Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Beethoven e Berlioz in una serata di grande musica a Lubiana.

Si è concluso felicemente il trittico di concerti che ha visto Charles Dutoit alla testa dell’Orchestra Filarmonica Slovena durante il mese di marzo.
E, parlando metaforicamente di conclusioni è arrivata al termine anche la carriera di Aleš Kacjan, primo flauto dell’orchestra per quarant’anni, che ieri alla fine del concerto è stato omaggiato da Dutoit stesso, dal presidente della compagine Matej Šarc e dai colleghi, oltre che dal pubblico che lo ha abbracciato con ovazioni interminabili e meritatissime perché anche nell’ultima occasione ha suonato benissimo.
La serata prevedeva due pagine musicali di Beethoven e Berlioz: compositori diversi, musica diversa.
Il concerto è cominciato con la Sinfonia n.1 in do maggiore di Beethoven, alla quale Dutoit – che ha diretto a memoria pure la Sinfonia Fantastica di Berlioz nella seconda parte – ha restituito quella leggerezza mozartiana spesso soffocata da esecuzioni che pensano alla monumentalità del Beethoven successivo.
Ma saper dirigere non è solo fare eseguire note all’orchestra, bisogna anche valorizzare quegli strani segni sulla partitura, collocandoli con intelligenza e misura nell’età compositiva dell’Autore.
Beethoven è anche compositore di transizione, che ha traghettato la musica dal Settecento – appunto Mozart, ma anche Haydn – e l’ha proiettata nel futuro. Lo sostiene lo stesso Berlioz, in una nota espunta dai suoi studi sulle nove sinfonie del tedesco.
L’interpretazione di Dutoit, sostenuto da un’orchestra per la quale ormai non ho più aggettivi, ha dato risalto al brio e alla maschia vaporosità del brano con dinamiche decise e al contempo sfumate e agogiche tese ma non certo frettolose. Eccellenti le prestazioni degli archi e dei legni – viole e violoncelli spettacolari – che hanno contribuito a sottolineare la gioiosa empatia emotiva che sprigiona questa pagina giovanile di Beethoven.
Durante l’intervallo mi sono soffermato a osservare il pubblico e sempre più mi convinco che a Lubiana la musica è amatissima da chiunque, con i giovani e giovanissimi che sono competenti e appassionati – un quartetto dissertava acutamente, in inglese, sulle differenze tra Beethoven e Berlioz – e altri, un po’ più in là con l’età, che partecipano all’evento musicale con gioia e senza spocchia di alcun genere. È un ambiente inclusivo, familiare, in cui tutti si sentono a proprio agio. Da anni sostengo che la musica tristemente definita seria soffre di un approccio troppo inamidato da parte di certo pubblico, che la considera quasi come un rito liturgico che ha le sue convenzioni immutabili. Pensieri snocciolati così, senza troppo senso, da un ascoltatore che è stato indirizzato a Beethoven durante l’infanzia dal nonno, semianalfabeta, che però mi dava la “sua” interpretazione della Nona Sinfonia.
Berlioz è uno di quei compositori (e uomini) borderline che io amo alla follia. La circostanza non mi impedisce però di rendermi conto che la Sinfonia Fantastica è una di quelle pagine musicali in cui convivono momenti di ispirazione felicissima ad altri meno riusciti; di certo il risultato finale è adrenalinico, rinvigorente.
È una musica “da vedere” oltre che da ascoltare – come sostiene mia moglie – perché essere presenti in sala è sicuramente un valore aggiunto che aggiunge un’ulteriore dimensione alla percezione sensoriale. Il vigore degli archi gravi, che spesso innervano di tensione drammatica l’atmosfera, il Valse che fa presagire più la scena del Sabba che la successiva parentesi bucolica, la devastante espressività delle percussioni, la soave bellezza dei legni, la controllata “volgarità” di alcuni momenti degli ottoni sono tutti singoli elementi che concorrono a un viaggio in cui la temperatura emotiva è sempre altissima.
Anche in questo caso è stato fondamentale l’approccio di Dutoit, che ha dato spessore e tridimensionalità alla valanga di suono orchestrale senza che si perdano per strada i particolari come gli interventi delle arpe o la studiata ironia dei legni.
Serata trionfale, che il pubblico ha sottolineato con entusiasmo e rumorose approvazioni per tutti.
Foto di Darja Štravs Tisu Photography.

La locandina

Ludwig van BeethovenSinfonia n.1 in do maggiore
Hector BerliozSinfonia Fantastica
  
DirettoreCharles Dutoit
  
Orchestra Filarmonica Slovena

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Grande serata di musica a Lubiana: Charles Dutoit dirige con l’energia di un ragazzino la splendida Orchestra Filarmonica Slovena.

