Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

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“Parole&Musica attraversano i confini”: una nuova rassegna dedicata al Lied a Trieste

Trieste è una piccola città ma è ricchissima, da sempre, di iniziative culturali ad ampio spettro.
Sono frequenti le occasioni in cui ci sono diversi eventi concomitanti e bisogna a malincuore fare una scelta.
Vale anche per la musica colta – ammesso che l’aggettivo sia pertinente – perché oltre alle istituzioni più note come il Teatro Verdi e la Società dei Concerti operano sul territorio numerose associazioni culturali che allestiscono serate di ottimo livello dedicate alla musica da camera, alla musica antica e quant’altro.
È il caso dell’Associazione Friedrich Schiller, con la direzione artistica di Elia Macrì, che propone in queste settimane “Parole&Musica attraversano i confini”: una nuova rassegna dedicata al Lied e non solo che calza perfettamente alla vocazione mitteleuropea del capoluogo regionale, da sempre crocevia di culture di confine. Alla manifestazione, che si svolgerà in sei appuntamenti sino a giugno inoltrato,  si affianca anche un concorso dedicato alla musica liederistica che vedrà in giuria, tra gli altri, Fabio Nieder e Salvatore Sciarrino. Lo stesso Macrì è intervenuto all’inizio per declinare le aspettative e la mission dell’associazione.
Per chi scrive è stata una grande emozione tenere a battesimo un progetto lungimirante e ben strutturato, che promuove un’Arte, quella del Lied, che pur essendo di provenienza tedesca ha molte affinità elettive con l’immaginario collettivo delle nostre terre.
Il programma era molto interessante e prevedeva l’esecuzione di brani di Robert Schumann, Josef Rheinberger e Johannes Brahms, affidati a due artisti che fanno parte della fondazione triestina – Benjamin Bernstein, prima viola dell’Orchestra del Verdi e il contralto Anna Katarzyna Ir artista del Coro – e la pianista Natalia Morozova.
Il concerto, che si è svolto nell’Auditorium Marco Sofianopulo del Museo Revoltella perché la Sala Beethoven è momentaneamente inagibile, è principiato con il Märchenbilder op.113 di Schumann.
Strutturata in quattro brevi movimenti, la pagina musicale si snoda con leggerezza in un continuo dialogo tra il suono caldo e avvolgente della viola e gli spesso delicati interventi del pianoforte, in un susseguirsi di atmosfere cangianti e oniriche che si compenetrano con dolcezza.
A  seguire è entrata in scena il contralto Anna Katarzyna Ir, che è stata protagonista di un piccolo tour de force in cui ha cantato ancora Schumann (Widmung), i Fünf Lieder op.4 di Rheinberger e dello stesso compositore Gesänge altitalienischer Dichter, alternando quindi la lingua tedesca a quella italiana tra microclimi psicologici anche assai diversi tra loro sulle liriche, tra gli altri, di Heine. Bellissima, in particolare, l’esecuzione dell’eterea Sapphische Ode di Brahms.
Ancora Brahms è stato protagonista nel finale del concerto, prima con la Sonata per viola e pianoforte op.120 n.2  – ricca di malinconici chiaroscuri – e poi con i Zwei Gesänge op.91 per contralto, viola e pianoforte.
Gli esiti artistici della serata sono stati ottimi e sembra quasi inopportuno sottolineare come i protagonisti siano stati all’altezza dell’impegno. Mi limito a segnalare il legato, la concentrazione e la compostezza di Benjamin Bernstein, il passionale pianismo di Natalia Morozova e il bellissimo colore della voce di Anna Kataryna Ir, che hanno tutti raccolto un meritatissimo successo e alla fine hanno concesso anche un bis, eseguendo Morgen! di Richard Strauss.
Di là di ogni altra considerazione è stata una serata emozionante, un viaggio seguito con attenzione dal pubblico in una sala che ha presentato qualche criticità dal punto di vista dell’acustica, almeno dalla mia posizione. Il che mi suggerisce una domanda che resterà senza risposta: oltre che investire nel turismo – mi si perdoni – straccione, vedremo a Trieste una sala da concerto decente, un giorno?

