Recensione de I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini al Teatro Verdi di Trieste: una buona compagnia artistica onora l’opera di Bellini che mancava a Trieste da quasi cinquanta anni.
Per capire come il melodramma italiano sia diventato un fenomeno artistico straordinario, bisognerebbe spendere qualche parola anche su di una figura che ormai – almeno nell’accezione dell’Ottocento – è scomparsa. Sto parlando dell’impresario: il suo lavoro è stato fondamentale per la diffusione delle opere che oggi vediamo a teatro in tutto il mondo. Nello specifico, riferendosi a I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini, la persona in questione è Alessandro Lanari, collega del più noto Domenico Barbaja, che sostanzialmente lanciò Rossini. La figura dell’impresario si può paragonare a quella dell’agente ai giorni nostri, ma con tanto potere in più, perché gestiva non solo la allocazione dei cantanti ma anche quella di librettisti, compositori, teatri. Insomma una vera eminenza grigia che contribuì in modo fondamentale alla distribuzione di opere dei più grandi compositori italiani: Donizetti, Bellini, Verdi e altri ancora. Verso la fine degli anni Trenta dell’Ottocento Lanari aveva la gestione della Fenice di Venezia e pensò di “usare” Bellini per ridare lustro a un teatro che soffriva, come tutti i teatri italiani, l’esilio di Rossini. Fu così che I Capuleti debuttarono alla Fenice l’undici marzo 1830 seppure tra mille problemi che non è il caso di affrontare in questa sede. Bellini è il classico compositore di confine, che traghetta la musica dalle suggestioni rossiniane e mozartiane a quel gran calderone – in senso buono – che è il Romanticismo. Capuleti (che mancavano a Trieste dal 1974, quando Giulietta fu una sfolgorante Katia Ricciarelli) è un’opera fragile, delicata, la poetica è ancora belcantistica ma, come dicevo prima, guarda avanti. L’espressività di orchestra e cantanti è la parte più importante, quella che può decidere il destino di una rappresentazione. Poi è vero, la vicenda dei Capuleti e Montecchi non sta in piedi, oggi, soprattutto nella riduzione teatrale di Felice Romani il quale, attenzione, non prese spunto dal testo di Shakespeare (pressoché sconosciuto in Italia a quei tempi) bensì da una novella di Matteo Bandello e dalla tragedia “Giulietta e Romeo” di Luigi Scevola. Poco importa perché se cambiano alcuni particolari, soprattutto per quanto riguarda la figura e il ruolo drammaturgico di Tebaldo, la sostanza non cambia. La differenza sta nella musica di Bellini, che avvolge la trama di una specie d’incantesimo fatto di melodie purissime che non a caso compaiono di frequente nei recital dei cantanti. Nell’allestimento pensato da Arnaud Bernard, più volte recensito da OperaClick, la vicenda si svolge in una pinacoteca in cui si stanno svolgendo restauri. Gli operai vanno e vengono, spostano quadri, lavorano con gli strumenti del mestiere, fanno le pulizie. I quadri, prevalentemente in stile rinascimentale – molto bella la scena finale, con i protagonisti letteralmente incorniciati in un suggestivo gioco di luci – raccontano anche della storia degli sfortunati amanti veronesi. L’idea non è particolarmente originale – i tableaux vivants si vedono con una certa frequenza anche nel teatro di prosa – e funziona sino a un certo punto per un motivo molto semplice: troppo spesso i prefati lavoratori vagano per il palcoscenico e, detta fuori dai denti, sviano l’attenzione dalla musica, soprattutto all’inizio. Per il resto l’allestimento è di discreto livello, per quanto le interazioni tra i personaggi siano appena accennate e i costumi soffrano di cromatismi opachi poco valorizzati da un impianto luci piuttosto monotono. Ma Bellini esprime se stesso nella musica, in quelle melodie lunghe amate da Wagner e Verdi, e da questo punto di vista la serata si può considerare riuscita tout court. Enrico Calesso, sul podio di un’Orchestra del Verdi in ottima forma – brillanti tra l’altro le prestazioni delle prime parti, Paolo Rizzuto (corno), Marco Masini (clarinetto) e Matteo Salizzoni (violoncello) – è stato capace di ricreare quell’atmosfera onirica che è sempre presente in Bellini senza rendere il flusso sonoro sfilacciato o monotono, circostanze che affliggono spesso le esecuzioni belliniane dovute all’equivoco che tutto si possa risolvere con le prestazioni dei cantanti. Al contrario, se c’è un compositore che ha