Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Chi ha paura dei migranti? La Piazza della Libertà a Trieste, un breve reportage per riflettere.

L’argomento “migranti” suscita sempre reazioni scomposte in un senso o nell’altro. Credo sia una delle situazioni di cui si parla di più e si conosce di meno. Una specie di corto circuito della comunicazione e dell’informazione.
Grazie a Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, fondatori dell’organizzazione di volontariato Linea d’ombra, ho potuto vivere più da vicino la situazione drammatica di queste persone. Ciò significa che ho speso molte ore tra i “terribili migranti” i quali, in realtà, sono giovani che scappano da guerre, carestie, torture, drammatiche conseguenze del cambiamento climatico, miseria. Cercano – pensate un po’ – una vita migliore di quella che il destino sembra aver deciso per loro.


Passano per Trieste ma la stragrande parte di loro considera la nostra città una tappa e nulla di più, perché la loro meta sono altri paesi.
La mia, più che una presa di posizione dichiarata – che è comunque evidente – vuole essere una testimonianza, perché gran parte dei triestini e non solo si esprime sulla questione senza cognizione di causa. Le fonti di informazione sono i relata refero che arrivano nei modi più impensabili e spesso artatamente orientati.
Dal momento che amo la fotografia, che è una forma di comunicazione come le parole che state leggendo, ho pensato di raccontare per immagini (poche, sobrie, severe) cosa succede nella “piazza del mondo” e cioè Piazza della Libertà a Trieste. E anche di far vedere i volti di coloro che passano parte della parabola della vita in quella piazza, sia tra i migranti sia tra chi cerca di dare loro un sostegno. Nel linguaggio fotografico questo è un reportage e le foto andrebbero viste nell’ordine in cui le vedete pubblicate, ma ha poca importanza.Racconto un episodio. Una sera stavo parlando con un ragazzo afgano, Amir. Il suo inglese era peggiore del mio, quindi più che parlare cercavamo di capirci in qualche modo, usando anche il linguaggio del corpo. A un certo punto mi ha chiesto di scattargli una foto e io, ingenuamente, dopo averlo fatto, gli ho chiesto dove potessi mandargliela. Mi ha risposto “da nessuna parte, volevo solo che restasse a qualcuno una traccia della mia esistenza e del mio passaggio qui, perché non so che ne sarà di me.”
Subito dopo molti altri ragazzi afgani e pakistani mi hanno chiesto la stessa cosa e io, che come chi mi conosce sa bene, non sono proprio un cuore tenero mi sono commosso. Commosso nel senso che mi sono messo a pensare, cosa che non molti fanno.
Nell’ormai famigerato Silos non sono andato, ma può essere che nei prossimi mesi lo faccia; devo sentirne l’urgenza bruciante, come è stato per le foto che pubblico oggi.
Una circostanza credo sia indiscutibile e cioè che i volontari di Linea d’ombra, che sono affiancati da varie altre associazioni, fanno del Bene, con la maiuscola.
Alla fine mi sono convinto che noi, anche se dubito che siamo ancora in tempo, dobbiamo combattere la sostituzione etica, non la sostituzione etnica. Dobbiamo lottare per far sì che il nostro essere uomini abbia l’unico significato possibile: aiutare i nostri simili.
Grazie a Lorena Fornasir e grazie a Veronica Vaglica.

PS
Mentre le foto sono state pensate e hanno ormai un paio di mesi, le parole sono state scritte di getto, quindi è probabile che il testo cambi o si trasformi, o non so.




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