ViolaBenjamin Bernstein
PianoforteNatalia Morozova
ContraltoAnna Katarzyna Ir
  
Robert SchumannMärchenbilder op.113
Robert SchumannWidmung
Josef RheinbergerFünf Lieder op.4
Josef RheinbergerGesänge altitalienischer Dichter
Johannes BrahmsSapphische Ode op 94
Johannes BrahmsSonata per viola e pianoforte op 120 n.2
Johannes BrahmsZwei Gesänge op.91
  
Direzione artistica Elia Macrì

Mahler e Schönberg in versione cameristica a Lubiana convincono anche in…chiesa!

Come ho scritto nella recensione di ieri, il Festival di Lubiana appartiene a tutto il territorio della capitale slovena in cui abbondano, tra le altre meraviglie, numerose chiese.
E proprio nel comprensorio di Križanke, uno dei principali monumenti architettonici di Lubiana, è allocata la Chiesa di Nostra Signora della Misericordia dove spesso si tengono concerti per orchestre da camera e altro.
È un edificio piccolino, ricco di storia, che può contenere circa duecento persone, che anche in quest’occasione hanno affollato il concerto inserito nella manifestazione.
Le pagine musicali previste dal programma erano due: il celeberrimo sestetto per archi Verklärte Nacht di Arnold Schönberg e l’arrangiamento dello stesso compositore di Das Lied von der Erde di Gustav Mahler nella versione per tenore e baritono.
Schönberg, prima di diventare la bandiera dell’Espressionismo musicale ha percorso anche strade più ortodosse ed è bene diffondere e conoscere anche le radici che hanno poi dato vita al suo rivoluzionario albero compositivo.
L’esecuzione è stata affidata all’Ensemble Dissonance di cui fanno parte professori d’orchestra che suonano abitualmente con le maggiori compagini slovene ed era diretto, ieri, da Jonathan Stockhammer. I solisti erano due giovani cantanti, il tenore austriaco Paul Schweinester e il baritono sloveno Jaka Mihelač.
Prima dell’inizio è stata ricordata Brigiti Pavlič, scomparsa prematuramente quest’anno in gennaio e a lungo attiva a Lubiana e Maribor come dirigente teatrale.
Ispirata da una poesia di Richard Dehmel che Schönberg riteneva indispensabile avere presente durante l’ascolto e che per me contiene in nuce l’esile trama della successiva Erwartung, Verklärte Nacht è una pagina musicale in cui echeggiano reminiscenze wagneriane e non solo, dove i cromatismi degli archi sembrano rincorrersi e al contempo allontanarsi creando un’atmosfera suggestiva e ipnotica.
Molto bravi tutti gli interpreti tra i quali –  senza togliere nulla agli altri –  è spiccato il contributo del violino di Kana Matsui e della viola di Roberto Papi.
Dopo un brevissimo intervallo è stata la volta dell’esecuzione di Das Lied von der Erde che, dal mio punto di vista, è stata più problematica. Non per particolari mende degli interpreti, anzi, ma perché l’acustica dell’ambiente ha un po’ inficiato l’equilibrio musicale.
Almeno dalla mia posizione le voci dei cantanti – che magari non saranno state grandi, ma certo sono parse espressive – sono state spesso coperte dai legni che risuonavano con grande vigore, mentre per esempio il pianoforte e l’harmonium si percepivano appena. Nonostante ciò è stata una bella interpretazione perché, pur nell’arrangiamento forzatamente minimalista, il senso del ciclo della vita e della morte, dell’alternarsi delle stagioni e delle tante domande prive di risposta che Mahler – il quale morì senza ascoltare il suo lavoro – lascia come briciole sullo spartito è stato pienamente sviscerato.
La Marcia Funebre in particolare, è sembrata quasi guadagnare in asciuttezza e drammaticità dalla riduzione cameristica.
I due solisti – a mio gusto la versione è più efficace con un contralto, ma non è certo un problema – hanno cantato bene. Paul Schweinester è tenore di bella voce lirico leggera, partecipe e preciso, e allo stesso modo il baritono Jaka Mihelač è sembrato cosciente che nel Lied l’accento, lo scavo della parola, la dizione e la pertinenza stilistica sono fondamentali.
Alla fine successo pieno, con numerose chiamate all’…altare per tutta la compagnia artistica.


