Di tanti pulpiti.

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Les Contes d’Hoffmann Di Jacques Offenbach al Teatro La Fenice di Venezia: serata straordinaria grazie a una compagnia artistica eccezionale e alla regia di Damiano Michieletto.

Jacques Offenbach ha avuto una vita difficile ma non tanto quanto la genesi della sua opera più conosciuta, Les Contes d’Hoffmann, capolavoro assoluto del teatro lirico.
La vicenda è un mix di alcuni brevi novelle di E.T.A. Hoffmann che si può tranquillamente definire come un pazzo visionario il quale, per molti aspetti, ha visto davvero avanti nel tempo. Lo si identifica come scrittore romantico a ragione, perché le poderose inquietudini del Romanticismo grondano dalle parole e dai personaggi che animano le sue storie.
Dal mio punto di vista tutte le versioni del libretto dell’opera riescono a cogliere la temperie del protoromanticismo e non ha fatto eccezione quella proposta ieri a Venezia, che era un ponderato packaging funzionale alla narrazione di Damiano Michieletto. Tagliati i dialoghi parlati, escluse arie famose come Scintille, diamant – apocrifa e anche se i puristi storceranno il naso a me sarebbe piaciuto ascoltarla dallo straordinario Alex Esposito – ed esclusa anche l’aria di Giulietta nel terzo atto.
Le questioni filologiche però mi lasciano freddo, perché ciò che importa è che lo spettacolo funzioni e – Santo Cielo! – qui più che funzionare mi ha fatto saltare dalla sedia.
La compagnia artistica era omogenea, equilibrata e di alto livello e anche se Frédéric Chaslin, sul podio di un’eccellente Orchestra del Teatro La Fenice, ha fatto sentire qualche pesantezza di troppo – soprattutto nel primo atto, mentre nel secondo e nel terzo dinamiche e agogiche sono risultate meno arrembanti – alla fine la direzione non è andata in conflitto con la regia, circostanza tutt’altro che trascurabile.
Protagonista assoluto Alex Esposito che – letteralmente – ha fatto il diavolo a quattro, sconquassando il pubblico con il suo impeto attoriale e il brillante rendimento vocale. Una prova maiuscola, che gli spettatori hanno premiato con un’ovazione formidabile. Insinuante, sulfureo, rapace, ipercinetico, Esposito ha caratterizzato i suoi diavolacci con sopraffina curiosità intellettuale e capacità di eloquenza che è propria solo dei grandi artisti.
Nei panni dello sventurato Hoffmann, Ivan Ayon Rivas non gli è stato da meno e anzi ha rilanciato con una prova vocale notevolissima in cui declamato, acuti, disinvoltura scenica e pertinenza stilistica hanno contribuito a rendere credibilissimo il personaggio.
Olympia è stata interpretata dal soprano Rocío Pérez la quale, pur nel singolare contesto scenico, è parsa brillante e attendibile in una parte inquietante e clamorosamente attuale – si pensi all’abuso della AI e ai deep fake –  come quella della bambola meccanica.
Carmela Remigio ha colorato di mille sfaccettature Antonia, forse il personaggio più malinconico dell’opera, con la classe artistica che la contraddistingue da sempre. La voce, calda, sensuale e solare al contempo, è sembrata perfetta per delineare la sfortunata parabola del personaggio.
Veronique Gens, dalla figura elegantissima, ha interpretato con un minimo di distacco e freddezza una Giulietta che forse meriterebbe qualche slancio passionale meno evanescente, ma è stata comunque protagonista di una prova positiva.
Bravissime anche Paola Gardina (La Muse) e Giuseppina Bridelli (Nicklausse) entrambe nei panni di due personaggi sfuggenti, dalle personalità difficilmente decifrabili.
Il tenore Didier Pieri si è disimpegnato con elegante disinvoltura nei suoi quattro personaggi, sfoggiando una voce leggera, tipica del caratterista, ma piacevole nel timbro.
I coprotagonisti, che sono sempre fondamentali nella buona riuscita di uno spettacolo, sono stati tutti bravissimi: Federica Giansanti (La Voce), Christian Collia (Nathanaël), François Piolino (Spalanzani), Yoann Dubruque (Hermann/Schlemill) e Francesco Milanese (Luther/Crespel). Ottimo il rendimento del Coro, impegnatissimo anche dal lato scenico oltre che impeccabile vocalmente.
La regia di Damiano Michieletto meriterebbe una recensione a parte perché è difficile condensare in poche righe le innumerevoli suggestioni che si sono dipanate nell’arco della serata.
A mio parere un’opera come Les Contes, che sfugge qualsiasi presunta tradizione interpretativa, esige un allestimento fuori dagli schemi e sopra le righe che ne esalti il valore anarchico in senso lato e ne innervi l’irrequietezza intellettuale.
L’idea fondante è quella di descrivere la vita di Hermann dalla primissima adolescenza alla maturità attraverso gli innamoramenti, le infatuazioni e le relative sanguinose delusioni, tutte viste attraverso uno straordinario prisma onirico che ne distorce e riflette gli esiti. Intorno al protagonista, in una sorta di multiverso parallelo, si muovono personaggi fantastici che appartengono al mondo dei bambini e agli incubi degli adulti. Un’irrealtà quasi felliniana in cui grottesco, macabro e reale si compenetrano e si contaminano.
Per realizzare questo straordinario caleidoscopio di sentimenti, situazioni e personaggi il regista si affida al suo storico team di collaboratori e il risultato è sorprendente per spessore intellettuale e appagamento sensoriale. Le scene di Paolo Fantin sono stupende, ricchissime di particolari e impreziosite da un impianto luci (Alessandro Carletti) che meriterebbe un Oscar per come ricrea attorno ai personaggi un mondo parallelo fatto di ombre (il primo atto), di figure distorte e capovolte (l’atto di Antonia), di atmosfere cangianti per carattere, personalità e temperamenti (il terzo atto). Bellissimi i costumi di Carla Teti, che dà fondo a tutta la sua creatività per mettersi al servizio dell’idea registica.
Fondamentali le coreografie di Chiara Vecchi, che sono non solo piacevoli ma funzionali alla narrazione quando non addirittura rivelatrici. Il secondo atto, in questo senso, è davvero da ricordare anche per l’apporto formidabile di alcune bambine ballerine di bravura sbalorditiva.
Nello spettacolo colpisce come non ci sia mai un attimo di sosta e di come sia dinamico e allo stesso tempo ricco di trovate provocatorie che però mai neanche sfiorano alcuna volgarità.
Dopo i trionfali applausi finali, un paio di scarpette rosse ha fatto riferimento alla terribile vicenda – l’ultima di tante, forse nel momento che scrivo la penultima – di Giulia Cecchettin.
Alla serata era presente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sommerso di applausi al pari di tutta la compagnia artistica.

