Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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A Lubiana bellissima produzione di Evgenij Onegin, protagonista una compagnia artistica giovane e affiatata.

Il Teatro dell’opera di Lubiana ha una programmazione stringente, tipica delle capitali europee; nelle alzate di sipario sostanzialmente giornaliere si alternano opere, operette e balletti.
La produzione di Evgenij Onegin che ho seguito in questa occasione ha debuttato nel maggio del 2023 e, nonostante le tantissime serate, anche ieri il pubblico ha affollato il teatro.
Vinko Möderndorfer, artista poliedrico, firma la regia di questo allestimento che si può definire minimalista nell’ispirazione e al contempo più che sovrabbondante di idee pur rientrando nella categoria delle interpretazioni “fedeli al libretto”.
Le scenografie sono scarne ed essenziali, con qualche citazione magrittiana e un’attenzione di stampo cinematografico per le simmetrie e in generale per la distribuzione sul palco degli elementi scenici e dei protagonisti. Ogni atto è trattato con grande cura anche per ciò che riguarda la recitazione e le interazioni tra i cantanti, le controscene interessanti e non fini a se stesse perché aggiungono sostanza alla narrazione senza appesantirla inutilmente.
Allo stesso modo le coreografie – i balli, come noto, hanno un’importanza capitale nell’Onegin – sono trattate con misura ma senza rinunciare alla spettacolarità. I costumi, appropriati, sono spesso nello spettro delle cromie pastello e mantengono un’eleganza sobria. L’impianto luci è efficace e dà tridimensionalità allo spettacolo.
Nel complesso si tratta di una produzione riuscita anche perché sul podio il direttore, Marko Hribernik, va nella stessa direzione del regista e non c’è distonia tra la musica e quello che si vede sul palco.
L’Orchestra del teatro risponde benissimo soprattutto col suono, magnifico, degli archi, ma tutte le sezioni hanno brillato per pertinenza stilistica e omogeneità. Forse nei momenti più infuocati della meravigliosa partitura un po’ di calore ed enfasi in più non avrebbero guastato, ma il rischio sarebbe poi stato di spalmare di melassa le note di Ciajkovskij e quindi di commettere un atto mortale dal punto di vista artistico.
Eccellenti, come da tradizione locale, le prestazioni del Coro e del Corpo di ballo.
Per quanto riguarda la compagnia di cantanti, come spesso accennato tutti artisti “residenti, mi preme sottolineare in primis la buona resa vocale e attoriale di tutte le parti che si definiscono “minori”, che hanno contribuito a rendere efficaci i momenti di sommesso canto di conversazione e anche i limitati interventi solistici. In particolare ho apprezzato la bellissima resa di Janco Volčanšek il quale, pur con mezzi vocali non straripanti, ha creato un Gremin di spessore artistico notevole. Da evidenziare anche l’ottima prova di Emilia Rukavina, capace di dare uno spessore importante alla centrale figura di Olga che è involontaria scaturigine del fatale litigio tra Onegin e Lenskij.
Ma a far decollare la serata sono state le bellissime prestazioni del trio di protagonisti, tutti artisti preparati e giovani.
Mojca Bitenc è stata convincente nel tratteggiare la giovane Tatjana con partecipazione emotiva e intelligente uso del suo strumento vocale da soprano lirico. Nella famosa scena della lettera, lunghissima e onerosa, ha reso mirabilmente le ansie e le insicurezze giovanili del personaggio, ribadite poi anche nel finale ma con la consapevolezza della donna più matura.

Eccellente Domen Križaj nei panni di Onegin. Voce bella, penetrante, fraseggio accurato e acuti sicuri, il giovane baritono ha reso perfettamente tutte le sfaccettature di un personaggio tutt’altro che facile che vive la sua parabola di vita in modo tormentato sia nella spensieratezza sia nella disperazione.

Bravissimo anche Martin Sušnik, Lenskij commovente ed elegante, che può contare su una voce di timbro solare e bello, molto italiana se vogliamo, che sale con facilità agli acuti ed è omogenea in tutti i registri. Davvero centrata la sua interpretazione di una delle arie più famose dell’opera, quella “Kuda, kuda” che richiede sia una preparazione tecnica ineccepibile sia un’intensa propensione all’empatia.
Pubblico molto numeroso e attento, proveniente dai paesi limitrofi con una non esigua quota parte di turisti, che ha accolto tutta la compagnia artistica con applausi anche a scena aperta. Entusiasmo alle stelle per i protagonisti principali e per il direttore d’orchestra.

