Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Recensione abbastanza seria di The Rake’s Progress di Igor Stravinskij al Teatro La Fenice di Venezia.

Ovvero Glitter and be Michieletto o la strana storia di Conchita Wurst la Turca. Ma ci arriveremo.
Eurovision Song Contest 2014

Questa volta non mi metto neanche a dissertare sull’orrida Venezia e mi limito a guardare il lato positivo. Il clima da città subtropicale, la spaventosa concentrazione di umanità varia, il fatto che abbia dovuto correre in stazione per non mancare il treno mi hanno fatto perdere qualche chilo e un paio di centimetri di giro vita: ne avevo bisogno, perciò, per una volta Grazie, orrida Venezia (strasmile).

Nonostante la quasi contemporanea proposizione in due teatri italiani diversi – pochi giorni fa al Regio di Torino, ora alla Fenice di Venezia – The Rake’s Progress di Igor Stravinskij (che debuttò proprio a Venezia l’11 settembre 1951) non credo possa essere considerata come un’opera conosciuta ai più e tantomeno popolare. Credo perciò che valga la pena accennare, in estrema sintesi, alla genesi di questo lavoro così strano e affascinante.Rake-at-the-Rose-Tavern-detail-1734-Hogarth
Nel 1947 Stravinskij visitò una mostra di pittura a Chicago in cui, tra le altre cose, erano esposti i lavori di William Hogarth, pittore inglese vissuto nel 1700. In particolare il compositore fu colpito da una serie di otto dipinti – appunto A Rake’s Progress – perché gli sembrarono organizzati come una sequenza di scene operistiche. La scintilla della creatività era scoccata e parlò del progetto a un amico, il quale gli suggerì il nome del poeta Wystan Hugh Auden per la stesura del libretto. I due artisti elaborarono, insieme a un altro poeta, Chester Kallman, la strategia per rappresentare l’opera mantenendo l’atmosfera (o meglio, lo spirito) della sequenza pittorica originale di Hogarth.
The Rake’s Progress è comunemente definita un’opera neoclassica. Che cosa significa? In questo caso Stravinskij, nella convinzione che a metà degli anni 50 del secolo scorso avessero ancora un senso, ripropone per “raccontare” la sua opera sonorità, orchestrazione, forme e canoni tipici del 1700 musicale, ovviamente il tutto rivisto attraverso la sensibilità del presente.

Primo atto. Da sinistra Alex Esposito, Carmela Remigio, Juan Francisco Gatell

Primo atto. Da sinistra Alex Esposito, Carmela Remigio, Juan Francisco Gatell

Il principio che muove Stravinskij è che la musica, in quanto forma d’arte, non sia legata solo ed esclusivamente al periodo storico in cui è stata composta ma possa rispondere sempre alle esigenze o domande del pubblico, purché l’artista faccia da mediatore trovando il giusto linguaggio. In questo senso, a proposito del Rake’s Progress, molti studiosi ritengono più corretto parlare non tanto di neoclassicismo quanto piuttosto di anacronismo.
Stravinskij lavorò sul ciclo pittorico di Hogarth inserendo nuovi protagonisti e togliendone altri e, alla fine, i personaggi e le vicende descritte ricordano in qualche modo caratteri e situazioni ben note agli appassionati di musica lirica.
Tom Rakewell ha tratti di Faust, Don Giovanni, Hoffmann e soprattutto dell’Hermann protagonista della Dama di Picche di Čajkovskij. Nick Shadow è uno spin-off di Mefistofele in primis, ma anche di Leporello e Jago. Anne Trulove ha molto in comune con Donna Elvira, con Marguerite e soprattutto con Micaela della Carmen.
I personaggi si esprimono secondo i canoni dell’opera classica, appunto, e cioè anche nella tipica forma recitativo-aria-cabaletta, oltre che in un teso declamato e a quello che si potrebbe definire una sorta di canto di conversazione. Ovviamente tutto ciò filtrato, mimetizzato, rivisto e suggerito secondo Stravinskij attraverso una musica discontinua, a tratti sincopata, in altri momenti estremamente cantabile quando addirittura non melodica.
Non solo, con una citazione chiarissima del Don Giovanni, nel finale i personaggi a sipario abbassato ci fanno la morale. E qual è questa morale?
Il colpevole dei disastri della vita di Rakewell non è lui stesso né il perfido Nick Shadow. Colpevole è la società che impone logiche mercantili ovunque, colpevoli sono i media che alimentano il culto del successo a ogni costo, colpevole è soprattutto chi non solo non fa nulla per evitare che tutto questo accada ma anzi si arricchisce sulle disgrazie dei più deboli e, non contento, espone al pubblico ludibrio chi si perde.
I colpevoli siamo noi.Rosso
Questa produzione di The Rake’s Progress (coprodotta con Lipsia, dove ha debuttato in aprile) è stata affidata a Damiano Michieletto, regista i cui allestimenti puntualmente suscitano controversie e discussioni anche feroci. Nel magnifico (al solito) programma di sala Michieletto in un’intervista espone il suo pensiero sull’opera che può essere sintetizzato da una dichiarazione rilasciata anche in un comunicato stampa:

“È una fiaba crudele e fantasiosa, un viaggio attraverso la perdizione, una pericolosa sfida con il fuoco. Ma è anche una parabola sulla modernità e sul cinismo che contraddistingue la nostra epoca dove tutto è mercificato. La storia inizia con un idillio domestico, il padre di Anne sta lavando la sua automobile, in un tranquillo weekend tra il barbecue e l’erba da tagliare. Da qui parte un viaggio che sfocerà nelle tipiche ossessioni del nostro tempo: Tom Rakewell finisce in un’orgia di eccessi dentro una piscina che si trasformerà in una pozza di fango. Gigantesche scritte al neon con i nomi latini dei 7 vizi capitali incombono sulla scena, e alla fine crolleranno creando una gabbia arrugginita: è l’illusione della felicità che porta all’autodistruzione. Un sipario di glitter da avanspettacolo cala sulla vicenda per tirare la rapida morale dell’opera. La musica di Stravinskij offre spazio all’invenzione scenica attraverso un’ironia sottile e straniante, perfettamente legata alle parole del poeta Auden, che ha saputo sintetizzare i caratteri dei personaggi in modo efficacissimo. La collaborazione dei due ha fatto di questa storia (nata da un’ispirazione non letteraria ma pittorica) un autentico classico della storia operistica”.

II atto

II atto

 

A Michieletto va riconosciuto che ha ideato con grande maestria l’allestimento, curando bene la recitazione dei cantanti e del coro, impegnato straordinariamente anche dal punto di vista attoriale.
Le scene di Paolo Fantin sono realizzate magnificamente nella loro imponenza e allo stesso modo appropriati sono gli immaginifici costumi di Carla Teti. Bellissimo l’impianto luci di Alessandro Carletti.
Nel complesso però lo spettacolo (genialmente riservato a un pubblico adulto!), dopo un primo atto piuttosto godibile, nel centrale e fondamentale secondo atto sembra ridondante, eccessivo e di gusto non straordinario. E non certo per le scene di sesso esplicito che si spera che nel 2014 non possano più scandalizzare nessuno, ma perché dopo un po’ la noia regna sovrana e manca – o almeno io non l’ho percepito – quello spruzzo d’ironia grottesca che ha reso memorabili spettacoli come il Rocky Horror Picture Show oppure film come Fuori orario di Martin Scorsese.
Inoltre mi è sembrato che rappresentare Baba la Turca con le fattezze di Conchita Wurst sia stata niente più che una trovata furbetta, così, tanto per strizzare l’occhio all’attualità e compiacere il pubblico in maniera un po’ ruffiana.
Buono invece il terzo atto, finalmente libero da orpelli inutili nonostante sia affollato dai (previsti dal libretto) pazienti del manicomio. Discutibile, anche qui, la scelta di far suicidare Rakewell tramite soffocamento con un sacchetto di plastica.
Spettacolo irrisolto, quindi, o perlomeno d’ispirazione altalenante.