Arnold SchönbergVerklärte Nacht
Gustav MahlerDas Lied von der Erde (arrangiamento Schönberg)
  
DirettoreJonathan Stockhammer
  
TenorePaul Schweinester
BaritonoJaka Mihelač
  
Ensemble Dissonance

Salgo già sul trono aurato: la Winterreise di Schubert nella Sala del trono del Castello di Miramare. Bravissimi il tenore Blagoj Nacoski e il pianista Luca Ciammarughi nell’appuntamento organizzato dalla Società dei concerti di Trieste.

Ieri sera, presso la Sala del trono del Castello di Miramare a Trieste e nell’ambito della programmazione della Società dei Concerti, si è svolta una serata dedicata ai Lieder. Protagonista è stata la Winterreise (Viaggio d’inverno) di Franz Schubert su versi di Wilhelm Müller nell’interpretazione del tenore Blagoj Nacoski accompagnato al pianoforte da Luca Ciammarughi. Il ciclo di Lieder era già stato proposto dalla Società dei concerti qualche anno fa, ma nella versione per baritono, protagonista Matthias Goerne.
Ma cos’è un Lied? Letteralmente Lied significa canzone ma la traduzione non è certo sufficiente a darne una definizione compiuta. 
Il Lied nasce in Germania tra il dodicesimo e il quattordicesimo secolo per opera dei Minnesänger, i trovatori tedeschi, menestrelli o cantastorie che con nomi simili (trovador, trobador, trouvèr) storicamente ritroviamo in buona parte dell’Europa. 
Avete presente Il trovatore di Giuseppe Verdi? Ecco, proprio quello, che canta l’amor cortese sotto le finestre di Leonora, accompagnandosi col liuto. Si tratta perciò di musica popolare nel senso più ampio del termine, che col tempo ha assunto caratteristiche più nobili e raffinate grazie a compositori e poeti di livello altissimo. 
La seguente è una definizione di Lied, tratta da Musikalisches Lexicon di Heinrich Christoph Koch, un testo dei primi anni dell’Ottocento. Se ne deduce in tutta evidenza l’estrazione culturale “umile” di questa composizione musicale. 

Un componimento poetico lirico articolato in più strofe, fatto per essere cantato, e unito a una melodia che viene ripetuta per ciascuna strofa; e che è inoltre di natura tale da poter essere cantato da chiunque disponga di una voce normale e ragionevolmente flessibile, sia che abbia ricevuto una qualche istruzione in quest’arte oppure no. 

