforteAkessandro Taverna
  
Orchestra del Teatro Verdi di Trieste




Recensione seria dell’ultimo concerto della stagione sinfonica al Teatro Verdi: Gianna Fratta e Alessandro Traversa trionfano con Zemlinsky, Rachmaninov e Stravinskij

L’ultimo appuntamento della stagione sinfonica triestina si è rivelato un gran successo, sia per gli indiscutibili esiti artistici sia per l’ottima affluenza di pubblico, con larga partecipazione di giovani.
C’erano svariati motivi di interesse ieri sera: il programma, stimolante, la partecipazione del coro e la presenza sul podio dell’orchestra della fondazione di Gianna Fratta oltre che l’intervento come solista di Alessandro Taverna, eccellente pianista che ha emozionato col suono bellissimo del Fazioli gran coda.
Unico neo – ché la critica questo deve fare, dare suggerimenti onesti – la mancanza di due paginette di presentazione del concerto, a maggior ragione nel momento in cui in scaletta sono proposte pagine musicali non frequentatissime come Petruška di Stravinskij e il Salmo 83 per Coro e orchestra di Alexander von Zemlinsky, di cui si poteva proporre almeno il testo.
Appunto il Salmo ha aperto la serata, con l’emozionante incipit degli archi gravi che ha creato un’atmosfera tesa, presto stemperata dagli interventi del Coro in gran forma e dagli echi prettamente mahleriani – penso soprattutto all’uso degli ottoni e degli archi – del proseguo.
Il Coro, preparato da Paolo Longo, si è ben disimpegnato cantando con potenza e dolcezza allo stesso tempo, in un brano che presenta comunque un ordito orchestrale importante. Bravissima Gianna Fratta sul podio che con gesto deciso ha guidato l’Orchestra del Verdi a una brillante esecuzione. Buono il contributo dei quattro solisti, professori del coro, che trovate in locandina.
Sul Concerto per pianoforte n. 3 in re minore, op. 30 di Sergej Rachmaninov c’è tanta letteratura e credo sia una delle pagine per pianoforte e orchestra più note e apprezzate, anche grazie all’enorme successo mediatico del film Shine della metà degli anni 90 del secolo scorso, che ne ha amplificato – con non poche forzature, peraltro – la popolarità.
Come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni, di là del virtuosismo, il concerto richiede un notevole dispendio di energie fisiche, perché il solista non ha un attimo di pace.
L’interpretazione di Taverna è stata veramente eccitante e artisticamente straordinaria, perché in una partitura infuocata e geniale ma spesso ridondante, opima, a tratti anche effettistica, ha trovato il modo di ammorbidire un certo retrogusto declamatorio con la dolcezza e la leggerezza del tocco, un uso del pedale controllato e una varietà di dinamiche che hanno ingentilito e sfumato la narrazione creando atmosfere quasi oniriche.
In questa maniera si sono evidenziate sia l’anima romantica tardo ottocentesca sia quella, meno epidermica, che si scrolla di dosso la tradizione e guarda al presente, a certe oasi liriche di Ravel e all’impressionismo di Debussy.
Gianna Fratta ha ben diretto l’orchestra, gestendone con precisione la ritmica, le agogiche e valorizzando gli interventi dell’oboe, del clarinetto e del flauto.
Alessandro Taverna ha raccolto un trionfo personale e ha premiato il pubblico con un delizioso bis bachiano – l’arrangiamento dell’aria per soprano Schafe können sicher weiden – che ha fatto riflettere sulla grandezza incomparabile di questo compositore, che con “quattro note” otteneva risultati stratosferici.
Dopo l’intervallo è stata la volta di Petruška di Stravinskij, nella versione del 1911.
In questo caso Gianna Fratta ha tratto il meglio dall’Orchestra del Verdi, che in tutta la serata ha dato una preclara dimostrazione di maturità e classe.
Con Stravinskij non si può scherzare: l’atmosfera tesa e al contempo grottesca, fortemente drammatica ma screziata di continuo da un’ironia che spesso sfocia in un sarcasmo crudele non consente distrazioni.
L’uso sistematico delle percussioni, le dissonanze, la varietà di temi anche divergenti devono convivere in modo armonico e unitario che rievoca la follia del carnevale in tutte le sue sfaccettature.
La folla, l’ubriacatura della festa, le contraddizioni dell’anima e della mente si aggrovigliano in un viaggio interiore che procede parallelo e forse anticipa con un linguaggio diverso certe pagine di un romanzo come La montagna incantata di Mann, in cui i dialoghi sembrano perdersi nell’infinito ma alla fine ritrovano equilibrio e armonia chiudendo alla perfezione un cerchio tracciato con mano incerta.
Gianna Fratta è stata capace di un’ottima interpretazione, aggressiva, intensa ma anche poetica; soprattutto attraverso il gesto e la mimica ha comunicato all’orchestra e ai presenti la sua gioia di fare musica. Anche per lei il pubblico triestino ha riservato applausi e acclamazioni, più che meritate.

