Al Festival di Lubiana si susseguono i concerti e forse l’abbondanza di offerta potrebbe aver influito sulla non debordante presenza del pubblico alla serata di ieri. Intendiamoci, sempre tanti spettatori, ma non il sold out. Anche in quest’occasione gli assenti hanno avuto torto, perché gli artisti dell’appuntamento di ieri nella sala del Cankarjev dom si sono resi protagonisti di uno splendido concerto. Si è iniziato con un omaggio ad Anton Lajovic, compositore sloveno (1878-1960), di cui è stato eseguito l’Adagio, brano musicale caratterizzato da un’evidente ispirazione romantica. Musica rilassante ma priva di sdilinquimenti e melassa, improntata a un uso disteso e avvolgente degli archi screziato da cromatismi affidati ai legni e all’arpa, il tutto all’insegna di un filone musicale che mi è sembrato, nel gusto, a metà tra Gounod e Saint-Saëns. È stata poi la volta del Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77 di Johannes Brahms, pagina musicale giustamente celeberrima in cui è fondamentale che il podio mantenga un equilibrio logistico e narrativo tra orchestra e solista. Orchestra, appunto, che in questo caso è tutt’altro che figlia di un dio minore soprattutto nell’imponente introduzione sinfonica del primo movimento, per poi lasciare gradatamente il centro dell’attenzione al violino. Non a caso, il notoriamente acido Hans von Bülow lo definì non un concerto per violino ma un concerto contro il violino; definizione che oggi, vista la notorietà planetaria del brano, più che ridere ci fa sghignazzare. Strutturato in tre movimenti (Allegro-Adagio-Allegro) e dedicato al grande Joseph Joachim – primo interprete del brano nel 1879 – il concerto si caratterizza per un’atmosfera gioiosa e luminosa, in cui gli squarci melodici sono ravvivati dal virtuosismo stellare del solista che sfocia in un brillantissimo e scoppiettante finale colmo di suggestioni popolari. Julian Rachlin è un artista moderno nel migliore senso del termine: impeccabile dal punto di vista tecnico, certo, ma anche capace di essere empatico e comunicativo con l’espressione e la mimica. Eccellente il suo controllo delle dinamiche, espressività al top nelle melodie, virtuosismo evidente ma non esibito. Ottima l’intesa col grande vecchio Christoph Eschenbach sul podio, che a sua volta partecipe e composto ha guidato la Filarmonica slovena a una prova maiuscola per qualità di suono e raffinatezza di gusto interpretativo. Gran successo per Julian Rachlin, acclamato vigorosamente dal pubblico.
Ogni volta che ascolto la musica di Cajkovskij – e per fortuna accade spesso – mi ricordo di quanto ingiuste siano state le critiche di cui l’artista è stato bersaglio per troppo tempo, frutto di uno specioso pregiudizio di natura politica. La Sinfonia N.5 in mi minore op.63 è una delle composizioni che più si attirò le accuse di sentimentalismo ed eccesso di languidezza laddove, oggi, io sento solo genuino sentimento. Poi, certo, si potrà pure affermare che la Quinta abbia un andamento schizofrenico ma cosa dire di fronte all’incontaminata purezza della melodia del corno che introduce l’Andante del secondo movimento? Come non restare soggiogati dall’incalzare del “Tema del destino” nell’Introduzione? E la mesta leggerezza del valzer non fa forse vibrare le corde più nascoste del nostro vissuto? Christopher Eschenbach dirige a memoria e con gesto scabro ed essenziale la partitura ricavando dall’orchestra un suono bellissimo, ricco e al contempo austero, privo di qualsiasi concessione a un facile effettismo coloristico e piacione. Un’interpretazione coinvolgente, che ha stregato il pubblico che alla fine ha lungamente acclamato il direttore e la compagine di casa.
