La seconda tappa del cartellone operistico del Teatro Verdi di Trieste – dopo gli esiti in chiaroscuro dell’Anna Bolena del gennaio scorso – è La battaglia di Legnano di Giuseppe Verdi, nell’allestimento coprodotto dal teatro triestino insieme al Teatro dell’Opera di Roma e al Liceu di Barcellona.
Lo spettacolo è già stato visto nel maggio 2011 nel teatro della capitale e ha riscosso un buon successo di pubblico e critica.
Come sempre quattro parole su quest’opera, in preparazione dell’ascolto in teatro sabato prossimo, sono opportune.
Siamo alla fine degli anni 40 dell’Ottocento, la situazione politica è esplosiva da Palermo a Milano e Verdi si trova a Parigi. Per accordi pregressi è debitore nei confronti del San Carlo di Napoli di un’opera, la censura impera ovunque, tanto che Verdi stesso scrive a un amico che “vi è una censura così rigorosa che non permette le cose interessanti”.
Successe, appunto, un quarantotto (smile) e Verdi, che era sempre molto sensibile agli umori popolari, si vide spianata la strada per la scelta di un soggetto patriottico. Non è eccessivo sostenere che La battaglia di Legnano sia quasi un’istantanea della situazione storica contingente e degli umori del popolo.
Verdi si rivolse in prima istanza al fido (e sempre strapazzato!) librettista Francesco Maria Piave, ma questi addirittura si era arruolato nella Guardia Nazionale di Venezia ed era perciò indisponibile.
Allora chiese disponibilità a Salvatore Cammarano, proponendo un testo, Cola di Rienzo – di cui Wagner musicò le vicende, portandosi a casa il titolo di Kappelmeister a Dresda -, basato su un lavoro di Bulwer-Lytton, The last of the tribunes.
Cammarano però non condivise la scelta, probabilmente perché non riusciva a cavare un ragno dal buco, e propose a sua volta un testo di Joseph Méry, La Bataille de Toulouse, che a suo parere ben si adattava alle esigenze contingenti, tanto che perorò la causa con queste parole sobrie e scevre di retorica (smile). “sì fatto argomento dovrà scuotere ogni uomo che ha nel petto anima italiana!”
Gaetano Fraschini
Verdi ne fu convinto.
Cammarano lavorò a fondo sul testo cercando di equilibrare i drammi familiari sullo sfondo degli avvenimenti politici e, allo stesso tempo, rinvigorire il patriottismo insito nel dramma.
Compito non facile, tanto che il prodotto finito differisce in modo sostanziale dall’originale, soprattutto perché Verdi alitava costantemente sul collo del povero Cammarano il mantra brevità e fuoco.
Dopo varie peripezie e aggiustamenti, qualche polemica con i cantanti, insomma le solite cose di quei tempi, l’opera debuttò non a Napoli bensì al Teatro Argentina in Roma, il 27 gennaio 1849.
Teresa De Giuli- Borsi
Il successo fu clamoroso, tanto che per accontentare il pubblico si dovette addirittura bissare l’intero quarto atto!
L’atmosfera che si respirava è ben descritta da questo lacerto tratto dal Pallade, quotidiano del tempo, che riferendosi a Giuseppe Verdi scriveva così: Lombardo quale egli è , offre colla penna il tributo che non potrebbe colla spada alla sua Patria in felicissima, affinché dalle ricordanze delle glorie passate prenda ella ristoro delle sventure presenti e presagio dei trionfi avvenire.
Addirittura in un’altra recita il Teatro Argentina fu scosso da un episodio clamoroso!
Un ufficiale saltò sul palco e per dare maggior forza alla sua richiesta di bis cominciò a spogliarsi, piantare nel pavimento del palcoscenico la spada, levarsi mostrine e cappotto, gettare giù sedie verso la platea. Con altrettanto ardore stava per lanciarsi giù dal proscenio ma per fortuna fu fermato e arrestato dai carabinieri.
Era completamente ubriaco. In vino veritas (smile)?
Le vicende politiche successive al debutto, nelle quali non m’inoltro, fecero sì che l’opera fosse riproposta a singhiozzo, suscitando grandi entusiasmi a Parma per esempio, con il titolo La sconfitta degli austriaci, ma anche duramente perseguita dalla censura. Si ricordano addirittura cicli di rappresentazioni con titoli stravaganti come L’assedio di Arlem o Lida.
Col passare del tempo l’opera perse attrattiva per il pubblico, tanto che lo stesso Verdi pensò a una riscrittura, che peraltro non andò mai in porto.
