Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Mahler, Schumann e… Svevo al Teatro Verdi di Trieste. Grande prestazione della compagine orchestrale triestina guidata dal Maestro Enrico Calesso.

Il 2023 è l’anno del centenario della pubblicazione di “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, romanzo iconico per noi triestini e non solo.
Soprattutto nelle ultime settimane le celebrazioni si sono susseguite senza soluzione di continuità: dibattiti, pièce teatrali, manifestazioni varie che hanno coinvolto tutta la città.
In questa temperie il Teatro Verdi di Trieste, massima istituzione culturale della regione, ha dato un importante contributo programmando per l’ultimo concerto della stagione sinfonica una pagina musicale di Giulio Viozzi – compositore triestino – dedicata proprio al concittadino scrittore: “Musica per Italo Svevo”, un brano sostanzialmente sconosciuto che è stato riscoperto recentemente e che risale al 1962.
È sempre difficile dare un giudizio al primo ascolto, ma qualche indicazione si può esprimere.
Scritta per una grande orchestra, la pagina musicale è tipicamente novecentesca come ha ben spiegato Enrico Calesso, all’esordio ieri nelle vesti di nuovo Direttore stabile della fondazione triestina.
Il tema inziale percorre tutto il brano ed è di carattere principalmente eroico, tanto che ascoltando – nonostante l’interruzione di un cellulare, il mio – il primo accostamento che m’è passato per la testa è stato con la colonna sonora di qualche film. L’uso piuttosto intenso delle percussioni e i contrasti dinamici mi hanno anche ricordato Stravinsky e il Puccini della Turandot, ma sono codeste suggestioni di un modesto recensore che ha anche apprezzato la splendida prova degli archi gravi.
Difficile, anche per chi come me conosce quasi a memoria il romanzo di Svevo, trovare qualche collegamento con le vicende di Zeno Cosini.
A seguire, dopo l’immersione nell’esprit di una Trieste culla della Mitteleuropa e fucina di talenti trasversali, il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra op.54 di Robert Schumann, interpretato da Massimo Gon.
Strutturato in tre movimenti – l’Intermezzo e l’Allegro sono stati eseguiti senza interruzione, come da indicazioni del Compositore – il brano è uno dei capisaldi del Romanticismo ed è un esempio di dialogo alla pari tra orchestra e solista, che si compenetrano in un flusso sonoro in cui quasi mai prevale un virtuosismo esasperato e che esalta la poetica di una narrazione a tutto tondo innervata da mutevoli stati d’animo screziati da tenere malinconie. Molto buona la prestazione dei legni, nello specifico.
Gon ha un tocco delicato, quasi timido nella sua dolcezza e nella raffinata eleganza nell’affrontare gli arpeggi che ha reso luminosa e al contempo riflessiva, in alcuni momenti quasi ombrosa, l’esecuzione. Successo pieno, suggellato da due bis dedicati a Chopin e Scarlatti.

Dopo l’intervallo è stato servito il piatto forte della serata, la Prima sinfonia in re maggiore di Gustav Mahler che credo non abbia bisogno di presentazioni, sia perché è notissima sia perché è una delle vette più alte della musica sinfonica tout court.
E qui ci starebbe un lungo e particolareggiato peana all’Orchestra del Verdi che, come più volte rilevato nelle recensioni – non solo qui su OperaClick, ma ovunque ci sia qualcuno sensato che si occupa di musica –  va a concludere un anno in cui l’ensemble di casa ha acclarato una crescita artistica e professionale straordinaria. E questa crescita si è manifestata in tutte le sezioni, credo di poterlo affermare con sicurezza visto che seguo le recite di musica lirica e sinfonica da…qualche anno: diciamo cinquanta.
Il Titano presenta enormi difficoltà esecutive – insomma, è Mahler, il rischio di confondere tutto in un indistinto magma sonoro è altissimo – eppure ieri il suono è uscito pulito, devastante nelle dinamiche impreziosite da agogiche che non erano pigre, bensì meditate e analitiche, che è tutt’altra cosa.
Gli archi gravi e gli ottoni sono stati straordinari (bravissima Chiara Molent, primo contrabbasso della fondazione), ma tutte le sezioni hanno suonato in modo eccellente.
Le compagini orchestrali hanno però bisogno di una guida per rendere al meglio e ieri, anche se sembra superfluo sottolinearlo, Enrico Calesso ha dato una lettura davvero emozionante di questo formidabile affresco naturalistico di Mahler, in cui c’è tutta un’umanità che si esprime con slanci popolareschi di danze, di fiabe per bambini dai risvolti resi lugubri e grotteschi, di gioie e di dolori. Di vita, una vita palpitante come la parabola di tutti noi nel nostro breve viaggio sulla terra.
Il pubblico, assai numeroso, ha capito l’impegno e la passione dei protagonisti e li ha premiati con un tripudio di applausi e innumerevoli chiamate al proscenio.

Giulio ViozziMusica per Italo Svevo per orchestra sinfonica
Robert SchumannConcerto in la minore op.54 per pianoforte e orchestra
Gustav MahlerPrima sinfonia in re maggiore
  
DirettoreEnrico Calesso
PianoforteMassimo Gon
  
Orchestra del Teatro Giuseppe Verdi di Trieste



Lascia un commento