La locandina

Alexander von ZemlinskySalmo 83 per soli, coro e orchestra
Sergej Vasil’evič RachmaninovConcerto per pianoforte e orchestra n. 3 in re min. op. 30
Igor’ Fëdorovič StravinskijPetruška, scene burlesche in quattro quadri
  
DirettoreGianna Fratta
PianoforteAlessandro Taverna
  
SopranoFrancesca Palmentieri
ContraltoElena Boscarol
TenoreFrancesco Paccorini
BassoGiuliano Pelizon
  
Maestro del CoroPaolo Longo
  
Orchestra e coro del Teatro Verdi di Trieste
  



Francesca Dego e Alessandro Taverna brillano al Festival di Portogruaro. Il pubblico li premia con grandi applausi e apprezza pure l’ostico Arnold Schönberg.

L’efficacia di un’esecuzione musicale non è mai valutabile solo dalla compitazione più o meno corretta di una serie di note, ci vuole ben altro per trasformare quei segni sul pentagramma in qualcosa di unico e irripetibile, diverso ogni sera. Vale per la musica lirica e anche per la sinfonica, dove l’atmosfera è creata dal suono degli strumenti, certo, ma anche dal feeling tra podio e orchestra.
Questa valenza emotiva, intima, è a maggior ragione determinante nei concerti che prevedono due solisti alle prese con due meravigliose ed esigenti creature, il violino e il pianoforte. E, credetemi, l’antropomorfizzazione – spesso inopportuna in altri campi – in questo caso è pertinente.
Vedere come Francesca Dego accarezza, blandisce, rimprovera il suo Ruggeri rimanda a un atto materno primordiale, atavico. E lo stesso si può affermare di Alessandro Taverna e il Fazioli: un rapporto alla pari, simbiotico.
Francesca Dego e Alessandro Taverna, che si esibivano per la prima volta insieme, hanno trovato quella alchimia che fa sperare in una proficua collaborazione futura.
All’inizio è subito Schönberg, quello duro e rivoluzionario del furore dodecafonico, che nella sua Fantasia per violino e pianoforte op. 47 poco concede al lirismo in un brano asciutto e nervoso, in cui il pianoforte è spesso ai margini, sovrastato dall’impeto rabbioso del violino che Francesca Dego usa come il pennello di un pittore espressionista. Del resto, Schönberg appartiene alla Seconda Scuola di Vienna, che dell’espressionismo musicale fu promotrice negli anni Venti del secolo scorso.
È stata poi la volta di un altro grande del Novecento, Richard Strauss, per quanto il brano proposto – la Sonata per violino e pianoforte in mi maggiore op. 18 – appartenga alla prima produzione del compositore e abbia esordito nel 1888.
Il gusto di Strauss per una raffinata magniloquenza si percepisce subito anche in questa composizione giovanile, in cui pianoforte e violino fanno a gara per ergersi a protagonisti in un’alternanza di umori che vede spesso nervoso il primo e più accattivante nella melodia il secondo.
La cavata e il legato della Dego le hanno fatto guadagnare un inopportuno (e meritato) applauso tra un movimento e l’altro: io sugli stereotipi che governano il comportamento del “bravo spettatore di musica” sono piuttosto critico, credo che certe convenzioni possano essere, con meditata moderazione, riviste. Oggi il mondo è mutato ed è cambiata la comunicazione, anche tra artisti e pubblico. Difendere con lo sguardo severo dell’inquisitore stilemi superati mi pare che possa nuocere alla divulgazione dell’Arte, che non deve isolarsi dal mondo bensì dettare l’agenda da protagonista anche nella quotidianità.
Magnifico il contributo di Alessandro Taverna, capace di un suono impetuoso e al contempo raffinato. Meravigliosa la leggerezza dell’arpeggio che chiude il secondo movimento e, poco dopo, impressionante la tonica autorevolezza dell’inizio del conclusivo Andante.