Charles Dutoit, dopo il primo concerto di qualche giorno fa, ha intrapreso la seconda tappa del suo percorso alla testa dell’Orchestra Filarmonica slovena.
Il programma, raffinato e interessante, prevedeva come prima pagina musicale una sua personale selezione dalla Suite Romeo e Giulietta di Sergej Prokofiev, che attingeva a due delle tre versioni scritte dall’Autore.
Notoriamente il brano non segue le vicende degli sfortunati amanti: lo scopo è di rendere invece la drammaticità della trama accostando temi molto diversi per valenza emotiva in un intrecciarsi continuo di contrasti espressivi anche violenti.
L’operazione, considerata la felicissima serata della compagine slovena, è riuscita pienamente. Dutoit opta per dinamiche vivacissime e agogiche altrettanto tese che però non hanno intaccato la serena bellezza dei passi più lirici e malinconici.
Eccellente il lavoro dei legni – i flauti in particolare – e degli ottoni; morbidissimi gli archi, arrembanti le percussioni. I quaranta minuti di musica sono volati e alla fine il pubblico – meno numeroso del solito, ma era la seconda recita del concerto – ha tributato a tutti un grandissimo successo.
Tutt’altra atmosfera, più morbida e rilassata, per il celeberrimo Prélude a l’après-midi d’un faune di Claude Debussy, eseguito dopo la pausa.
Trasparenza e leggerezza sono state le caratteristiche dell’esecuzione che Dutoit ha cesellato con gesto morbido ma deciso, ben recepito dall’orchestra nella quale, ovviamente, ha brillato di luce fulgente il primo flauto che ha creato un’atmosfera sensuale, sognante e sospesa ma del tutto priva di eccessivi manierismi. Ottimo anche il rendimento delle arpe e delle altre sezioni che hanno dato equilibrio al delicato acquerello ispirato dalle rime di Mallarmé.
È toccato poi a Modest Musorgskij, compositore geniale e sfortunatissimo, chiudere il concerto con quella che probabilmente è la sua composizione più famosa: Quadri di un’esposizione nella versione per orchestra firmata da Ravel.
È una musica visionaria, piena di un’ironia graffiante e di ripiegamenti cupi, tenebrosi se non addirittura macabri, che quasi costringono a un ascolto teso e concentrato. L’andamento, solo parzialmente stemperato dalla ricorrente Promenade, è davvero schizofrenico. Ma è questa la forza del brano, che sorprende praticamente a ogni nota.
Anche in questo caso Dutoit ha scelto una lettura drammatica ma flessibile, capace di valorizzare i momenti più lirici senza che la tensione cali o si afflosci. Ancora una volta è stata fondamentale la straordinaria prestazione dell’orchestra che ha potuto contare sulle eccellenti performance degli ottoni (la tromba!), sul suono corposo e morbido al contempo degli archi gravi e, naturalmente, sulla precisione delle devastanti percussioni che qui Musorgskij schiera con doviziosa abbondanza.
Pubblico in visibilio, che ha ripetutamente chiamato al proscenio Charles Dutoit e omaggiato con scroscianti acclamazioni la compagine di casa.
Il trittico di concerti si concluderà la settimana prossima con Beethoven e Berlioz.

Sergej ProkofievSelezione dalla Suite Romeo e Giulietta
Claude DebussyPrélude a l’après-midi d’un faune
Modest MusorgskijQuadri di un’esposizione
  
DirettoreCharles Dutoit
  
Orchestra Filarmonica Slovena
  





La Grande Messe des morts di Hector Berlioz a Lubiana.

A Lubiana è cominciato, ieri sera, un marzo particolarmente interessante dal punto di vista musicale.
Il protagonista è stato e sarà Charles Dutoit il quale, alla verde età di 87 anni, dirigerà cinque concerti sul podio dell’Orchestra Filarmonica Slovena con cui ha un rapporto continuativo.
Il primo appuntamento prevedeva l’esecuzione della fantasmagorica Grande messe des morts di quel compositore eccentrico, visionario e geniale che risponde al nome di Hector Berlioz.
Questo lavoro mastodontico, composto nel 1837, cambiò, diciamo così, destinazione d’uso; nelle intenzioni doveva essere dedicato alla memoria di un soldato, il Maresciallo Mortier, ma poi per ragioni politiche l’opera fu indirizzata a onorare la memoria di un altro militare, il Generale Damrémont: insomma, così narrano le cronache del tempo.
Resta il fatto che si tratta di una composizione folle – giustamente definita qualche volta come un vero e proprio Requiem di cui segue il testo liturgico – che fa riconsiderare a chi l’ascolta per la prima volta il concetto di fortissimo, tanta è la potenza di decibel esplosa da una compagine che fa scomparire anche le orchestre tardo romantiche richieste per un Mahler o uno Strauss.
In alcuni momenti la musica ha poco di quel raccoglimento tipico della musica sacra e anzi sembra quasi a puntare a effetti spettacolari, come se Berlioz volesse autoincensare il proprio ego eccentrico. In altre occasioni, invece, pare davvero di essere immersi nell’Empireo e anche la scartatrice di caramelle vicina di posto assume le sembianze di un angelo.
Ho contato circa 140 artisti del coro, o meglio dei quattro cori che hanno cantato che trovate in locandina: il loro rendimento, soprattutto per quanto riguarda la parte femminile, è stato superlativo.
Eccellente anche la prova della Filarmonica Slovena, ma purtroppo – non so se sia dipeso dalla mia collocazione in parterre, l’acustica del Cankarjev Dom è peculiare – spesso è stata coperta dal coro nonostante Dutoit sollecitasse archi e legni in modo veemente.
Ma si tratta di fisime da critico, perché comunque resteranno nella mia memoria di ascoltatore appassionato il tenebroso attacco degli archi gravi nel Dies irae, la dirompente potenza delle percussioni nel Tuba mirum, il meraviglioso supporto dei flauti nell’Offertorium, il tremolo degli archi nel Sanctus – forse il momento più riuscito della serata, in cui ho apprezzato molto la bellissima voce del tenore David Jagodic, posto in alto in galleria quasi fosse un angelo dal cielo – e, soprattutto, il soave incanto del coro femminile che canta a cappella il Quaerens me.
In galleria erano inoltre disposte due sezioni di ottoni che, nonostante le ovvie difficoltà logistiche dovute alla lontananza dal podio, sono intervenute con efficacia.
Pubblico numeroso, attento e partecipe, che alla fine ha tributato un trionfo colossale alla serata con un quarto d’ora di applausi e ripetute chiamate al proscenio per tutti.

