Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Les Contes d’Hoffmann Di Jacques Offenbach al Teatro La Fenice di Venezia: serata straordinaria grazie a una compagnia artistica eccezionale e alla regia di Damiano Michieletto.

Jacques Offenbach ha avuto una vita difficile ma non tanto quanto la genesi della sua opera più conosciuta, Les Contes d’Hoffmann, capolavoro assoluto del teatro lirico.
La vicenda è un mix di alcuni brevi novelle di E.T.A. Hoffmann che si può tranquillamente definire come un pazzo visionario il quale, per molti aspetti, ha visto davvero avanti nel tempo. Lo si identifica come scrittore romantico a ragione, perché le poderose inquietudini del Romanticismo grondano dalle parole e dai personaggi che animano le sue storie.
Dal mio punto di vista tutte le versioni del libretto dell’opera riescono a cogliere la temperie del protoromanticismo e non ha fatto eccezione quella proposta ieri a Venezia, che era un ponderato packaging funzionale alla narrazione di Damiano Michieletto. Tagliati i dialoghi parlati, escluse arie famose come Scintille, diamant – apocrifa e anche se i puristi storceranno il naso a me sarebbe piaciuto ascoltarla dallo straordinario Alex Esposito – ed esclusa anche l’aria di Giulietta nel terzo atto.
Le questioni filologiche però mi lasciano freddo, perché ciò che importa è che lo spettacolo funzioni e – Santo Cielo! – qui più che funzionare mi ha fatto saltare dalla sedia.
La compagnia artistica era omogenea, equilibrata e di alto livello e anche se Frédéric Chaslin, sul podio di un’eccellente Orchestra del Teatro La Fenice, ha fatto sentire qualche pesantezza di troppo – soprattutto nel primo atto, mentre nel secondo e nel terzo dinamiche e agogiche sono risultate meno arrembanti – alla fine la direzione non è andata in conflitto con la regia, circostanza tutt’altro che trascurabile.
Protagonista assoluto Alex Esposito che – letteralmente – ha fatto il diavolo a quattro, sconquassando il pubblico con il suo impeto attoriale e il brillante rendimento vocale. Una prova maiuscola, che gli spettatori hanno premiato con un’ovazione formidabile. Insinuante, sulfureo, rapace, ipercinetico, Esposito ha caratterizzato i suoi diavolacci con sopraffina curiosità intellettuale e capacità di eloquenza che è propria solo dei grandi artisti.
Nei panni dello sventurato Hoffmann, Ivan Ayon Rivas non gli è stato da meno e anzi ha rilanciato con una prova vocale notevolissima in cui declamato, acuti, disinvoltura scenica e pertinenza stilistica hanno contribuito a rendere credibilissimo il personaggio.
Olympia è stata interpretata dal soprano Rocío Pérez la quale, pur nel singolare contesto scenico, è parsa brillante e attendibile in una parte inquietante e clamorosamente attuale – si pensi all’abuso della AI e ai deep fake –  come quella della bambola meccanica.
Carmela Remigio ha colorato di mille sfaccettature Antonia, forse il personaggio più malinconico dell’opera, con la classe artistica che la contraddistingue da sempre. La voce, calda, sensuale e solare al contempo, è sembrata perfetta per delineare la sfortunata parabola del personaggio.
Veronique Gens, dalla figura elegantissima, ha interpretato con un minimo di distacco e freddezza una Giulietta che forse meriterebbe qualche slancio passionale meno evanescente, ma è stata comunque protagonista di una prova positiva.