Dopo la pausa è stata eseguita la Sonata per violino e pianoforte in la maggiore di César Franck, la pagina di più facile, si fa per dire, ascolto della serata.
L’atmosfera nel primo movimento è distesa anche se non mancano momenti di carattere più ombroso, come nell’Allegro successivo, con Traversa travolgente al pianoforte.
Come giustamente sottolineato nel libretto di sala – a proposito, complimenti all’organizzazione, considerati gli insipidi straccetti forniti da altri teatri di presunto prestigio – il petricore wagneriano è molto presente nel terzo movimento con dei cromatismi che hanno il retrogusto di certe atmosfere decadenti proprie del compositore tedesco. Emozionanti, nella fattispecie, le ardite cadenze della Dego.
Il Rondò finale sembra ricomporre equilibri forse mai del tutto spezzati con i solisti che insieme plasmano un clima di serenità che smorza la tensione del movimento precedente.
Trionfo per i due protagonisti, che hanno dimostrato non solo il loro virtuosismo ma anche la capacità di comunicare, qualche volta con lo sguardo, la gioia del fare musica insieme. Due bis, uno dedicato a una composizione giovanile di uno Schönberg più … morbido e l’altro a Brahms, con lo Scherzo della Sonata FAE, acronimo che sta per Frei Aber Finsam (libero ma solo) in onore dell’amico violinista Joseph Joachim.

Arnold SchönbergFantasia per violino e pianoforte op. 47
Richard StraussSonata per violino e pianoforte in mi maggiore op. 18
César FranckSonata per violino e pianoforte in la maggiore
  
ViolinoFrancesca Dego
PianoforteAlessandro Taverna

Beethoven über alles, anche a Trieste. Felicissima la sinergia tra la Società dei concerti e il Teatro Verdi di Trieste

Come leggerete nell’articolo non mi sono fatto mancare il Covid, che però mi ha lasciato velocemente e senza troppi problemi. Purtroppo sono stato costretto a perdermi ben quattro concerti…e questa è la cosa più fastidiosa.

Il “Progetto Beethoven” è arrivato al suo ultimo atto con un concerto che si è svolto al Teatro Verdi di Trieste.
Doverosa una premessa: chi scrive aveva intenzione di riferire di tutti gli eventi ma, purtroppo, più del piacer poté il Covid e perciò, con rammarico, ho potuto essere presente solo alla serata finale.
Il programma prevedeva tre pagine musicali di genere diverso del Genio di Bonn in ordine cronologico (dal 1806 al 1812): per l’occasione sul palcoscenico del Verdi hanno unito le forze l’Orchestra e il Coro della Fondazione triestina e la Filarmonica di Milano, per un totale di ben 140 elementi. Sul podio Marco Seco, che della Società dei concerti di Trieste è direttore artistico dal Novembre 2021, in seguito alla prematura scomparsa di Derek Han.
Il concerto è iniziato con l’esecuzione dell’Ouverture Leonore n.3, scritta per la seconda edizione di Fidelio.
Brano celeberrimo e spesso inserito nei programmi sinfonici, la Leonore è una pagina musicale legata in modo simbiotico all’unica opera scritta da Beethoven, perché ne contiene buona parte dei temi che riecheggiano più volte nel suo lungo e monumentale sviluppo. Non a caso, più che una Ouverture sembra essere un piccolo poema sinfonico.
Marco Seco ne ha dato un’interpretazione antiretorica e asciutta, in certi momenti anche troppo disciplinata, nel senso che il sacro furore dell’anelito alla libertà è uscito un po’ soffocato da agogiche non slentate ma leggermente sopite. Ottimo, invece, il controllo delle dinamiche che ha efficacemente sottolineato i contrastanti sentimenti che sottendono alla partitura.
È stata poi la volta della Fantasia corale op. 80 per pianoforte, coro e orchestra.
Notoriamente considerata come un’anticipazione della Nona sinfonia – sia per la vicinanza col tema della gioia sia per i testi di Christoph Kuffner – la Fantasia sembra soprattutto il tentativo di far coesistere le esigenze del sinfonismo e della musica corale, con i virtuosismi del pianoforte (Beethoven fu eccellente solista) a fare da trait d’union tra i due universi.
Alessandro Taverna, che oltre a essere ottimo pianista è anche impegnato nella divulgazione della musica classica – è Direttore artistico del Festival di Portogruaro, giunto alla quarantesima edizione – ha comunicato felicemente con il direttore e, al contempo, eseguito con liquido virtuosismo le numerose variazioni e i dialoghi orchestrali che portano alla gioiosa entrata del Coro.
Più che dignitose le prove dei solisti (che trovate in locandina) e molto buono il rendimento della compagine triestina, diretta da Paolo Longo.
Più volte chiamato al proscenio, Alessandro Taverna ha scelto per il bis una variazione di Max Reger, molto apprezzata dal pubblico.
Dopo la pausa è stata eseguita la Sinfonia n. 7 in la maggiore, op. 92 e cioè quella che fece dire a un giovane scellerato come Carl Maria von Weber che:

le stravaganze di questo genio hanno raggiunto il non plus ultra, e Beethoven è pronto per l’ospedale psichiatrico.

Ora, di là del fatto che altri apprezzarono da subito l’innovativa pagina musicale – il mai troppo lodato e lungimirante E.T.A. Hoffmann, per dirne uno – gli equivoci nascono da una circostanza ben precisa; questa sinfonia è la classica composizione di transizione, nello specifico tra il sinfonismo alla Haydn (il padre della sinfonia) e i primi afflati di romanticismo: musica d’avanguardia e quindi difficile da capire per i contemporanei. E se Wagner ci vide l’apoteosi della danza, disciplina caratterizzata più di altre da una marcata valenza emotiva, noi nel 2022 ci accontentiamo della grande energia e della gioia che sprigiona la musica.
Brillante, dal mio punto di vista, l’interpretazione di Marco Seco sul podio, che ha saputo amalgamare le peculiarità di due orchestre diverse in una partitura ricca di inventiva ritmica in cui convivono echi di danze popolari, marce e serotini bagliori riflessivi che si sciolgono in un finale luminosissimo.
Il teatro era finalmente affollato e il pubblico, molti i giovani, ha tributato un grande successo agli interpreti e alla serata.
L’auspicio è che la sinergia tra la fondazione triestina e la Società dei Concerti diventi una costante del panorama culturale regionale.

Ludwig van BeethovenOuverture Leonore n.3 in do maggiore op 72b
Ludwig van BeethovenFantasia in do minore per pianoforte, soli e coro op 80
Ludwig van BeethovenSettima sinfonia in la maggiore op92
  
DirettoreMarco Seco
Direttore del coroPaolo Longo
  
PianoforteAlessandro Taverna
  
Solisti
Francesca Palmentieri, Miriam Spano, Francesco Paccorini, Roberto Miani, Giuliano Pelizon
  
Orchestra e coro del Teatro Verdi di Trieste
Filarmonica di Milano
  
In collaborazione con la Società dei concerti di Trieste

Paolo Longo e Alessandro Taverna protagonisti del terzo concerto della stagione sinfonica al Teatro Verdi di Trieste. Buona affluenza di pubblico, ed è un’ottima notizia.

C’è una buona notizia, e cioè il pubblico era piuttosto numeroso. L’altra buona notizia è che il direttore era Paolo Longo, che io continuo a considerare una risorsa inestimabile per il Teatro Verdi di Trieste. Leggi il resto dell’articolo