La Barcolana, seppure in forma più timida del solito per ovvi motivi, potrebbe aver sottratto qualche spettatore al Verdi. L’importante è che ci sia continuità nell’attività teatrale! Scusate per la formattazione stravagante del testo, purtroppo WordPress mi ha imposto un nuovo editor e per ora non ci capisco una cippa (strasmile amaro)
In questi tempi grami, mentre mi preparavo per l’ascolto del terzo concerto della stagione autunnale triestina che si colloca poco prima della Barcolana, mi sono divertito a immaginare che musica avrebbe tratto Čajkovskij dall’atmosfera che si respira a Trieste nei giorni che precedono la grande regata. Mi piace pensare che non sarebbe stata poi così diversa da quella del Capriccio Italiano che ha aperto la serata e così cito, parafrasando, una lettera del compositore alla mecenate Nadezda von Meck:
il carattere di questa festa è determinato dal clima e dalle antiche usanze…se si osserva bene il pubblico che si accalca in modo così selvaggio sulle Rive, ci si convince che l’allegria di questa folla, per quanto possa assumere aspetti davvero singolari, in fondo è sincera e naturale. Non ha bisogno né di grappa né di vino, si inebria con l’aria del posto.
Se poi, come pare, l’aria del posto assumerà domenica prossima i connotati della bora scura, beh, di sicuro ci divertiremo. Jordi Bernàcer, come già nel concerto precedente, si è confermato direttore di sicura professionalità sul podio dell’Orchestra del Verdi di Trieste, riuscendo a trovare equilibrio in una pagina musicale complessa, in cui convivono sprazzi militareschi, afflati romantici e suggestioni popolaresche. Dell’orchestra, sottolineo tra le altre cose l’ottimo rendimento delle percussioni e degli ottoni.Il passaggio tra la musica di Čajkovskij e quella, più severa e imponente, di Beethoven, può anche risultare ostico, ma il Quarto concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra ha caratteristiche peculiari. Composto quasi in contemporanea a pietre miliari quali Fidelio e la Quinta sinfonia, il brano ha un retrogusto dolce e luminoso, scorrevole e discorsivo, quasi privo di quelle asperità che caratterizzano molta della produzione di Beethoven. La solista Mariangela Vacatello ne ha colto in pieno l’umore romantico senza risultare svenevole o zuccherosa – l’ Allegro moderato iniziale si presterebbe a qualche eccesso di miele – e al contempo ha conferito un misurato vigore al più contrastato Andante con moto successivo, palesando anche tocco delicato e grande abilità nel “giocare” con le dinamiche. Poi, nel Rondò che chiude il concerto, la pianista ha dato ampia prova di un virtuosismo mai ostentato, finalizzato a un’espressività calorosa e vivacissima, solare. Grande successo per lei, che ha ricambiato gli applausi del pubblico con due bis. Gli archi e i legni dell’orchestra triestina hanno contribuito in modo fondamentale alla buona riuscita di una pagina musicale molto impegnativa. L’Eroica – rectius Terza sinfonia in mi bemolle maggiore op.55 – si può considerare un’opera etica, quasi un esempio di moralità in musica. Su questa pagina musicale si è scritto qualsiasi cosa (anche qualche corbelleria) e forse spingere troppo sul pedale della retorica non aiuta a godere di quello che è, in primis, uno straordinario monumento culturale. Perciò tralascerei Napoleone, l’Iliade e quant’altro, concentriamoci sulla musica. La terza di Beethoven è innanzitutto musica da brividi, palpitante ed emozionante come poche altre perché porta con sé un tumulto di sentimenti difficilmente governabile sin dall’inizio, che sembra quasi un trionfo della vitalità dell’uomo. Poi, con la Marcia funebre ci ritroviamo, tutti, al cospetto con le grandi domande della vita che, com’è giusto che sia, sono disperatamente senza risposta. Lo Scherzo ci rasserena e ci trasporta in un mondo dal sapore bucolico, a una spensieratezza ancestrale. L’Allegro molto del quarto movimento è energia pura e credo sia davvero uno dei momenti più adrenalinici di tutta la produzione di Beethoven il quale, non a caso, considerava proprio questa la sua sinfonia più riuscita. Il direttore Jordi Bernàcer ha scelto una lettura prudente, forse non troppo personale ma sicuramente encomiabile per precisione e accuratezza. È mancata, dal mio punto di vista, quella scintilla che sarebbe potuta scaturire da agogiche più spregiudicate. Brillante in toto il rendimento della compagine orchestrale triestina. Il concerto è stato gradito dal pubblico, questa volta meno numeroso rispetto alle ultime occasioni, che ha ripetutamente chiamato al proscenio Jordi Bernàcer.