Dal punto di vista musicale le influenze rossiniane sono molto evidenti, come anche appare evidente un’ispirazione da Grand Opéra.
Filippo Colini
I momenti intensi sono molti, ma forse manca una continuità drammaturgica che li leghi, un denominatore comune, probabilmente sacrificati all’esigenza, a quei tempi primaria, di accentuare l’aspetto barricadero e propagandistico, tribunizio.
Risultano comunque molto apprezzabili l’ouverture, il bel coro iniziale, la sortita di Arrigo (La pia paterna mano), la cavatina e la cabaletta di Lida (A frenarti, o cor, nel petto) e soprattutto, a mio parere l’intera parte baritonale di Rolando, che è schiettamente belcantistica e cucita addosso al creatore del personaggio, il baritono Filippo Colini che si distingueva per le sue frequentazioni donizettiane e rossiniane.
Qui sotto il grande Giuseppe Taddei (aria e cabaletta: vedere i numerosi segni d’espressione scritti da Verdi).
Bello anche il duetto Lida-Arrigo che chiude il primo atto, particolarmente oneroso per il tenore.
Ho solo accennato agli interpreti del debutto. Oltre a Colini c’erano il soprano Teresa De Giuli-Borsi, grande donizettiana, e il celeberrimo tenore Gaetano Fraschini il quale interpretava con tanta passione la parte di Edgardo nella Lucia di Lammermoor da guadagnarsi l’inquietante appellativo di tenore della maledizione.
Qui Josè Carreras nella famosa incisione in studio dell’opera (recitativo e aria).
La grande Leyla Gencer nella cavatina del primo atto.
Un compito piuttosto pesante attende quindi la compagnia di cantoscelta per Trieste, guidata dalla bacchetta di Boris Brott.
Segnalo che il tenore Andrew Richards – che ricordo discreto in altri contesti – è stato inserito nel cast con molto ritardo e, soprattutto, mi stupisco nel vedere Giorgio Caoduro impegnato nel cast alternativo, e questo senza nulla togliere al baritono del primo cast, Leonardo Lopez Linares.
Speriamo che Dimitra Theodiossou sia in serata buona, il suo rendimento è fondamentale per la riuscita artistica dell’opera.
Un’altra curiosità: certe strofe della cavatina del tenore sono piu’ o meno le stesse dell’aria del baritono (Severo) nel “Poliuto” di Donizetti….non a caso il librettista di entrambe le opere è Cammarano!
Enrico, sì, ma se ci pensi anche nella scena tra Paolina e Severo c’è qualcosa del duetto Lida/Arrigo, non ti pare? Da notare inoltre che per il Poliuto siamo nel 1848 e che il debutto avvenne proprio al San Carlo di Napoli. Ovviamente anche in questo caso tanti problemi con la censura. Ciao e grazie!
edvard, il tuo commento era stato riconosciuto erroneamente come spam perché conteneva un link, l’ho visto ora e l’ho pubblicato.
Comunque si tratta dell’articolo del Piccolo cui già io ho fatto riferimento. Ciao e grazie.
Mi pare interessante ricordare che a Ts l’opera è stata rappresentata una volta sola e proprio con la Gencer.
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Alu, ben detto, credo fossero i primissimi anni 60 e, se non mi sbaglio, ci dovrebbe pure essere una registrazione pirata che gira. Ciao!
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Un’altra curiosità: certe strofe della cavatina del tenore sono piu’ o meno le stesse dell’aria del baritono (Severo) nel “Poliuto” di Donizetti….non a caso il librettista di entrambe le opere è Cammarano!
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Enrico, sì, ma se ci pensi anche nella scena tra Paolina e Severo c’è qualcosa del duetto Lida/Arrigo, non ti pare? Da notare inoltre che per il Poliuto siamo nel 1848 e che il debutto avvenne proprio al San Carlo di Napoli. Ovviamente anche in questo caso tanti problemi con la censura. Ciao e grazie!
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Segnalo questo video:
Finalmente anche il Verdi si adegua ai tempi.
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Alu, non l’avrei giammai creduto! Grazie 🙂
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http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2012/02/23/news/il-verdi-taglia-gli-stipendi-si-rischia-la-chiusura-1.3213567
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edvard, il tuo commento era stato riconosciuto erroneamente come spam perché conteneva un link, l’ho visto ora e l’ho pubblicato.
Comunque si tratta dell’articolo del Piccolo cui già io ho fatto riferimento. Ciao e grazie.
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