Hector BerliozGrande Messe des Morts
  
DirettoreCharles Dutoit
TenoreDavid Jagodic
  
Orchestra Filarmonica Slovena
Coro dell’Orchestra Filarmonica Slovena
Coro da camera Ave
Coro della Filarmonica di Monaco
Coro Virtuosi del Festival

Memorabile chiusura del Festival di Lubiana: i Wiener Philharmoniker guidati da Esa-Pekka Salonen danno spettacolo nella capitale slovena

© Todd Rosenberg Photography

Si è chiuso ieri ufficialmente il settantesimo Festival di Lubiana che OperaClick, unica testata italiana, ha seguito con una certa assiduità presenziando a concerti e recital con protagonisti orchestre, cantanti e solisti tra i migliori dell’attuale panorama artistico.
Come scritto altre volte la manifestazione, di là del valore intrinseco, è soprattutto una grande festa popolare e culturale, in cui per un’estate intera la musica diventa protagonista della vita quotidiana e importante motore per il turismo e quindi l’economia della Slovenia.

Prima del concerto il direttore artistico Darko Brlek, alla presenza del Sindaco di Lubiana Zoran Janković, ha fatto un breve bilancio dell’ultima edizione, raccogliendo il grato applauso del foltissimo pubblico.
La serata era davvero speciale, basta pensare ai protagonisti: Esa-Pekka Salonen alla testa dei Wiener Philharmoniker e Rudolf Buchbinder al pianoforte, impegnati in un concerto raffinato e intrigante che si è aperto con l’esecuzione della versione orchestrale – originalmente scritta per pianoforte –  di Le tombeau de Couperin di Maurice Ravel.
Come noto, nella versione per orchestra del 1920 sono espunte due pagine perché Ravel riteneva che togliessero omogeneità e concisione al brano. La compagine è quasi cameristica ed è proprio questa prerogativa che rende così affascinante l’ascolto di questo omaggio alla musica francese del Settecento.
Un’atmosfera delicata, sognante ed eterea avvolge l’intera composizione in cui l’oboe – straordinaria la prima parte dei Wiener- e i flauti sono protagonisti.
Esa-Pekka Salonen danza sul podio con gesto elegantissimo e si conferma maestro nella gestione delle dinamiche, oltre che straordinario interprete di una musica ricca di cromatismi cangianti e atmosfere quasi fiabesche.
Dopo l’esibizione di Hélène Grimaud anche Rudolf Buchbinder si è cimentato nel Concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra di Ravel, ma la differenza interpretativa è stata tale che è sembrato di ascoltare due pagine musicali diverse.
Lo stile esecutivo dell’artista austriaco è affatto diverso da quello dell’interprete francese e, forse, ferma restando l’indiscutibile maestria tecnica, la solida tradizione esecutiva viennese di cui Buchbinder è da decenni uno dei cardini oggi pare un po’ datata per la pagina musicale in questione.
Di là di questa considerazione, l’interpretazione di Buchbinder è sembrata di altissima routine e nulla più, nonostante il buon dialogo con Salonen.
Grande successo per il pianista, che ha poi confermato il suo virtuosismo nel bis, dedicato a Johann Strauss.

A chiusura della serata è stata eseguita la Seconda Sinfonia in re maggiore, op. 43 di Jean Sibelius, finlandese come Esa-Pekka Salonen.
Difficile non notare come la sinfonia sia di chiara ascendenza beethoveniana: l’architettura severa, l’imponenza complessiva, sono lì a darne prova evidente.
In questo caso, dopo le rarefatte atmosfere raveliane, Salonen ha sfruttato in pieno l’impressionante potenza di fuoco dei Wiener che si è manifestata, segnatamente, nell’Allegro finale in cui la tensione emotiva era palpabile tra il pubblico.
Però Salonen è uno dei pochi direttori che, almeno nella mia esperienza, è soprattutto capace di far suonare piano l’orchestra e, in questa caratteristica, mi ricorda Claudio Abbado. Per questo motivo il fluire liquido delle dinamiche nel secondo movimento mi è sembrato il momento più alto della serata.
Dei Wiener Philharmoniker c’è poco da dire che non sia scontato: sono un’orchestra formidabile. Difficile però non restare incantati dalla bellezza del suono della compagine viennese, dalla lucente trasparenza dei legni, dal calore degli archi gravi, dal timbro celestiale dei violini e così via per tutte le sezioni. Si notano poi virtuosismi davvero notevoli nelle prime parti e citerò solo l’oboe e l’arpa.
La serata, ovviamente, si è chiusa con un bis dell’orchestra – abitudine che non amo molto, a dire il vero – che ha ulteriormente reso incandescente il trionfo per tutti i protagonisti.

