L’ennesima Tosca può riservare ancora emozioni? Risposta scontata: sì, e pure belle forti.
Ieri alla Fenice di Venezia ho visto e sentito la Tosca di Puccini secondo la visione di Robert Carsen, regista che mi piace molto, in un allestimento un po’ controverso, sicuramente non geniale, ma comunque molto intrigante. Ci sono alcune incongruenze col libretto ma, almeno a mio avviso, nulla che possa far gridare allo scandalo.
Ma andiamo per ordine.
Intanto
Meg-pentolino mi ha avvisato che la sua
prima del Falstaff a Cagliari sarebbe andata in scena solo col pianoforte, per un improvviso sciopero dell’orchestra.
Sono soddisfazioni, Marina…ma transeat.
Io e ex-Ripley abbiamo rigiocato la carta del treno, lasciando a casa l’automobile, complice una favorevole coincidenza d’orari. Ed è già una cosa, no?
Come sempre l’orrida Venezia era strapiena di turisti e quindi occhi aperti! Le priorità per raggiungere indenni la Fenice sono state:
1) Non farsi troncare le gambe dai trolley impazziti lanciati come carrelli da supermercato, che disegnavano traiettorie assolutamente imprevedibili.
2) Non essere gettati a mare (si fa per dire, ovvio) dal vaporetto, perché gli invasori barbari normalmente si scordano di portare sulle spalle uno zainetto grande come un monolocale.
3) Riuscire a non perdere del tutto la vista a causa dei continui flash delle fotocamere.
4) Evitare di beccarsi una denuncia per molestie sessuali da una ragazzina svedese che mi premeva il culo sulla mano. (non sto scherzando, ho rischiato di essere terminato da ex-Ripley, che pensava fossi salito sul vaporetto in versione maniaco)
Ecco, poi siamo arrivati a teatro.
Era la Tosca numero 79 di Daniela Dessì

e sinceramente credo che oggi sia la miglior Floria possibile, sotto ogni punto di vista. Il soprano genovese ha raggiunto una maturità artistica invidiabile, che le consente di dominare la partitura pucciniana senza alcuna sbavatura.
Accento pertinente, fraseggio curatissimo, recitazione ammirevole, linea di canto omogenea, voce sempre timbrata in tutto il registro: il Do della lama, temutissimo perché giunge quasi alla fine dell’opera e molto scomodo per la collocazione, è stato una folgore. Però non è certo da una nota che si valuta la prestazione di un artista e quindi io, se dovessi proprio estrapolare dal contesto generale un momento da ricordare indicherei quel “giura”che precede il duetto del primo atto, con relativo buffetto sulla spalla di Cavaradossi, che mi ha restituito una Tosca giovane ed innamorata, lontana anni luce da certe interpretazioni che ritraggono la Diva come fosse un Otello pazzo di gelosia. Dopo il Vissi d’Arte ho temuto che la Fenice venisse giù per gli applausi, il bis ci stava tutto. Magnifica anche nei terribili momenti del secondo atto, quando Scarpia sembra vincerla psicologicamente col ricatto.
Una prestazione da ricordare.
Fabio Armiliato,

nei panni di Cavaradossi, è stato pure bravissimo. Ha cominciato prudentemente, senza voler strafare, nell’aria “Recondita Armonia” , e da lì la sua prestazione è andata in crescendo sino alla fine dell’opera. Ho apprezzato moltissimo la continua ricerca di sfumature e colori diversi, la dizione, il fraseggio e la recitazione sempre misurata. In uno dei momenti più noti dell’opera lirica in generale, la romanza “E lucean le stelle”, la sua prova è stata commovente e giustamente sottolineata da un uragano d’applausi.
Nell’ambito di una prestazione d’assoluto rilievo, mi ricorderò della splendida riuscita dell’andante “O dolci mani mansuete e pure”, cantato a fior di labbra con un’espressività davvero ragguardevole. Tra l’altro Armiliato ha sfoderato pure acuti molto sicuri e penetranti ( La vita mi costasse, Vittoria!”), per la gioia dei cultori di questa forma d’atletismo vocale.
Armiliato e Dessì sono una coppia anche nella vita privata, come forse non tutti i lettori di questo blog sanno, e sul palcoscenico il loro affiatamento personale fornisce un notevole valore aggiunto alla prova artistica.
Il baritono Carlo Guelfi, che vestiva i panni scomodissimi di Scarpia, non mi ha convinto del tutto anche se l’ho sentito in ripresa rispetto alle ultime prestazioni. La voce è molto chiara, e spesso il suo canto sfocia nel parlato.
Certo la presenza scenica è notevole ed il personaggio dell’autoritario barone esce discretamente, alla fine; spesso però la voce è sfocata, secca, mentre il volume rimane abbastanza buono. Per fortuna, come spesso succede ai cantanti non troppo in forma che affrontano questo ruolo, non ha pigiato sul pedale degli effettacci plateali ed anzi si è mantenuto abbastanza sobrio nella recitazione.
Piuttosto affaticato Alessandro Spina, Angelotti, mentre ottima è stata la prova di Roberto Abbondanza quale Sagrestano.
Routine modesta per gli altri: Iorio Zennaro (Spoletta), Franco Boscolo (Sciarrone) e Giuseppe Nicodemo ( Carceriere). Qualche problema d’intonazione per il piccolo Michelangelo D’Adamo, giovanissimo pastore, ma vogliamo concedere che l’emozione può giocare qualche brutto scherzo ad un ragazzino?
Il direttore Daniele Callegari non ha danneggiato nessuno, ma non me la sento certo di esaltarne la prova: si è limitato ad una lettura molto scolastica e qualche volta un po’ chiassosa di una partitura che offre spunti d’approfondimento psicologico molto appetibili.
Buona l’orchestra e bravi gli artisti del Coro nella spettacolare scena del Te Deum.
Le scenografie ed i costumi di Anthony Ward e le luci (molto belle) di Davy Cunningham sono funzionali alla regia di Robert Carsen, un po’ datata certo, ma che comunque evidenzia cura nei particolari ed attenzione ai movimenti dei protagonisti. Solo il primo atto non mi è piaciuto, perché la mancanza di una chiesa riconoscibile non evocava il contrasto di oppressione religiosa dei sentimenti forti dei protagonisti.
Successo trionfale per tutti, con punte di clamorosa e meritata approvazione per Daniela Dessì e Fabio Armiliato.
A stento io ed ex-Ripley siamo riusciti a mangiare un terribile panino in un bar nei pressi della stazione ferroviaria: per fortuna, appunto, eravamo di fretta e ci siamo limitati al sandwich, altrimenti credo che avremmo contribuito a sporcare ulteriormente i già appiccicosi sedili del treno che ci ha riportati, in piena notte, a Trieste.
P.S
Ho scattato, forte della posizione favorevole in teatro, 64 foto: quelle pubblicate sono le uniche decenti.
Un fenomeno eh?
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