5 risposte a “Les Contes d’Hoffmann Di Jacques Offenbach al Teatro La Fenice di Venezia: serata straordinaria grazie a una compagnia artistica eccezionale e alla regia di Damiano Michieletto.

  1. Enrico 27 novembre 2023 alle 9:54 am

    Che fortuna poter assistere ad una così bella regia! Purtroppo accade troppo spesso di assistere a regie sciagurate, che quasi rovinano l’opera…credo che, mentre il teatro di prosa è ancora vivo e si rinnova con nuovi testi di anno in anno, l’opera si mantenga viva attraverso regie pertinenti, anche in chiave moderna, tali da far scoprire al pubblico nuovi aspetti dell’opera.
    Sarei curioso di vedere “Le nozze di Figaro” ambientata nella casa del Grande Fratello, coi personaggi che andassero a cantare ogni aria nel confessionale (in cabina) 😋. Non scherzo, credo possa funzionare!

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    • Amfortas 27 novembre 2023 alle 1:04 PM

      Ciao Enrico, sì è stata una serata magnifica. Il concetto è che se non si sperimenta si resta fermi, perciò le regie brutte le vedo volentieri perché so che prima o poi salterà fuori il capolavoro. Se fossi contrari per principio a regie innovative, starei a casa. Ocio che quacuno ti copia l’idea! Ciao, Paolo

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      • Emma 27 novembre 2023 alle 6:57 PM

        Buonasera, eccomi qua: ho letto la sua recensione con un po’ di invidia, lo confesso, per non aver potuto assistere ad un simile spettacolo ma felice che finalmente si sia trattato di qualcosa di piacevole e tanto gradevole che “ti fa saltare sulla sedia”…

        Chissà se succederà anche da noi nei prossimi spettacoli?

        Grazie, un saluto e alla prossima!

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      • Amfortas 27 novembre 2023 alle 8:41 PM

        Carissima Signora Emma, questi Racconti sarebbero piaciuti tantissimo anche a lei, ne sono certo. Per Trieste, bon , l’importante è andare a teatro il resto se c’è bene altrimenti pazienza! Grazie dei suoi interventi, per me sono medaglie al valore. Paolo

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