Maurice RavelLe tombeau de Couperin, versione per orchestra
Maurice RavelConcerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra
Jean SibeliusSeconda sinfonia in re maggiore op. 43
  
DirettoreEsa-Pekka Salonen
PianoforteRudolf Buchbinder
  
Wiener Philharmoniker




Festival di Lubiana: la Royal Philharmonic Orchestra in concerto con Lana Trotovšek e Maksim Risanov: luci (molte) e ombre (poche)

Il settantesimo Festival di Lubiana si sta avviando felicemente alla conclusione, che avverrà la prossima settimana con un ultimo attesissimo concerto di Rudolf Buchbinder e i Wiener Philharmoniker diretti da Esa-Pekka Salonen.
Nel frattempo si susseguono iniziative varie e concerti con grandi orchestre e famosi artisti.
Il concerto di ieri prevedeva la Royal Philharmonic Orchestra di Londra, guidata dal suo direttore musicale Vasilij Petrenko e due eccellenti solisti: Lana Trotovšek al violino e Maksim Risanov alla viola.
Inutile dire che è stato emozionante, di questi tempi grami, apprezzare la collaborazione artistica e vedere la franca stretta di mano tra Petrenko, russo, e Risanov, ucraino.
La serata si è aperta con una brillante esecuzione della Sinfonia n.1 in re maggiore op. 35 (la Classica) di Sergej Prokofjev, di cui Petrenko ha saputo esprimere tutta l’energia positiva con gesto preciso – qualche volta un po’ coreografico – ed efficace.
L’orchestra ha un suono bellissimo, trasparente e limpido, virtù che si addicono particolarmente a una pagina musicale brillante e gioiosa. Petrenko ha gestito con grande attenzione le dinamiche, scegliendo agogiche stringenti ma non precipitose. Eccellenti, in particolare, l’emozionante lirismo del Larghetto nel secondo movimento e la Gavotta del terzo, in cui il primo flauto – una giovane ragazza – è risultato fenomenale.
Nel Finale, come del resto nell’Allegro di sortita, sono sembrate evidenti le affinità elettive con parte delle composizioni sinfoniche di Haydn.
Ottima l’idea di eseguire subito dopo la Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino e viola, K1 364 di Mozart (320d), perché non ha interrotto il flusso emotivo del brano precedente.
Mozart, e certa sua leggerezza sublime, si riconosce subito dalla lunga introduzione orchestrale che agevola l’intervento dei due solisti che sono sembrati in perfetta sintonia artistica e complementari nello stile esecutivo: passionale, irruente e impetuosa Lana Trotovšek; controllato, quasi severo e meditativo Maksim Risanov. Caratteristiche che, se ci pensiamo bene, appartengono anche agli strumenti: l’esuberanza del violino, il calore della viola, in un gioco di rimandi e dialoghi caratterizzati da virtuosismi spesso estremi ma anche ripiegamenti lirici di ampio respiro, come nell’intenso Andante centrale che schiude poi le porte alla spumeggiante frivolezza del Rondò finale.
Pubblico in visibilio, che ha chiesto e ottenuto un bis – variazioni su Sarabanda di Händel – dai due solisti.

Di fronte ai monumenti, mi riferisco metaforicamente alla Quinta di Beethoven, si dovrebbe essere preda della Sindrome di Stendhal. Ebbene, spiace sottolinearlo, in questo caso l’affezione psicosomatica non si è palesata.
Vasilij Petrenko ha dato una sua interpretazione del capolavoro di Beethoven, e questo è già un merito, se si pensa che spesso sono proprio le pagine sinfoniche più note che vengono “tirate via” meccanicamente e risultano poi “belle senz’anima”. La RSO ha fatto sfoggio di un suono compatto, impressionante per qualità e valore delle singole sezioni – cos’erano gli archi gravi, una meraviglia – però non è scattata quella scintilla che fa saltare dalla sedia.
Si è percepito – almeno dalla mia posizione, l’ho affermato spesso, l’acustica del Cankarjev dom è difficile da gestire – qualche clangore di troppo.
Petrenko ha saltuariamente indugiato nelle agogiche, quasi a voler sottolineare ulteriore drammaticità e imponenza a una pagina musicale che non ne ha bisogno.
E insomma, alla fine, ne è uscita a mio parere una lettura pesante, quasi tetra, che non mi ha convinto se non per il magistero tecnico dell’orchestra.
Il pubblico ha tributato un trionfo grandioso all’esecuzione, spazzando via queste mie personalissime e opinabili considerazioni e ottenendo un bis, un lacerto delle musiche di scena di Grieg per il Peer Gynt – Il mattino – che ha esaltato le qualità della flautista che già si era segnalata in precedenza.

Sergej ProkofjevSinfonia n.1 in re maggiore op. 35
Wolfgang Amadeus MozartSinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino e viola, K1 364 di Mozart (320d)
Ludwig van BeethovenQuinta sinfonia in do minore op. 67
  
DirettoreVasilij Petrenko
  
ViolinoLana Trotovšek
ViolaMaksim Risanov
  
Royal Philharmonic Orchestra


 


Festival di Lubiana: concerto di Anna Netrebko e Yusif Eyfazov con la partecipazione del mezzosoprano Monika Bohinec e l’Orchestra sinfonica slovena diretta da Michelangelo Mazza