Bravissime anche Paola Gardina (La Muse) e Giuseppina Bridelli (Nicklausse) entrambe nei panni di due personaggi sfuggenti, dalle personalità difficilmente decifrabili.
Il tenore Didier Pieri si è disimpegnato con elegante disinvoltura nei suoi quattro personaggi, sfoggiando una voce leggera, tipica del caratterista, ma piacevole nel timbro.
I coprotagonisti, che sono sempre fondamentali nella buona riuscita di uno spettacolo, sono stati tutti bravissimi: Federica Giansanti (La Voce), Christian Collia (Nathanaël), François Piolino (Spalanzani), Yoann Dubruque (Hermann/Schlemill) e Francesco Milanese (Luther/Crespel). Ottimo il rendimento del Coro, impegnatissimo anche dal lato scenico oltre che impeccabile vocalmente.
La regia di Damiano Michieletto meriterebbe una recensione a parte perché è difficile condensare in poche righe le innumerevoli suggestioni che si sono dipanate nell’arco della serata.
A mio parere un’opera come Les Contes, che sfugge qualsiasi presunta tradizione interpretativa, esige un allestimento fuori dagli schemi e sopra le righe che ne esalti il valore anarchico in senso lato e ne innervi l’irrequietezza intellettuale.
L’idea fondante è quella di descrivere la vita di Hermann dalla primissima adolescenza alla maturità attraverso gli innamoramenti, le infatuazioni e le relative sanguinose delusioni, tutte viste attraverso uno straordinario prisma onirico che ne distorce e riflette gli esiti. Intorno al protagonista, in una sorta di multiverso parallelo, si muovono personaggi fantastici che appartengono al mondo dei bambini e agli incubi degli adulti. Un’irrealtà quasi felliniana in cui grottesco, macabro e reale si compenetrano e si contaminano.
Per realizzare questo straordinario caleidoscopio di sentimenti, situazioni e personaggi il regista si affida al suo storico team di collaboratori e il risultato è sorprendente per spessore intellettuale e appagamento sensoriale. Le scene di Paolo Fantin sono stupende, ricchissime di particolari e impreziosite da un impianto luci (Alessandro Carletti) che meriterebbe un Oscar per come ricrea attorno ai personaggi un mondo parallelo fatto di ombre (il primo atto), di figure distorte e capovolte (l’atto di Antonia), di atmosfere cangianti per carattere, personalità e temperamenti (il terzo atto). Bellissimi i costumi di Carla Teti, che dà fondo a tutta la sua creatività per mettersi al servizio dell’idea registica.
Fondamentali le coreografie di Chiara Vecchi, che sono non solo piacevoli ma funzionali alla narrazione quando non addirittura rivelatrici. Il secondo atto, in questo senso, è davvero da ricordare anche per l’apporto formidabile di alcune bambine ballerine di bravura sbalorditiva.
Nello spettacolo colpisce come non ci sia mai un attimo di sosta e di come sia dinamico e allo stesso tempo ricco di trovate provocatorie che però mai neanche sfiorano alcuna volgarità.
Dopo i trionfali applausi finali, un paio di scarpette rosse ha fatto riferimento alla terribile vicenda – l’ultima di tante, forse nel momento che scrivo la penultima – di Giulia Cecchettin.
Alla serata era presente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sommerso di applausi al pari di tutta la compagnia artistica.