Marcello Nardis

Marcello Nardis

Altalenante si può definire anche la direzione di Diego Matheuz, il quale ci va giù piuttosto pesante con le sonorità anche quando non sarebbe necessario, mentre in alcuni momenti (penso al finale, per esempio) riesce a cogliere l’ambiguità della musica di Stravinskij.
In generale mi pare sia mancata una visione generale dell’opera, una strategia narrativa che renda omogenea una partitura che è volutamente frammentata e frammentaria ma che ha insita un’ironia, un disincanto, che il direttore – sul podio di un’Orchestra della Fenice non impeccabile come nelle ultime occasioni – non ha saputo restituire.
D’altro canto è stato eccellente il rendimento della compagnia di canto (a parte qualche incertezza nella pronuncia inglese), a cominciare dal Coro che ho trovato splendido anche considerato il fatto che l’impegno nella recitazione e nei movimenti di scena è stato importante.
Juan Francisco Gatell è stato convincente nella caratterizzazione di un Rakewell adolescenziale e ipercinetico, più disperato che maledetto, e mi è sembrato anche aver irrobustito la voce rispetto ad altre occasioni senza che ne abbia risentito la facilità della salita agli acuti.Finale 2
Bravissima Carmela Remigio, in una parte che richiede un’estensione vocale notevole. Direi che la sua Anne Trulove, personaggio convenzionale e un po’ sbiadito, acquista un’incisività più marcata grazie all’interpretazione, al virtuosismo e all’espressività del soprano. Commovente e ben cantata, in particolare, la sua ninna nanna finale.
Mattatore per natura, Alex Esposito si è trovato perfettamente a proprio agio nei panni del luciferino Nick Shadow, palesando oltre che la consueta disinvoltura scenica anche una voce timbrata, sonora e ben proiettata. Qualità che hanno consentito all’artista di connotare della giusta drammaticità il personaggio ma anche di metterne in luce i tratti autoironici e grotteschi.
Molto brava anche Natascha Petrinsky, Baba la Turca ironica e sorprendentemente capace di non trasformare in macchietta un personaggio che mal sopporta il cattivo gusto, poiché già di suo è terribilmente borderline. Inoltre, l’artista ha recitato e cantato con un costume che se da un lato ne esaltava la figura, dall’altro le deve aver provocato qualche imbarazzo (quella mini inguinale che si ostinava pericolosamente a salire lungo i fianchi…).Finale
Divertente e appropriata la caratterizzazione del tenore Marcello Nardis, Sellem isterico e untuoso, bardato come un imbonitore di quelle televisioni che spacciano per capolavori orribili croste su tela.
Riuscita, ma forse un po’ meno incisiva del necessario mi è sembrata la caratterizzazione di Silvia Regazzo (Mother Goose) mentre il Trulove di Michael Leibundgut dopo un inizio flebile, si è ripreso bene. Bravo Matteo Ferrara nei panni del Guardiano del manicomio.
Rake's Progress, La Fenice 27.06.2014

Lo spettacolo ha avuto un grande successo e ha ricevuto notevoli consensi dal pubblico che gremiva il teatro. Si sono sentite alcune contestazioni piuttosto sonore alla regia, peraltro rintuzzate dagli applausi. Alle singole successo vivacissimo per tutta la compagnia di canto e trionfi per i principali protagonisti e in particolare per Carmela Remigio.
Qui ancora un paio di foto della serata.
A seguire la locandina.
Un saluto a tutti, alla prossima!

VENEZIA, TEATRO LA FENICE 27 giugno 2014
 
Tom Rakewell Juan Francisco Gatell
Nick Shadow Alex Esposito
Trulove Michael Leibundgut
Sellem Marcello Nardis
Anne Carmelo Remigio
Baba la Turca Natascha Petrinsky
Mother Goose Silvia Regazzo
Il guardiano del manicomio Matteo Ferrara
   
Maestro concertatore e direttore Diego Matheuz
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
 
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
 

 

 

5 risposte a “Recensione abbastanza seria di The Rake’s Progress di Igor Stravinskij al Teatro La Fenice di Venezia.

  1. Pasquale 29 giugno 2014 alle 3:36 PM

    bella recensione,e belle foto…

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  2. principessasulpisello 2 luglio 2014 alle 10:31 am

    Qui c’è sempre da imparare!

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  3. Pingback:La Top Ten 2014 su Di Tanti Pulpiti (con relative polemiche e tante bellissime foto) | Di tanti pulpiti.

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