Ieri pomeriggio, qualche ora prima del concerto di Anna Netrebko e Yusif Eyfazov con la partecipazione del mezzosoprano Monika Bohinec e l’Orchestra sinfonica slovena diretta da Michelangelo Mazza, ho ricevuto una mail dall’ufficio stampa del Festival di Lubiana.
Sostanzialmente mi avvertivano di arrivare al Cankarjev dom, la sala dove si sarebbe svolta la serata, con maggiore anticipo del solito perché ci sarebbero stati non meglio specificati controlli di sicurezza. Ovviamente il motivo era il timore che la presenza della Netrebko, artista russa, potesse essere pretesto per qualche esaltato per organizzare qualche contestazione.
Non contesto la decisione del management del Festival – tra l’altro i controlli sono stati piuttosto morbidi – però credo che la politica, anche in situazioni drammatiche come quella che stiamo vivendo, debba restare fuori dai teatri. La Cultura, suonerà pure retorico ribadirlo, dovrebbe avvicinare i popoli e non rappresentare ulteriore motivo di scontro ideologico.
Il programma del concerto era interessante e denso, in particolare per la presenza di una lunga scena tratta da La dama di picche di Čajkovskij e per la sorprendente esecuzione di Netrebko del celeberrimo Mild und Liese dal Tristan und Isolde di Wagner. In quest’occasione, sommersa da giustificati applausi, Netrebko ha voluto puntualizzare che era la prima volta che cantava il brano. Io, da wagneriano fradicio e perciò piuttosto esigente nel merito mi sono unito volentieri agli applausi.
Credo sia anche necessaria una puntualizzazione e cioè che nel concerto precedente di Juan Diego Flórez (qui recensito) l’orchestra slovena era sembrata moscia e disattenta: ieri, invece, la stessa orchestra diretta da Michelangelo Mazza ha fatto furori sia per bellezza di suono sia per calore e precisione.
In locandina potete vedere i brani proposti, ma non mi soffermerò su ogni singola pagina musicale; parlerò dei singoli in generale, partendo da Anna Netrebko.
Il soprano russo è sembrata in forma vocale straordinaria, la voce è di bellissimo colore e alcune sfumature sombre ne arricchiscono il fascino; lo strumento vocale è opimo, ricco di armonici e negli acuti si espande con facilità bucando l’orchestra anche nei passi più densi e svettando nei concertati.
La tecnica di respirazione le consente fiati lunghissimi e un legato eccellente, oltre che pianissimi e mezzevoci pregevolissime. In tutta la serata ha mostrato un unico momento di incertezza nell’attacco di In quelle trine morbide, forse per una piccola incomprensione col direttore. L’unico difetto, volendo proprio fare il pignolo, è nella pronuncia e nella dizione, spesso entrambe confuse ma ho ascoltato di (molto) peggio in interpreti considerate intoccabili dalla maggioranza degli appassionati.
Anna Netrebko ha carisma, quando entra in scena non ce n’è per nessuno, magnetizza gli sguardi di tutti perché è un animale da palcoscenico. Con pochi gesti entra nel personaggio anche in concerto, figuriamoci in un’opera in forma scenica. Inoltre, sa fare spettacolo anche nei bis, ballando, ammiccando e divertendosi.
È stata trascinante nei lacerti di Anna Bolena, civettuola ed empatica come Manon Lescaut, drammaticamente coinvolta nei panni di Liza e sorprendente come Isolde.
Yusif Eyfazov vive il frustrante equivoco di essere considerato alla stregua di un principe consorte: è già successo in altri casi nella storia della musica lirica, anche in anni recenti.
La realtà è che Eyfazov non è un fuoriclasse ma “solo” un buon tenore nel panorama odierno, come ce ne sono molti altri che frequentano senza scandali particolari i teatri di tutto il mondo. Ha voce da vendere, un timbro non esattamente baciato da dio ma non certo particolarmente esecrabile rispetto ad alcune sfiatate zanzare che più che sentire si intuiscono con l’immaginazione. La voce ogni tanto va indietro e la tecnica è da rifinire nel passaggio, è vero, ma l’unico reale problema è che tende a cantare spesso tutto forte, circostanza che in alcune occasioni – nello specifico la grande aria dalla Lucia di Lammermoor – non è pertinente con la temperie preromantica. Nelle altre arie, specialmente nei panni di Herman, l’artista è risultato del tutto convincente.
Nel contesto della serata ha figurato benissimo il mezzosoprano sloveno Monika Bohinec, artista temperamentosa e in grado di reggere benissimo il confronto con i più famosi colleghi: trascinante la sua interpretazione della difficile aria Acerba voluttà da Adriana Lecouvreur e sobriamente drammatica l’apparizione nella scena dalla Dama di Picche.
Michelangelo Mazza ha diretto con eleganza l’ottima Orchestra sinfonica slovena, accompagnando i cantanti con mestiere e classe e trovando interessanti spunti interpretativi nella Farandole tratta dall’Arlesiana di Bizet. Molto suadente anche il meraviglioso Intermezzo dalla Manon Lescaut.
Gli artisti hanno poi giovialmente proposto tre bis popolarissimi e cantati in un’atmosfera di divertimento generale e in puro stile baracconesco: Mattinata, Granada e Non ti scordar di me.
Quasi venti minuti di applausi hanno sancito una serata trionfale a dire poco. Poi, tutti a casa, felici di aver passato più di due ore lontani dalle brutture del mondo.

Gaetano DonizettiPiangete voi? Al dolce guidami da Anna Bolena
Gaetano DonizettiTombe degli avi miei…Fra poco a me ricovero da Lucia di Lammermoor
Francesco CileaAcerba voluttà da Adriana Lecouvreur
P.I. ČajkovskijOuverture da La dama di picche
P.I. ČajkovskijSeconda scena dal Primo atto da La dama di picche
Richard WagnerMild und Leise da Tristan und Isolde
Giuseppe VerdiForse la soglia attinse…Ma se m’è forza perderti da Un ballo in maschera
Georges BizetFarandole da la suite n2 L’Arlesiana
Giacomo PucciniDonna non vidi mai da Manon Lescaut
Giacomo PucciniIn quelle trine morbide da Manon Lescaut
Giacomo PucciniIntermezzo da Manon Lescaut
Giacomo PucciniTu, tu, amore? Tu? duetto da Manon Lescaut
  
DirettoreMichelangelo Mazza
  
SopranoAnna Netrebko
TenoreYuzif Eyfazov
MezzosopranoMonika Bohinec
  
  
Orchestra sinfonica slovena
  

Al Festival di Lubiana trionfa Juan Diego Flórez. Discutibile la direzione di Oksana Lyniv, pur con qualche giustificazione di carattere ambientale e logistico

Portrait Juan Diego Florez for Sony Classical Intl.

Proseguono le mie trasferte a Lubiana, per il bellissimo Festival che è garanzia di qualità da settanta anni. E tra un paio di giorni tocca ad Anna Netrebko!

Cronaca di un successo annunciato, non trovo altro incipit per questa recensione del recital di Juan Diego Flórez al Festival di Lubiana. E, puntualizzo, più che di un successo si è trattato di un trionfo, meritatissimo, di un artista arrivato ai cinquant’anni in forma vocale spettacolare nonostante pratichi da tempo immemorabile – sono vicini i trent’anni di carriera – un repertorio assai impegnativo. E dire che mi pare ieri quando nel 1997 fece impazzire il pubblico di Trieste.
La voce nel tempo è cambiata, ovviamente, e non di poco, acquisendo una rotondità e uno spessore che ne affinano il fascino, mentre gli acuti, seppur non sfrontati come agli esordi, sono ancora facili ed entusiasmanti.
Il programma previsto era quello consueto e un po’ raffazzonato di queste serate nazionalpopolari: qualche Ouverture famosa alternata a brani solistici, non necessariamente legate da una logica. L’Intermezzo di Cavalleria rusticana e il Preludio di Carmen c’entravano il giusto col resto della serata, ma sono pagine che il pubblico ascolta sempre volentieri.
Eppure è proprio nei brani orchestrali che sono emerse le uniche criticità della serata ed il motivo è semplice: in queste occasioni si prova al mattino e si va in scena alla sera; troppo poco perché il direttore e l’orchestra riescano a trovare feeling e unità d’intenti.
Oksana Lyniv, sul podio dell’Orchestra sinfonica slovena, ha faticato parecchio a dare omogeneità e calore ai brani proposti, che sono usciti spesso slegati e metronomici a partire dall’Ouverture di Semiramide che ha aperto il concerto. Si sono palesati squilibri tra le sezioni, con le percussioni troppo…percussive e dinamiche spesso esuberanti quando non clangorose tout court. Sicuramente, lo dico per esperienza di tanti anni di ascolto, l’acustica della grande sala del Cankarjev dom non è facile da gestire.
Meglio, invece, l’accompagnamento al solista il quale, a dire il vero, è sembrato cucirsi addosso sartorialmente il ritmo delle esecuzioni.
Flórez, come ho scritto all’inizio, ha cantato benissimo dall’inizio alla fine. Il legato, il fraseggio, la tecnica, la cura delle dinamiche sono sembrate eccellenti.
Ho apprezzato in particolare la seconda parte del concerto, dedicata alla musica francese, in cui il tenore ha cesellato come mai mi è capitato di sentire Je veux encore entendre ta voix dalla Jérusalem di Verdi in trasferta, tanto che ho pensato che avrebbe ricevuto i complimenti anche da Gilbert Duprez.
Ottima anche Pourquoi me réveiller, liberata da quel fastidioso machismo di tanti interpreti che scempiano il senso del personaggio di Werther. Sognante e ipnotica l’interpretazione della grande aria dal Faust di Gounod.
E così via, insomma, senza farla troppo lunga.
Al programma ufficiale sono seguiti quattro bis che non hanno previsto, nonostante le richieste del pubblico, l’ormai stucchevole Ah! Mes amis.
Seduto e accompagnandosi con l’ormai famosa chitarra Flórez ha cantato – da padreterno – Bésame mucho e La paloma, per poi tornare con l’orchestra ed eseguire Torna a Surriento e Nessun dorma.

Gioachino RossiniOuverture da Semiramide
Gioachino RossiniDeh, tu m’assisti amore da Il signor Bruschino
Gioachino RossiniSì ritrovarla io giuro da La Cenerentola
Gaetano DonizettiOuverture da Anna Bolena
Gaetano DonizettiQuanto è bella, quanto è cara da L’elisir d’amore
Gaetano DonizettiUna furtiva lagrima da L’elisir d’amore
Giuseppe VerdiPreludio da La Traviata
Giuseppe VerdiLunge da lei da La Traviata
Giuseppe VerdiQuesta o quella da Rigoletto
Giuseppe VerdiJe veux encore entendre ta voix
Georges BizetPreludio da Carmen
Édouard LaloVainement, ma bien aimée
Jules MassenetPourquoi me réveiller da Werther
Charles GounodAh lève -toi soleil da Faust
Pietro MascagniIntermezzo da Cavalleria rusticana
Giacomo PucciniChe gelida manina da La bohème
  
TenoreJuan Diego Flórez
DirettoreOksana Lyniv
  
  
Orchestra sinfonica slovena
  

Festival di Lubiana: Manfred Honeck e Hélène Grimaud in concerto con la Pittsburgh Symphony Orchestra

Grande serata, tra le migliori degli ultimi anni.