TatjanaMojca Bitenc
OlgaEmilia Rukavina
LenskijMartin Sušnik
OneginDomen Križaj
GreminJanco Volčanšek
FilipjevnaMirjam Kalin
LarinaSabina Gruden
ZareckiZoran Potocan
TriquetAndrej Debevec
PoveljnikRok Bavcar
  
DirettoreMarko Hribernik
  
RegistaVinko Mödernorfer
ScenografiaBranko Hojnik
CoreografiaRosana Hribar
CostumiAlan Hranitelj
Impianto luciPascal Mérat
  
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Lubiana
  
Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Lubiana

Nel sesto concerto della stagione sinfonica al Teatro Verdi di Trieste brilla la stella di Stefan Milenkovich. Ottima la prova dell’orchestra triestina ben guidata da Francesco Ivan Ciampa

Come ho avuto occasione di rimarcare spesso, la stagione sinfonica triestina quest’anno ha una caratteristica molto gradita: il pubblico affolla il teatro e così è stato anche ieri sera per il penultimo concerto.
Sicuramente la presenza di una star come Stefan Milenkovich è stata determinante – erano molti gli stranieri, anche suoi connazionali – ma la tendenza, rispetto agli anni scorsi che hanno visto il teatro spesso vuoto a metà, è decisamente cambiata.
E poi, di là degli esiti artistici davvero rimarchevoli, ieri è successo uno di quegli episodi che rendono le serate a teatro uniche, divertenti e irripetibili. Durante l’esibizione del solista serbo è saltata una corda del suo violino che l’ha costretto a un funambolico cambio di strumento al volo con Stefano Furini, Konzertmeister dell’orchestra triestina: non gli è andata malissimo, perché ha ricevuto in cambio uno Stradivari. A seguire siparietti vari, prima del bis dedicato a Bach, che hanno dimostrato che l’atmosfera era innervata dalla voglia e dal piacere di fare musica insieme.
Francesco Ivan Ciampa, sul podio dell’Orchestra del Verdi, è stato protagonista della serata alla pari del prestigioso ospite perché non si è limitato a mere esecuzioni ma ha cesellato la sua interpretazione personale di entrambe le pagine previste dal programma.
Nel Concerto per violino e orchestra in re maggiore op.77 di Brahms, dedicato al sommo Joseph Joachim, ha non solo assecondato le esigenze del solista ma, ben conoscendo il respiro sinfonico del brano, si è speso anche per dare risalto all’orchestra nell’importante e severa introduzione. La compagine triestina, che ribadisco essere da tempo in forma spettacolare, ha risposto alla perfezione in tutte le sezioni, anche se mi piace sottolineare la morbidezza degli archi e il bellissimo suono dei legni.
Che dire di Milenkovich? Dal mio punto di vista la sua grandezza non è tanto nel virtuosismo che è quasi scontato in musicisti di questa levatura ma nella statura dell’artista in toto, in quella capacità di esprimere sentimento ed eloquenza attraverso un legato e un controllo delle dinamiche eccezionale che gli consentono di sviscerare quello che c’è dietro alle note rendendole vive e palpitanti. Inoltre, e non guasta di certo, ha un bellissimo portamento, composto ed elegante e scevro da inutili orpelli. Ha cioè la consapevolezza di arrivare al cuore del pubblico solo attraverso la musica. Meritatissimo perciò il trionfo che il pubblico gli ha riservato.
La Sesta sinfonia in si minore op. 74 di Čaikovskij, più nota come Patetica, è sempre assai emozionante da ascoltare, soprattutto dal vivo, in teatro, quando si percepiscono le tensioni emotive degli interpreti.
Così è stato ieri, perché ero molto vicino all’orchestra e al podio e ho potuto apprezzare il coinvolgimento di Ciampa il quale, anche attraverso una mimica e una gestualità accentuata, ha vissuto e indagato la partitura del lacerato uomo Čaikovskij, che dopo un terzo movimento vitale e adrenalinico piazza, a chiudere la sinfonia, un Adagio che è un abisso straziante di malinconia e mal di vivere.
Poco importa se si è percepita qualche imperfezione e anzi, considero queste peculiarità al pari della corposa pastosità degli archi o della deflagrante espressività delle percussioni. Sono caratteristiche che rendono un’interpretazione originale, degna di essere ascoltata nella concezione del direttore che ha sviscerato tutta la passionalità sanguigna e delicata al contempo di un compositore che ha vissuto una vita tormentata e per il quale nutro una venerazione che va ben oltre l’ammirazione per il suo lascito artistico. Essere Achab e Moby Dick allo stesso tempo non è facile per nessuno.
Pubblico, alla fine, in visibilio, ed è giusto così.

Johannes BrahmsConcerto per violino e orchestra in re maggiore op.77
Petr Il’ic CaikovskijSesta sinfonia in si minore op. 74
  
DirettoreFrancesco Ivan Ciampa
ViolinoStefan Milenkovich
  
Orchestra del Teatro Verdi di Trieste

Nel quarto concerto della stagione sinfonica al Teatro Verdi di Trieste trionfa Ettore Pagano col suo violoncello. Grande prestazione dell’orchestra della fondazione triestina, ben diretta da Kevin Rhodes

Quest’anno la notizia è che il Teatro Verdi ha recuperato l’affetto del suo pubblico. Certo, la quantità dei turisti presenti nel capoluogo durante i fine settimana aiuta, ma dal momento che contano i fatti bisogna solo rallegrarsi di vedere il teatro pieno, la fila fuori dalla biglietteria e sorridere nel constatare la notevole presenza di giovani.
Anche il quarto concerto della stagione sinfonica – una delle migliori degli ultimi anni – è andato praticamente esaurito e il programma non era popolare nel senso più comune del termine, perché i brani scelti non erano certo tra quelli più gettonati.
Serata dedicata alla musica russa, con Čaikovskij e Rachmaninov colti in alcune pagine musicali assai diverse tra loro e, unico appunto, forse anche troppo distanti dal punto di vista stilistico. Tra la prima parte e la seconda l’atmosfera emotiva è cambiata di molto e forse la narrazione complessiva ne ha risentito. Ovviamente è un’opinione personale e perciò discutibilissima.
Un’altra considerazione di carattere generale è che il rendimento dell’Orchestra del Verdi sta crescendo in modo esponenziale sia come collettivo sia nelle varie sezioni. Intendiamoci, la compagine triestina è sempre stata di buon livello, ma ultimamente la sensazione è che sia scattata una scintilla che ha acceso una passione che forse si era un po’ affievolita. Perciò, al netto di occasionali imprecisioni e sbavature sempre presenti nelle serate dal vivo, credo che un omaggio ai professori d’orchestra sia d’obbligo.
L’apertura è stata affidata al Pezzo capriccioso in si minore, op. 62 di Čaikovskij che è caratterizzato da una tinta malinconica, di ispirazione folclorica tipicamente russa sin dalle primissime note, appena screziata dal virtuosismo del solista che soprattutto nel finale è assoluto protagonista.
Solista che era Ettore Pagano, il quale già l’anno scorso raccolse un trionfo a Trieste e che si è confermato talento purissimo anche nella successiva Trascrizione per violoncello e orchestra del Nocturne nr.4 – originariamente scritto per pianoforte – in cui ha figurato molto bene anche il flauto di Giorgio Di Giorgi.
Ma Pagano è esploso in tutta la sua grande comunicativa nel terzo brano proposto, Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33, non a caso cucito su misura dal compositore per un grande violoncellista del passato, Wilhelm Fitzenhagen.
Virtuosismo, legato, musicalità ed empatia, controllo delle dinamiche stupefacente hanno consentito a Pagano di superare tutti gli scogli di una pagina di ardua esecuzione e di accattivarsi ancora una volta la simpatia e gli applausi del pubblico triestino. Un vero e proprio trionfo rafforzato da due splendidi bis, in cui è spiccata anche una specie di adrenalinica improvvisazione che stava a cavallo tra il blues e il jazz che mi ha ricordato, si parva licet, certe folli cavalcate della chitarra di Jimi Hendrix.
Passare da un clima così disinibito al sinfonismo classico, per quanto esuberante, della Sinfonia in mi minore nr.2 op.27 di Sergej Rachmaninov è stato, almeno per me, piuttosto scioccante.
Pagina musicale sterminata, di cui si sente in qualche modo un desiderio di rivalsa – rimando alla biografia del compositore – la sinfonia vive di accesi contrasti dinamici esposti spesso con un eccesso di enfasi che la rende piuttosto densa e impegnativa all’ascolto nonostante gli sprazzi cantabili e liricheggianti siano numerosi. Le percussioni sono spesso sovrastanti e il glockenspiel, strumento gentile, pare quasi rabbuiarsi.
Anche il famoso Adagio più che stemperare la tensione emotiva attenua solo parzialmente il turbinio di sentimenti dell’Allegro precedente.
Il quarto movimento è addirittura convulso, ansiolitico ed è stato bravo Kevin Rhodes, puntualissimo sul podio dell’orchestra in tutto l’arco della serata, a mantenere una linea interpretativa capace di valorizzare tutte le sezioni orchestrali che si sono abbondantemente coperte di gloria: senza togliere nulla agli altri, i contrabbassi, i violoncelli e le viole hanno fatto un grandissimo lavoro. Segnalo anche l’eccellente prova nell’Adagio di Stefano Torcellan, primo clarinetto che ha felicemente raggiunto la pensione.
Anche stasera applausi per tutti, meritatissimi, con Kevin Rhodes scatenato evidentemente felice, e a ragion veduta, degli esiti artistici del concerto.