bisogno di nerbo e corpo orchestrale questo è proprio Bellini, solo così la compagnia di canto può respirare con l’orchestra e trovare gli accenti più corretti per le melodie di cui sopra. Caterina Sala, da me recentemente ammirata come Nannetta all’inaugurazione della Fenice di Venezia, conferma qui di avere le doti per essere una belcantista di razza. Le manca solo ancora un po’ di maturità artistica, di esperienza, vista la giovane età. Però la sua Giulietta commuove ed è cantata con gusto e pertinenza stilistica, voce adatta alla parte, acuti facili, filati di scuola, legato impeccabile e fraseggio curato. La grande aria Oh quante volte è risolta con efficacia ed eloquenza anche nel bellissimo recitativo che la precede. Giustificato e meritato l’applauso a scena aperta che le ha tributato il pubblico. Inoltre è parso evidente l’affiatamento con Laura Verrecchia nei duetti (in cui davvero gli echi di Norma sono evidenti) e ha recitato con compostezza e intelligenza. Romeo è notoriamente una parte difficile per tanti motivi: è lunga, piuttosto acuta ma soprattutto impegnativa dal lato interpretativo perché Romeo è personaggio ardimentoso e al contempo morbido negli slanci d’affetto. Il mezzosoprano ha vinto la sfida con grande autorevolezza grazie a una voce sonora, smagliante nel registro centrale e sicura negli acuti. Essenziale anche la capacità di essere eloquente senza troppe forzature veriste che con Bellini non c’entrano nulla. Anche per lei, in questa parte en travesti serotina, applausi a scena aperta più che giustificati. Tebaldo, personaggio ingrato perché canta pochino e deve subito superare lo scoglio di un’aria famosa (È serbata a questo acciaro) che si presta a confronti ingenerosi, è stato intrepretato con garbo e sicurezza da Marco Ciaponi, tenore giovane e in ascesa che ha il grande pregio di essere sempre pertinente nell’accento e nello stile. Bellini si canta con grazia e sentimento, e gli slanci testosteronici sono del tutto inopportuni. Bravo il solido Emanuele Cordaro (Lorenzo) e tutto sommato sufficiente anche la prova di Paolo Battaglia, Capellio forse non perfettamente a fuoco dal lato vocale ma efficace da quello scenico. Bene il Coro, come sempre preparato da Paolo Longo. Successo indiscutibile per questa prima, con il pubblico – teatro abbastanza affollato, ma non esaurito – che ha lungamente applaudito tutta la compagnia artistica e ha riservato un trionfo a Caterina Sala e Laura Verrecchia.
4 risposte a “Recensione de I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini al Teatro Verdi di Trieste: una buona compagnia artistica onora l’opera di Bellini che mancava a Trieste da quasi cinquanta anni.”
Carissimo, davvero una bella sorpresa l’opera di Bellini che (non ho mai nascosto la mia ignoranza) ho visto per la prima volta. Cinque interpreti all’altezza per musica godibilissima da ascoltare anche ad occhi chiusi. Ehm, in particolare per l’overture e gli interludi, disturbati però da un andirivieni inutile di operai con casco e pesanti scarpe antiinfortunistiche, che assieme ai rumorosi carrelli hanno vanificato il mio ingenuo trucchetto degli occhi chiusi. Così, visto che non avevo nessuno alle spalle (ampi vuoti in I galleria) ho potuto chinarmi e concentrarmi sull’orchestra e apprezzare gli assoli.
A questo punto devo ringraziarti per aver nominati i maestri che hanno suonato il corno, il clarinetto e il violoncello: grazie per aver fatto uscire dall’anonimato cui sono condannati gli orchestrali. Ad esempio, non ho mai capito perchè nelle opere televisive nei titoli di coda compaiano i nomi degli elettricisti e dei truccatori ma mai (dico mai) i nomi dei maestri d’orchestra.
Per il resto concordo con la tua recensione. Non sarei così severo con i costumi, piuttosto la coreografia e i movimenti dei protagonisti e del coro mi sono sembrati approssimativi ed eccessivamente concitati, quasi che l’unica modalità di interazione fosse prendersi a spintoni. Anche tra amanti.
Alla prossima, maestro.
Ciao Pier, non ho molto da aggiungere a quanto hai scritto tu sullo spettacolo.
Per i professori d’orchestra, quando le prime parti hanno qualche pezzo virtuosistico, è buona norma nominarli. Negli anni, mi è sembrato, l’allestimento è migliorato in alcuni particolari, ma potrei sbagliarmi.
Spero di vederti domani con Geni, alle 17 all’Hilton! Ciao, Paolo
Di nuovo in loggione con il secondo cast. Bello spettacolo.
Mi ha impressionato il Romeo di Sofia Koberidze, esperta in Carmen. Una bella interpretazione irruenta e spavalda, forse non molto dolce con Giulietta (Olga Dyadiv). La regia è certamente strana, come gli stop dell’azione, ma mi dato l’impressione di voler ottenere un certo straniamento brechtiano, imporre una certa distanza dalla vicenda, svelare il lavorio della messa in scena.
Sul piano musicale anche Bellini crea delle sorprese, rallentando fortemente l’azione in uno dei momenti più agitati dell’opera.
Ora in attesa della stessa vicenda in balletto: l’ho visto una volta nell’insolita versione del ’36 con l’happy end. Non credo che sarà così, immagino…
Furio buongiorno, la Koberidze la conosco dagli esordi ed è una buona cantante e vale anche per la Dyadiv, non ho perciò dubbi che siano state all’altezza della situazione. Continuo a considerare la regia irrisolta, anche se sicuramente migliorata da quando la vidi io 10 anni fa. Probabilmente salterò il balletto, perché marzo è un mese intenso per la mia associazione fotografica…abbiamo in piedi 4 corsi e alcune collaborazioni con le scuole.
Ciao e grazie, Paolo
Carissimo, davvero una bella sorpresa l’opera di Bellini che (non ho mai nascosto la mia ignoranza) ho visto per la prima volta. Cinque interpreti all’altezza per musica godibilissima da ascoltare anche ad occhi chiusi. Ehm, in particolare per l’overture e gli interludi, disturbati però da un andirivieni inutile di operai con casco e pesanti scarpe antiinfortunistiche, che assieme ai rumorosi carrelli hanno vanificato il mio ingenuo trucchetto degli occhi chiusi. Così, visto che non avevo nessuno alle spalle (ampi vuoti in I galleria) ho potuto chinarmi e concentrarmi sull’orchestra e apprezzare gli assoli.
A questo punto devo ringraziarti per aver nominati i maestri che hanno suonato il corno, il clarinetto e il violoncello: grazie per aver fatto uscire dall’anonimato cui sono condannati gli orchestrali. Ad esempio, non ho mai capito perchè nelle opere televisive nei titoli di coda compaiano i nomi degli elettricisti e dei truccatori ma mai (dico mai) i nomi dei maestri d’orchestra.
Per il resto concordo con la tua recensione. Non sarei così severo con i costumi, piuttosto la coreografia e i movimenti dei protagonisti e del coro mi sono sembrati approssimativi ed eccessivamente concitati, quasi che l’unica modalità di interazione fosse prendersi a spintoni. Anche tra amanti.
Alla prossima, maestro.
"Mi piace""Mi piace"
Ciao Pier, non ho molto da aggiungere a quanto hai scritto tu sullo spettacolo.
Per i professori d’orchestra, quando le prime parti hanno qualche pezzo virtuosistico, è buona norma nominarli. Negli anni, mi è sembrato, l’allestimento è migliorato in alcuni particolari, ma potrei sbagliarmi.
Spero di vederti domani con Geni, alle 17 all’Hilton! Ciao, Paolo
"Mi piace""Mi piace"
Di nuovo in loggione con il secondo cast. Bello spettacolo.
Mi ha impressionato il Romeo di Sofia Koberidze, esperta in Carmen. Una bella interpretazione irruenta e spavalda, forse non molto dolce con Giulietta (Olga Dyadiv). La regia è certamente strana, come gli stop dell’azione, ma mi dato l’impressione di voler ottenere un certo straniamento brechtiano, imporre una certa distanza dalla vicenda, svelare il lavorio della messa in scena.
Sul piano musicale anche Bellini crea delle sorprese, rallentando fortemente l’azione in uno dei momenti più agitati dell’opera.
Ora in attesa della stessa vicenda in balletto: l’ho visto una volta nell’insolita versione del ’36 con l’happy end. Non credo che sarà così, immagino…
"Mi piace""Mi piace"
Furio buongiorno, la Koberidze la conosco dagli esordi ed è una buona cantante e vale anche per la Dyadiv, non ho perciò dubbi che siano state all’altezza della situazione. Continuo a considerare la regia irrisolta, anche se sicuramente migliorata da quando la vidi io 10 anni fa. Probabilmente salterò il balletto, perché marzo è un mese intenso per la mia associazione fotografica…abbiamo in piedi 4 corsi e alcune collaborazioni con le scuole.
Ciao e grazie, Paolo
"Mi piace""Mi piace"