In attesa dei Recital di Juan Diego Flórez, della coppia Anna Netrebko&YusifEyfazov e della serata dedicata a Plácido Domingo – su quest’ultima si stanno addensando nubi minacciose, come probabilmente saprete – il Festival di Lubiana procede con appuntamenti di altissimo livello artistico.
Nella grande sala del Cankarjev dom, vicina al sold out anche in quest’occasione, è stata ieri la volta della Pittsburgh Symphony Orchestra guidata dal suo direttore, Manfred Honeck, e della magnifica Hélène Grimaud al pianoforte.
Il concerto è principiato con la musica di un compositore poco noto al grande pubblico, Erwin Schulhoff, del quale è stata eseguita una pagina affascinante e cioè i Cinque pezzi per quartetto d’archi nella versione per orchestra.
Schulhoff, ceco nato a Praga, è stato uno dei rappresentanti di quella Entartete Musik (Musica degenerata) duramente colpita dalla follia del Nazismo di cui lo stesso compositore è stato vittima. Deportato più volte nei campi di concentramento, morì in un Lager nel 1942.
Nella pagina musicale proposta, scritta negli anni Venti del secolo scorso, si riconoscono numerose suggestioni: da Berlioz a Stravinskij, da Bartók a Schönberg sino al blues e al jazz.
Manfred Honeck ne ha dato un’interpretazione vigorosa e adrenalinica, che ha evidenziato la brillante ispirazione del compositore sia nelle parti più rilassate sia in quelle più scoppiettanti.
Formidabile in toto l’apporto dell’orchestra, con percussioni, ottoni e legni in grande evidenza che hanno scatenato l’entusiasmo del pubblico.
Hélène Grimaud, oltre che pianista di grande valore, è un personaggio a tutto tondo. Impegnata nel sociale, ecologista, l’artista francese mi è sembrata accostarsi al Concerto per pianoforte e orchestra in sol maggiore di Ravel con aristocratica timidezza, con quella scarna umiltà scevra da effetti speciali che spesso disturba le esibizioni delle star.
E questa leggerezza ed eleganza è stata trasferita nell’interpretazione della pagina musicale, che vive di momenti quasi jazzistici (il Presto finale) e atmosfere rarefatte, purissime e sognanti (Adagio assai, uno degli scorci magici della serata).
La grande sintonia emotiva tra solista e direttore ha poi connotato l’esecuzione di una particolare sensazione di gioia, anche grazie a una prestazione straordinaria dell’orchestra di cui è impossibile non segnalare gli interventi dell’arpa e del corno inglese.
La Grimaud è parsa perfettamente a proprio agio, quasi che il concerto le fosse stato cucito sartorialmente addosso – e del resto Ravel lo pensò per una donna, la pianista Marguerite Long – dimostrando un invidiabile controllo delle dinamiche e un virtuosismo liquido e al contempo espressivo.
Dopo l’intervallo il protagonista è stato Gustav Mahler con la sua Sinfonia n1 in re maggiore.

Pietra miliare del sinfonismo mahleriano, la Prima Sinfonia è percorsa da un sottile fremito d’inquietudine che s’intuisce già nel naturalismo del primo movimento, sembra quasi scomparire nell’apparente spensieratezza del Länder del secondo e riaffiora, come un fiume carsico, nella grottesca e macabra citazione di Frére Jacques del terzo per poi esplodere tragicamente nel drammatico quarto tempo.
Manfred Honeck, che ha diretto a memoria, ha colto le contraddizioni e la magniloquenza della partitura, esaltandone vigorosamente sia le spigolosità sia gli sprazzi melodici in un fluire di colori e fraseggio orchestrale quanto mai lontani dalla mesta metronomicità che affligge – soprattutto nel terzo movimento – le esecuzioni di routine.
L’orchestra ha dato spettacolo per la precisione delle percussioni, il legato degli archi, le good vibration degli ottoni, la morbidezza dei legni.
Alla fine trionfo grandioso per Honeck e la sua spettacolare compagine, che hanno concesso anche due bis per un pubblico che non voleva saperne di andarsene.

Erwin SchulhoffCinque pezzi per quartetto d’archi
Maurice RavelConcerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra
Gustav MahlerSinfonia n1 in re maggiore
  
DirettoreManfred Honeck
PianoforteHélène Grimaud
  
Pittsburgh Symphony Orchestra

Un Mahler cameristico al Festival di Lubiana. Qualche perplessità sulla distribuzione dei brani non inficia una serata assai gradevole.

Continuano le mie trasferte al Festival di Lubiana e gli esiti artistici sono sempre felici, nonostante qualche distinguo.

Come sottolineato più volte il Festival di Lubiana, giunto alla 70esima edizione, si caratterizza sia per la presenza di noti artisti e grandi orchestre sia per l’ampia presenza sul territorio della capitale slovena anche al di fuori del circuito delle sale da concerto e dei teatri.
La serata di stasera ne è stata ulteriore conferma, perché si è svolta in una chiesa, la barocca Križevniška Church (Nostra Signora dell’aiuto), gremita sino al limite della capienza da spettatori di varia estrazione sociale e culturale: si andava dal turista di passaggio al critico, dall’appassionato di musica sinfonica al giovane curioso. Un’istantanea di cosa dovrebbe essere la cultura nel suo senso più nobile, un mezzo che unisce genti diverse nel nome dell’Arte e della bellezza.
La serata era dedicata a Gustav Mahler, qui colto in due tra le sue composizioni più famose e quasi coeve: il ciclo dei Rückert-Lieder e la Sinfonia n.5 in do diesis minore. Entrambe le pagine musicali erano arrangiate per orchestra da camera – circa una ventina di elementi – rispettivamente da Eberhard Kloke (Lieder) e Klaus Simon (Sinfonia).
Una proposta raffinata e interessante ma che è stata proposta in modo discutibile e cioè alternando i Lieder ai movimenti della sinfonia, circostanza che ha tolto continuità di narrazione e quindi partecipazione emotiva a entrambe le composizioni.
Brillante, invece, l’esecuzione da parte dell’Ensemble Dissonance, una formazione orchestrale mista che accoglie elementi di varie compagini locali, tra cui Kana Matsui che è il Konzertmeister delle due principali orchestre slovene.
Sul podio c’era Jonathan Stockhammer il quale, dosando con attenzione le dinamiche considerata la particolare acustica della chiesa e l’organico ridotto, è riuscito a essere efficace sia nell’interpretazione della sinfonia sia nell’accompagnamento cameristico dei Ruckert-Lieder.
Ovviamente, alcuni passaggi dell’iniziale Trauermarsch sono stati penalizzati per mancanza di…polpa orchestrale ma era inevitabile. Al contrario, l’Adagietto è uscito scandalosamente commovente anche grazie alla bravura dei professori d’orchestra che sono tutti da elogiare, con un particolare cenno di merito alle percussioni e alla tromba.
Per quanto riguarda Nika Gorič, giovane artista slovena in ascesa, spendo volentieri parole di sincera ammirazione.
Elegante nella figura e nel portamento, raffinata nel porgere la parola, dotata di una bella voce di soprano leggero screziata da sfumature ombrose e di acuti saldi e penetranti, è sembrata perfettamente a proprio agio nella difficile tessitura dei Lieder. Inoltre, Gorič è artista moderna, capace di accentuare e valorizzare con una mimica di classe gli alterni sentimenti del tardo romanticismo mahleriano.
Alla fine successo calorosissimo per tutti, con Stockhammer e Gorič chiamati più volte alla ribalta e festeggiati anche dall’orchestra.