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Capriccio italiano in la maggiore op.45
Ludwig van Beethoven
Quarto concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra
Sergej Krylov e l’Orchestra del Teatro Verdi trionfano a Trieste in un emozionante concerto. Teatro esaurito per la seconda volta consecutiva. Il Covid-19 resta a casa (strasmile).Leggi il resto dell’articolo
Su OperaClick stiliamo la classifica dei migliori spettacoli di ogni anno; credo che per il 2020 difficilmente potrò fare a meno di segnalare questa serata! Insomma, tra Lucrezia Borgia e Pulzella l’anno è cominciato benissimo.
E, con un minimo di orgoglio dico che quando vidi Káťa Kabanová (per il regista) e La Cenerentola (per la protagonista), fui facile profeta.
Ai bei tempi lo facevo più spesso, ma ora non mi dedico più con frequenza alla recensione di DVD. Peraltro, come sapete benissimo, i tempi non sono più belli. È probabile però che ci sia un ritorno di fiamma e mentre lo scrivo già mi ha preso ancora più caldo. Insomma, si comincia con Čajkovskij e, credetemi, è un bel cominciare.
Tutto ciò in attesa della presentazione della nuova stagione del Teatro Verdi di Trieste, che avverrà il prossimo 11 luglio. Leggi il resto dell’articolo
Nel settembre del 1971, Herbert von Karajan inaugurò la stagione della Società dei concerti di Trieste con i “suoi” Berliner Philharmoniker di cui era a quel tempo Direttore stabile: negli anfratti di casa mia ci deve essere ancora il programma di sala della serata.Leggi il resto dell’articolo
Ormai siamo quasi pronti per l’inaugurazione della stagione lirica. Prima di disquisire, inutilmente peraltro, sull’orribile fa sovracuto che il tenore dovrebbe (ma per me sarebbe meglio evitare) emettere nel terzo atto, prendiamo atto che Fabrizio Maria Carminati è in ottima forma.Leggi il resto dell’articolo
Dopo l’ottimo inizio della scorsa settimana, la stagione sinfonica al Verdi di Trieste è arrivata al secondo concerto che si è svolto ieri sera.
Quando mi appresto a recensire un brano di Čajkovskij mi viene sempre in mente una circostanza: vita tormentata quella del compositore, e tante amarezze non gli furono negate neanche dalla critica (ovviamente con il terribile Hanslick in prima fila, che definì musica puzzolente questo concerto). Beh, spero che in qualche modo il buon Pëtr sia a conoscenza di quanta serenità sparge a piene mani la sua musica e quanto sceme e inopportune furono le critiche nei suoi confronti. Certo, sarebbe un risarcimento aleatorio e postumo, ma credo anche meritato.Leggi il resto dell’articolo
È partita la stagione lirica triestina e siamo tutti contenti. Io però, come cerco di spiegare nel dettaglio nell’articolo, vorrei vedere anche a Trieste un altro tipo di teatro. Non più bello, non più moderno o altro: semplicemente più vivo. Non bulgaro nella peggiore delle accezioni del termine appunto, sia detto senza offesa.
Quest’anno con gli allestimenti sarà durissima, lo sento (strasmile).Leggi il resto dell’articolo
Hanno detto: