Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Il Kelemen Quartet alla Società dei Concerti di Trieste: Haydn e Bartók emozionano con i loro Quartetti.

La stagione della Società dei Concerti di Trieste, che prevede ben quattordici serate, è nel pieno dello svolgimento.
Ancora qualche numero: per la storica istituzione culturale triestina questa è la novantaduesima stagione e nell’arco degli anni i concerti sono arrivati a 1506, una quantità davvero impressionante che testimonia una presenza sul territorio continua e, soprattutto, di qualità.
Ieri è stata la nobilissima e antica Arte del Quartetto d’archi a essere protagonista, declinata da due giganti del repertorio come Haydn e Bartók. È stata l’occasione per un viaggio in tempi e stili diversi, in cui le personalità dei due compositori si sono affacciate sul palcoscenico del Teatro Verdi grazie all’esibizione del Kelemen Quartet nella classica formazione che prevede due violini, una viola e un violoncello.
La serata si è aperta con l’esecuzione del Quartetto per archi in re minore Op. 76 n. 2 “Delle Quinte” in cui si fa riferimento alle coppie di quinte discendenti dell’Allegro iniziale.
In questa pagina si percepisce subito il clima tardo settecentesco, di transizione, tipico della musica dell’Haydn più maturo. I rimandi e i dialoghi tra gli strumenti costruiscono una trama gentile, spesso un po’ âgé (penso al Minuetto) in cui c’è però spazio anche per ragguardevoli virtuosismi del violino sul pizzicato degli altri strumenti.
Immediato, sin dalla prima nota, il cambio di temperie culturale col secondo brano, il Quartetto n.4 in do maggiore di Béla Bartók in cui le inquietudini del Novecento e le suggestioni di Stravinskij si intersecano in un ritmo sincopato innervato da una tensione emotiva che si dipana tra strappi, pizzicati e arditi cromatismi.
C’è spazio anche per un breve lacerto (nel terzo tempo, non troppo lento) in cui il violoncello è protagonista di un’oasi se non melodica meno percussiva e incalzante; la musica della notte in perfetto stile bartokiano.
Dopo l’intervallo, è stata ancora la volta del genio ungherese, in questo caso nel Quartetto n.3 che, a parere di chi scrive, rappresenta l’essenza dell’ispirazione di Bartók.
Vi si ritrovano infatti buona parte dei topoi del compositore, che si rifanno anche alla Seconda Scuola di Vienna con il caratteristico carico di dissonanze, atonalità e asperità quasi brutali pur restando nell’ambito di un approfondimento della musica popolare ungherese in chiave espressionista.
Il Kelemen Quartet nell’arco della serata è stato protagonista di una prestazione magnifica per unità di intenti, controllo delle dinamiche, tecnica e virtuosismo.

 Soprattutto, ha dato conferma di come il quartetto sia anche una metafora felicissima del detto popolare “L’unione fa la forza”, nel senso che il lavoro di gruppo e l’armonia umana e artistica tra gli interpreti è l’unico modo per arrivare a un risultato finale prezioso; i protagonismi, gli eccessi dell’ego possono aspettare.
Il pubblico, a dire il vero non strabordante, ha decretato un grande successo alla serata che si è chiusa con un bis ancora dedicato a Bartók. La Burletta dal Quartetto n.6, in cui ancora una volta il pizzicato è stato al centro dell’attenzione.

Franz Joseph HaydnQuartetto per archi in re minore Op. 76 n. 2 “Delle Quinte”
Béla BartókQuartetto n.4
Béla BartókQuartetto n.3
  
ViolinoBarnabas Kelemen
ViolinoJonian Ilias Kadesha
ViolaKataklin Kokas
VioloncelloVashti Hunter
  
Kelemen Quartet

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