Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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Trionfo del Teatro La Fenice in trasferta al Festival di Lubiana. Madama Butterfly di Puccini raccoglie un grandioso successo dal pubblico.

Con uno sforzo organizzativo che immagino tutt’altro che lieve da entrambe le parti, il Festival di Lubiana ospita per due serate – qui si dà conto della prima – la Madama Butterfly di Puccini nell’allestimento di Mariko Mori e Àlex Rigola in collaborazione con la Biennale di Venezia, ripreso da Cecilia Ligorio.
L’ambientazione è di chiara matrice minimalista e dell’immagine del Giappone oleografico e, forse, oggi un po’ stantia, rimane ben poco.
La regista immagina uno spazio anodino, in cui il bianco è screziato da gentili cromie pastello per i costumi che richiamano il teatro greco. L’interazione tra i personaggi, chiaramente ispirata al Teatro del Nō e del Kabuki per le coreografie, è anch’essa ridotta a tavolino: ne esce uno spettacolo asciutto, teso, spesso emozionante che consente di concentrarsi sulla nota vicenda di Cio-Cio-San, tra le più strazianti dell’intero catalogo operistico. A dominare la scena c’è una struttura simile al simbolo matematico dell’Infinito, una specie di numero otto che si sviluppa in orizzontale.
L’unico punto debole dell’allestimento mi è sembrato la lunga proiezione che accompagna l’inizio del terzo atto ma, probabilmente, il motivo è dovuto al fatto che la tecnologia ci ha abituati a tutto. Non per caso me lo ricordavo più suggestivo al debutto, ormai dieci anni fa. Discutibile l’entrata del Coro – ottima l’esecuzione del famoso coro a bocca chiusadal secondo balcone della magnifica sala del Cankarjev (Alla Fenice avveniva, altrettanto discutibilmente, dalla platea) perché distoglie l’attenzione da uno dei momenti più alti della musica lirica in toto. Le luci, di Albert Faura, sono del tutto allineate con il resto dello spettacolo, tenui ma efficaci.
Lo dico sempre, uno spettacolo per funzionare deve trovare corrispondenza di intenti e sinergia tra regia e direzione e Daniele Callegari, che di Puccini è eccellente interprete, ne ha dato prova evidente assecondato da un’Orchestra della Fenice in gran serata.
Callegari spazza via ogni sospetto di puccinismo, il che significa rendere la musica di Puccini per quello che è e cioè proiettata nel Novecento nella sua quasi crudele essenzialità. Il direttore mantiene un suono trasparente, limpido, e in ogni caso dal passo teatrale incalzante e spedito senza appesantire la narrazione con effetti d’antan come rallentando letargici e deflagrazioni nucleari di suono che sono spesso causa di incomprensioni del genio lucchese. Al contempo, l’accompagnamento ai cantanti è affettuoso e partecipe, propedeutico alla caratterizzazione dei personaggi.
A proposito della compagnia di canto, nel lodare tutti i coprotagonisti che trovate in locandina, mi soffermo da subito sulle eccellenti prestazioni di Manuela Custer, ormai Suzuki di riferimento storico sia dal lato vocale sia dal lato scenico e sull’altrettanto efficace Vladimir Stoyanov che cesella con classe una parte assai ambigua e difficile dal lato emozionale con voce adatta e gestualità contenuta ma eloquente.
Buono anche il contributo di William Corrò (Yamadori), Cristiano Olivieri (Goro) e Cristian Saitta (Zio Bonzo).
Vincenzo Costanzo, nonostante la giovane età,  è un veterano nella parte di Pinkerton che conosce a menadito. La sua è stata una buona recita ma in alcuni momenti ha anche mostrato un certo affaticamento soprattutto negli acuti, che gli sono usciti non perfettamente a fuoco seppure senza incidenti di sorta. Ha convinto in pieno, invece, nel fraseggio e per l’adeguata presenza scenica.
Monica Zanettin è stata la trionfatrice della serata e lo ha meritato, per quanto chi scrive abbia notato qualche lieve sbavatura nella sua buona prova. Ottima nel canto di conversazione – fondamentale in Puccini – ha risolto con bravura anche attoriale il problema principale della parte: la crescita psicologica del personaggio che da bambina diventa donna e poi madre disperata e moglie abbandonata. Anche nel suo caso ho notato qualche sporadico appannamento vocale e ho saputo dall’ufficio stampa del Festival che per la replica di questa sera sarà sostituita da Rebeka Lokar. Ma forse il miglior complimento a Zanettin è venuto dall’amica che mi ha accompagnato in teatro: alla fine piangeva come una fontana.
Il pubblico, foltissimo, ha tributato allo spettacolo un enorme successo, chiamando al proscenio più volte tutti i protagonisti. Come dicevo applausi per tutti e trionfo per Monica Zanettin e Daniele Callegari.
Chiosa finale: come nella serata dedicata a Verdi è bello vedere che la musica italiana e, in questo caso, istituzioni culturali italianissime siano i migliori ambasciatori del nostro Paese all’estero.

io-Cio-SanMonica Zanettin
PinkertonVincenzo Costanzo
SuzukiManuela Custer
SharplessVladimir Stoyanov
GoroCristiano Olivieri
YamadoriWilliam Corrò
Zio BonzoCristian Saitta
YakusidéEnrico Masiero
Il Commissario imperialeEmanuele Pedrini
Ufficiale del registroMassimo Squizzato
Madre di Cio-Cio-SanMarta Codognola
La ziaFrancesca Poropat
La cuginaSabrina Mazzamuto
  
DirettoreDaniele Callegari
  
Direttore del coroAlfonso Caiani
  
RegiaÀlex Rigola
Scene e costumiMariko Mori
LuciAlbert Faura
Regia ripresa daCecilia Ligorio
  
  
BalleriniInma Asensio, Elia Lopez Gonzales, Chira Vittadello
  
  
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice di Venezia