ëtr Il’ič ČaikovskijPezzo capriccioso in si minore, op. 62

Pëtr Il’ič Čaikovskij
trascrizione per violoncello e orchestra del Nocturne nr.4
Pëtr Il’ič ČaikovskijVariazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33,
Sergej RachmaninovSinfonia in mi minore nr.2 op.27
  
DirettoreKevin Rhodes
  
VioloncelloEttore Pagano
  
Orchestra del Teatro Verdi di Trieste

Julian Rachlin e Christoph Eschenbach in concerto al Festival di Lubiana. E due parole “in difesa” di Cajkovskij.

Al Festival di Lubiana si susseguono i concerti e forse l’abbondanza di offerta potrebbe aver influito sulla non debordante presenza del pubblico alla serata di ieri. Intendiamoci, sempre tanti spettatori, ma non il sold out.
Anche in quest’occasione gli assenti hanno avuto torto, perché gli artisti dell’appuntamento di ieri nella sala del Cankarjev dom si sono resi protagonisti di uno splendido concerto.
Si è iniziato con un omaggio ad Anton Lajovic, compositore sloveno (1878-1960), di cui è stato eseguito l’Adagio, brano musicale caratterizzato da un’evidente ispirazione romantica. Musica rilassante ma priva di sdilinquimenti e melassa, improntata a un uso disteso e avvolgente degli archi screziato da cromatismi affidati ai legni e all’arpa, il tutto all’insegna di un filone musicale che mi è sembrato, nel gusto, a metà tra Gounod e Saint-Saëns.
È stata poi la volta del Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77 di Johannes Brahms, pagina musicale giustamente celeberrima in cui è fondamentale che il podio mantenga un equilibrio logistico e narrativo tra orchestra e solista. Orchestra, appunto, che in questo caso è tutt’altro che figlia di un dio minore soprattutto nell’imponente introduzione sinfonica del primo movimento, per poi lasciare gradatamente il centro dell’attenzione al violino. Non a caso, il notoriamente acido Hans von Bülow lo definì non un concerto per violino ma un concerto contro il violino; definizione che oggi, vista la notorietà planetaria del brano, più che ridere ci fa sghignazzare.
Strutturato in tre movimenti (Allegro-Adagio-Allegro) e dedicato al grande Joseph Joachim – primo interprete del brano nel 1879 –  il concerto si caratterizza per un’atmosfera gioiosa e luminosa, in cui gli squarci melodici sono ravvivati dal virtuosismo stellare del solista che sfocia in un brillantissimo e scoppiettante finale colmo di suggestioni popolari.
Julian Rachlin è un artista moderno nel migliore senso del termine: impeccabile dal punto di vista tecnico, certo, ma anche capace di essere empatico e comunicativo con l’espressione e la mimica. Eccellente il suo controllo delle dinamiche, espressività al top nelle melodie, virtuosismo evidente ma non esibito.
Ottima l’intesa col grande vecchio Christoph Eschenbach sul podio, che a sua volta partecipe e composto ha guidato la Filarmonica slovena a una prova maiuscola per qualità di suono e raffinatezza di gusto interpretativo.
Gran successo per Julian Rachlin, acclamato vigorosamente dal pubblico.