Recensione avvelenata di Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti al Teatro Verdi di Trieste: una grande Carmela Remigio impreziosisce una bella sera di teatro.

In realtà, ad avvelenarsi – inutilmente peraltro – sono stati solo alcuni loggionisti, i quali, dal momento che sono stanziali e non escono dagli angusti spazi del Verdi di Trieste, del teatro lirico moderno hanno una visione ristretta.
So già che nei prossimi giorni ci saranno polemiche ma io esorto il management del Verdi a proseguire sulla strada di una intelligente innovazione. Solo in questo modo si può garantire il ricambio del pubblico: la qualità dei cantanti e l’originalità degli allestimenti sono fondamentali. E, se qualcuno s’arrabbia, pazienza (strasmile). Leggi il resto dell’articolo

Turandot di Giacomo Puccini al Teatro La Fenice di Venezia: un’occasione persa.

Le trasferte nell’orrida Venezia regalano sempre qualche gioia. In quest’occasione, per esempio, ho visto per la prima volta il kebab di cioccolato: mi ha ricordato il gira la cote dei versi di Adami e Simoni (strasmile).
Ma passiamo senza indugi alle cose meno serie, e cioè alla cronaca di questa Turandot di Puccini nella versione col finale di Franco Alfano.

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L’amico Fritz di Pietro Mascagni al Teatro La Fenice di Venezia.

Questa volta l’orrida Venezia si è segnalata più che altro per il tasso di umidità equatoriale e per un favoloso incidente tra un americano con un trolley gigante e una mega carrozzina che menava due gemelline autoctone, che assomigliavano in modo inquietante a quelle di Shining. Le ruote dei due mezzi si sono incastrate sul pontile che porta a un vaporetto e ne è uscita una versione in realtà aumentata della prossima guerra mondiale.gemelle
Ma, per tradizione, l’apertura dei post dalla città lagunare deve aprirsi con qualche tragica notizia sui volatili, no? Ebbene questa volta i terribili gabbiani assassini devono cedere il passo alla notizia che a Trieste è in corso la rivolta delle cornacchie antropofaghe giganti. E credo che il cognome della sfortunata signora coinvolta non sia casuale. Aspettiamoci il peggio, ormai non abbiamo più scampo (strasmile).
E passiamo all’ordinaria amministrazione e cioè agli esiti artistici della serata alla Fenice. Leggi il resto dell’articolo

Recensione seria di Alceste di Gluck al Teatro La Fenice di Venezia: forza Juve!

Dal momento che questo pomeriggio “sono di turno” anche al Verdi di Trieste per un concerto, non mi perdo troppo in chiacchiere sull’orrida Venezia , che pure meriterebbe sempre una certa attenzione.
Mi limito a considerare che la prevalenza di bianco e nero in questo allestimento è stata particolarmente gradita dall’ultras juventino che c’è in me (oh, io ho visto Sivori giocare al Grezar eh? Strasmile).
Quindi ecco di seguito la cronaca della serata. Minuto per minuto.Alc6 Leggi il resto dell’articolo

Recensione abbastanza seria di The Rake’s Progress di Igor Stravinskij al Teatro La Fenice di Venezia.

Ovvero Glitter and be Michieletto o la strana storia di Conchita Wurst la Turca. Ma ci arriveremo.
Eurovision Song Contest 2014

Questa volta non mi metto neanche a dissertare sull’orrida Venezia e mi limito a guardare il lato positivo. Il clima da città subtropicale, la spaventosa concentrazione di umanità varia, il fatto che abbia dovuto correre in stazione per non mancare il treno mi hanno fatto perdere qualche chilo e un paio di centimetri di giro vita: ne avevo bisogno, perciò, per una volta Grazie, orrida Venezia (strasmile). Leggi il resto dell’articolo

Recensione seria di La Clemenza di Tito al Teatro La Fenice di Venezia.

Anche Daland è rimasto soddisfatto.

È cominciata con un minuto di silenzio per ricordare la scomparsa di Claudio Abbado, com’era giusto e sacrosanto, la serata alla Fenice di Venezia in occasione della prima della Clemenza di Tito di Mozart.
Anch’io, per rispetto, questa volta lascio frizzi e lazzi nel cassetto.Tito 5 Leggi il resto dell’articolo

Recensione semiseria delle Nozze di Figaro di Mozart alla Fenice di Venezia: la regia di Damiano Michieletto fa discutere.

Il Vignettaio, giustamente, ha ritenuto di prendere in giro la mia prosa involuta e pure la chiave di lettura di Damiano Michieletto. Non me la sento di biasimarlo…

Non c’è nulla da fare, l’orrida Venezia mi stupisce sempre. Anzi, in qualche caso addirittura m’intimorisce pure. Leggi il resto dell’articolo