Gustav MahlerSinfonia n.5 in do diesis minore
Gustav MahlerRückert-Lieder
  
DirettoreJonathan Stockhammer
SopranoNika Gorič
  
Ensemble dissonance

Julian Rachlin e Christoph Eschenbach in concerto al Festival di Lubiana. E due parole “in difesa” di Cajkovskij.

Al Festival di Lubiana si susseguono i concerti e forse l’abbondanza di offerta potrebbe aver influito sulla non debordante presenza del pubblico alla serata di ieri. Intendiamoci, sempre tanti spettatori, ma non il sold out.
Anche in quest’occasione gli assenti hanno avuto torto, perché gli artisti dell’appuntamento di ieri nella sala del Cankarjev dom si sono resi protagonisti di uno splendido concerto.
Si è iniziato con un omaggio ad Anton Lajovic, compositore sloveno (1878-1960), di cui è stato eseguito l’Adagio, brano musicale caratterizzato da un’evidente ispirazione romantica. Musica rilassante ma priva di sdilinquimenti e melassa, improntata a un uso disteso e avvolgente degli archi screziato da cromatismi affidati ai legni e all’arpa, il tutto all’insegna di un filone musicale che mi è sembrato, nel gusto, a metà tra Gounod e Saint-Saëns.
È stata poi la volta del Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 77 di Johannes Brahms, pagina musicale giustamente celeberrima in cui è fondamentale che il podio mantenga un equilibrio logistico e narrativo tra orchestra e solista. Orchestra, appunto, che in questo caso è tutt’altro che figlia di un dio minore soprattutto nell’imponente introduzione sinfonica del primo movimento, per poi lasciare gradatamente il centro dell’attenzione al violino. Non a caso, il notoriamente acido Hans von Bülow lo definì non un concerto per violino ma un concerto contro il violino; definizione che oggi, vista la notorietà planetaria del brano, più che ridere ci fa sghignazzare.
Strutturato in tre movimenti (Allegro-Adagio-Allegro) e dedicato al grande Joseph Joachim – primo interprete del brano nel 1879 –  il concerto si caratterizza per un’atmosfera gioiosa e luminosa, in cui gli squarci melodici sono ravvivati dal virtuosismo stellare del solista che sfocia in un brillantissimo e scoppiettante finale colmo di suggestioni popolari.
Julian Rachlin è un artista moderno nel migliore senso del termine: impeccabile dal punto di vista tecnico, certo, ma anche capace di essere empatico e comunicativo con l’espressione e la mimica. Eccellente il suo controllo delle dinamiche, espressività al top nelle melodie, virtuosismo evidente ma non esibito.
Ottima l’intesa col grande vecchio Christoph Eschenbach sul podio, che a sua volta partecipe e composto ha guidato la Filarmonica slovena a una prova maiuscola per qualità di suono e raffinatezza di gusto interpretativo.
Gran successo per Julian Rachlin, acclamato vigorosamente dal pubblico.

Ogni volta che ascolto la musica di Cajkovskij – e per fortuna accade spesso – mi ricordo di quanto ingiuste siano state le critiche di cui l’artista è stato bersaglio per troppo tempo, frutto di uno specioso pregiudizio di natura politica.
La Sinfonia N.5 in mi minore op.63 è una delle composizioni che più si attirò le accuse di sentimentalismo ed eccesso di languidezza laddove, oggi, io sento solo genuino sentimento.
Poi, certo, si potrà pure affermare che la Quinta abbia un andamento schizofrenico ma cosa dire di fronte all’incontaminata purezza della melodia del corno che introduce l’Andante del secondo movimento? Come non restare soggiogati dall’incalzare del “Tema del destino” nell’Introduzione? E la mesta leggerezza del valzer non fa forse vibrare le corde più nascoste del nostro vissuto?
Christopher Eschenbach dirige a memoria e con gesto scabro ed essenziale la partitura ricavando dall’orchestra un suono bellissimo, ricco e al contempo austero, privo di qualsiasi concessione a un facile effettismo coloristico e piacione. Un’interpretazione coinvolgente, che ha stregato il pubblico che alla fine ha lungamente acclamato il direttore e la compagine di casa.

Anton LajovicAdagio
Johannes BrahmsConcerto in re maggiore per violino e orchestra
P.I. CajkovskijSinfonia N.5 in mi minore op.63
  
DirettoreChristoph Eschenbach
ViolinoJulian Rachlin
  
Orchestra Filarmonica Slovena
  
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