Ogni volta che ascolto la musica di Cajkovskij – e per fortuna accade spesso – mi ricordo di quanto ingiuste siano state le critiche di cui l’artista è stato bersaglio per troppo tempo, frutto di uno specioso pregiudizio di natura politica.
La Sinfonia N.5 in mi minore op.63 è una delle composizioni che più si attirò le accuse di sentimentalismo ed eccesso di languidezza laddove, oggi, io sento solo genuino sentimento.
Poi, certo, si potrà pure affermare che la Quinta abbia un andamento schizofrenico ma cosa dire di fronte all’incontaminata purezza della melodia del corno che introduce l’Andante del secondo movimento? Come non restare soggiogati dall’incalzare del “Tema del destino” nell’Introduzione? E la mesta leggerezza del valzer non fa forse vibrare le corde più nascoste del nostro vissuto?
Christopher Eschenbach dirige a memoria e con gesto scabro ed essenziale la partitura ricavando dall’orchestra un suono bellissimo, ricco e al contempo austero, privo di qualsiasi concessione a un facile effettismo coloristico e piacione. Un’interpretazione coinvolgente, che ha stregato il pubblico che alla fine ha lungamente acclamato il direttore e la compagine di casa.

Anton LajovicAdagio
Johannes BrahmsConcerto in re maggiore per violino e orchestra
P.I. CajkovskijSinfonia N.5 in mi minore op.63
  
DirettoreChristoph Eschenbach
ViolinoJulian Rachlin
  
Orchestra Filarmonica Slovena
  

Terzo concerto della stagione autunnale al Teatro Verdi di Trieste. Cosa avrebbe detto Čajkovskij della Barcolana?

La Barcolana, seppure in forma più timida del solito per ovvi motivi, potrebbe aver sottratto qualche spettatore al Verdi. L’importante è che ci sia continuità nell’attività teatrale!
Scusate per la formattazione stravagante del testo, purtroppo WordPress mi ha imposto un nuovo editor e per ora non ci capisco una cippa (strasmile amaro)

In questi tempi grami, mentre mi preparavo per l’ascolto del terzo concerto della stagione autunnale triestina che si colloca poco prima della Barcolana, mi sono divertito a immaginare che musica avrebbe tratto Čajkovskij dall’atmosfera che si respira a Trieste nei giorni che precedono la grande regata. Mi piace pensare che non sarebbe stata poi così diversa da quella del Capriccio Italiano che ha aperto la serata e così cito, parafrasando, una lettera del compositore alla mecenate Nadezda von Meck:

il carattere di questa festa è determinato dal clima e dalle antiche usanze…se si osserva bene il pubblico che si accalca in modo così selvaggio sulle Rive, ci si convince che l’allegria di questa folla, per quanto possa assumere aspetti davvero singolari, in fondo è sincera e naturale. Non ha bisogno né di grappa né di vino, si inebria con l’aria del posto.

Se poi, come pare, l’aria del posto assumerà domenica prossima i connotati della bora scura, beh, di sicuro ci divertiremo.
Jordi Bernàcer, come già nel concerto precedente, si è confermato direttore di sicura professionalità sul podio dell’Orchestra del Verdi di Trieste, riuscendo a trovare equilibrio in una pagina musicale complessa, in cui convivono sprazzi militareschi, afflati romantici e suggestioni popolaresche. Dell’orchestra, sottolineo tra le altre cose l’ottimo rendimento delle percussioni e degli ottoni.Il passaggio tra la musica di Čajkovskij e quella, più severa e imponente, di Beethoven, può anche risultare ostico, ma il Quarto concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra ha caratteristiche peculiari.
Composto quasi in contemporanea a pietre miliari quali Fidelio e la Quinta sinfonia, il brano ha un retrogusto dolce e luminoso, scorrevole e discorsivo, quasi privo di quelle asperità che caratterizzano molta della produzione di Beethoven.
La solista Mariangela Vacatello ne ha colto in pieno l’umore romantico senza risultare svenevole o zuccherosa – l’ Allegro moderato iniziale si presterebbe a qualche eccesso di miele – e al contempo ha conferito un misurato vigore al più contrastato Andante con moto successivo, palesando anche tocco delicato e grande abilità nel “giocare” con le dinamiche. Poi, nel Rondò che chiude il concerto, la pianista ha dato ampia prova di un virtuosismo mai ostentato, finalizzato a un’espressività calorosa e vivacissima, solare.
Grande successo per lei, che ha ricambiato gli applausi del pubblico con due bis.
Gli archi e i legni dell’orchestra triestina hanno contribuito in modo fondamentale alla buona riuscita di una pagina musicale molto impegnativa.
L’Eroica rectius Terza sinfonia in mi bemolle maggiore op.55 – si può considerare un’opera etica, quasi un esempio di moralità in musica. Su questa pagina musicale si è scritto qualsiasi cosa (anche qualche corbelleria) e forse spingere troppo sul pedale della retorica non aiuta a godere di quello che è, in primis, uno straordinario monumento culturale. Perciò tralascerei Napoleone, l’Iliade e quant’altro, concentriamoci sulla musica.
La terza di Beethoven è innanzitutto musica da brividi, palpitante ed emozionante come poche altre perché porta con sé un tumulto di sentimenti difficilmente governabile sin dall’inizio, che sembra quasi un trionfo della vitalità dell’uomo. Poi, con la Marcia funebre ci ritroviamo, tutti, al cospetto con le grandi domande della vita che, com’è giusto che sia, sono disperatamente senza risposta.
Lo Scherzo ci rasserena e ci trasporta in un mondo dal sapore bucolico, a una spensieratezza ancestrale. L’Allegro molto del quarto movimento è energia pura e credo sia davvero uno dei momenti più adrenalinici di tutta la produzione di Beethoven il quale, non a caso, considerava proprio questa la sua sinfonia più riuscita.
Il direttore Jordi Bernàcer ha scelto una lettura prudente, forse non troppo personale ma sicuramente encomiabile per precisione e accuratezza. È mancata, dal mio punto di vista, quella scintilla che sarebbe potuta scaturire da agogiche più spregiudicate.
Brillante in toto il rendimento della compagine orchestrale triestina.
Il concerto è stato gradito dal pubblico, questa volta meno numeroso rispetto alle ultime occasioni, che ha ripetutamente chiamato al proscenio Jordi Bernàcer.

Pëtr Il’ič ČajkovskijCapriccio italiano in la maggiore op.45
Ludwig van BeethovenQuarto concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra
Ludwig van BeethovenTerza sinfonia in mi bemolle maggiore op.45
  
DirettoreJordi Bernàcer
PianoforteMariangela Vacatello
  

Orchestra del Teatro Verdi di Trieste



Trionfo per Sergej Krylov nel secondo concerto della stagione autunnale al Teatro Verdi di Trieste.

Sergej Krylov e l’Orchestra del Teatro Verdi trionfano a Trieste in un emozionante concerto. Teatro esaurito per la seconda volta consecutiva. Il Covid-19 resta a casa (strasmile). Leggi il resto dell’articolo

Un po’ di nostalgia nel secondo concerto estivo al Teatro Verdi di Trieste.

Nostalgia per il tempo, che pare ormai lontanissimo, dei teatri affollati, e anche per il mood dei brani proposti.
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Grande serata al Teatro dell’opera di Lubiana: Una fiammeggiante Nuška Drašćek Rojko nei panni della Pulzella d’Orléans di Pëtr Il’ič Čajkovskij incendia il pubblico.

Su OperaClick stiliamo la classifica dei migliori spettacoli di ogni anno; credo che per il 2020 difficilmente potrò fare a meno di segnalare questa serata! Insomma, tra Lucrezia Borgia e Pulzella l’anno è cominciato benissimo.
E, con un minimo di orgoglio dico che quando vidi Káťa Kabanová (per il regista) e La Cenerentola (per la protagonista), fui facile profeta.

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Recensione seria del DVD di Pikovaja Dama (La dama di picche) di Pëtr Il’ič Čajkovskij: quando il teatro lirico emoziona davvero!

Ai bei tempi lo facevo più spesso, ma ora non mi dedico più con frequenza alla recensione di DVD. Peraltro, come sapete benissimo, i tempi non sono più belli. È probabile però che ci sia un ritorno di fiamma e mentre lo scrivo già mi ha preso ancora più caldo. Insomma, si comincia con Čajkovskij e, credetemi, è un bel cominciare.

Tutto ciò in attesa della presentazione della nuova stagione del Teatro Verdi di Trieste, che avverrà il prossimo 11 luglio.
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Stagione della Società dei concerti di Trieste: serata da ricordare con i Philharmonisches Capriccio Berlin, il sestetto d’archi dei Berliner.

Nel settembre del 1971, Herbert von Karajan inaugurò la stagione della Società dei concerti di Trieste con i “suoi” Berliner Philharmoniker di cui era a quel tempo Direttore stabile: negli anfratti di casa mia ci deve essere ancora il programma di sala della serata. Leggi il resto dell’articolo