Schubert si dedicò al Lied con risultati straordinari per qualità e…quantità: ne compose infatti circa seicento.  
Di solito i Lieder sono scritti per pianoforte e voce e possono avere una vita propria, indipendente, come istantanee di una scena singola, oppure essere parte di un ciclo trattando un argomento. Inoltre esistono numerosi esempi di cicli di Lieder che godono di un’orchestrazione più ampia, si pensi solo ai Vier letzte Lieder (Quattro ultimi Lieder) di Richard Strauss. 
Nei Lieder il legame tra parola scritta e note è strettissimo: il canto spesso declamato, irrequieto, deve cogliere le sfumature e le atmosfere cangianti del testo poetico, che soprattutto nel romanticismo oscillano tra abissali introversioni e improvvise esaltazioni di stampo quasi bipolare. 
Il pianoforte è protagonista quanto la voce, non si limita all’accompagnamento ma anzi detta il carattere del brano in virtuosa collaborazione col solista. 
Sono moltissimi i compositori che si sono dedicati all’arte del Lied; solo per fare alcuni nomi cito Mozart, Brahms, Schumann, Beethoven, Berlioz, Wolf, Webern, Strauss. Allo stesso modo i più grandi cantanti di sempre si sono cimentati nell’interpretazione di questo genere musicale: dall’imprescindibile Dietrich Fischer-Dieskau a Fritz Wunderlich, da Elisabeth Schwarzkopf a Hans Hotter. 
La Winterreise è uno dei grandi capolavori del Romanticismo tout court e forse vale la pena ripercorrerne brevemente la genesi. 
Wilhelm Müller, poeta sassone oggi considerato minore – a torto o ragione – nell’universo del romanticismo tedesco, pubblicò tra il 1823 e il 1825 una raccolta di poesie intitolata Wanderlieder – Die Winterreise (Canzoni di un viandante – Il viaggio d’inverno). Risale ad alcuni anni prima, invece, la stampa di un altro celeberrimo lavoro, Die schӧne Müllerin (La bella mugnaia), che con la Winterreise ha un rapporto strettissimo. 
Il ciclo di Lieder fu composto da Franz Schubert in due momenti diversi, tra febbraio e ottobre del 1827 e pubblicato l’anno successivo. Il motivo di questa composizione differita va ricercato nella biografia del poeta e saggista Müller, il quale si scontrò con il governo a causa di uno scritto su George Byron che provocò la censura della rivista per la quale scriveva, di fatto impedendo al compositore di conoscere subito la seconda dozzina di poesie. 
Al centro della narrazione c’è la figura del Wanderer (Viaggiatore), che metaforicamente percorre l’inverno dell’anima prima ancora di quello della natura, in un turbinio polisemico di sentimenti anche contraddittori. Una natura che in qualche modo assume sfumature policrome e trasfigurazioni gotiche nei suoi elementi: gli animali, il vento, l’acqua possono essere oggetto di malcelate speranze o di abissi di sconforto. Il ciclo si spegne, ricco di domande sospese e risposte inespresse, nell’incontro con Der Leiermann (Il suonatore d’organetto), una figura enigmatica e ambigua, criptica.  
Per quanto sia una pagina musicale per voce e pianoforte, l’impatto è fortemente melodrammatico, tanto che – a mio parere inopportunamente – qualche volta la Winterreise è rappresentata in forma scenica. 
Una tentazione cui, per fortuna, si è sottratto Blagoj Nacoski, perché è proprio lui che “costruisce” la scena, in primis con un rapporto quasi carnale con lo spartito che tocca e sfiora e al quale talvolta si aggrappa traendone concentrazione e forza. 
Nacoski, più volte presente al Verdi di Trieste in quelle piccole parti da coprotagonista che rendono grandi le serate, ha carisma e sprigiona un’empatica energia vitale che in alcuni momenti è anche selvaggia, primitiva, ma in ogni caso strettamente legata a un’espressività a tutto tondo. La voce è tipicamente tenorile, ben timbrata, la tecnica di respirazione gli consente un legato di gran classe e allo stesso tempo un fraseggio vario e incisivo, condicio sine qua non per il genere musicale in questione.
Anche dal punto di vista psicologico la Winterreise è complessa da restituire e Nacoski sceglie una lettura ad ampio spettro comunicativo: tempi rilassati si alternano a furori apprensivi che danno risalto alle pause tra un Lied e l’altro e contribuiscono a tenere desta la tensione emotiva del pubblico e dell’artista.  
Molto bravo anche Luca Ciammarughi, ineccepibile dal punto di vista tecnico, che ha assecondato con perizia la movimentata e personalissima interpretazione di Nacoski. 
Alla fine successo strepitoso per entrambi, con numerose chiamate al proscenio da parte di un pubblico attento e partecipe. Da serate così si esce esausti, ma felici di aver condiviso un’esperienza intensa come poche. 
 
 

Un Mahler cameristico al Festival di Lubiana. Qualche perplessità sulla distribuzione dei brani non inficia una serata assai gradevole.

Continuano le mie trasferte al Festival di Lubiana e gli esiti artistici sono sempre felici, nonostante qualche distinguo.

Come sottolineato più volte il Festival di Lubiana, giunto alla 70esima edizione, si caratterizza sia per la presenza di noti artisti e grandi orchestre sia per l’ampia presenza sul territorio della capitale slovena anche al di fuori del circuito delle sale da concerto e dei teatri.
La serata di stasera ne è stata ulteriore conferma, perché si è svolta in una chiesa, la barocca Križevniška Church (Nostra Signora dell’aiuto), gremita sino al limite della capienza da spettatori di varia estrazione sociale e culturale: si andava dal turista di passaggio al critico, dall’appassionato di musica sinfonica al giovane curioso. Un’istantanea di cosa dovrebbe essere la cultura nel suo senso più nobile, un mezzo che unisce genti diverse nel nome dell’Arte e della bellezza.
La serata era dedicata a Gustav Mahler, qui colto in due tra le sue composizioni più famose e quasi coeve: il ciclo dei Rückert-Lieder e la Sinfonia n.5 in do diesis minore. Entrambe le pagine musicali erano arrangiate per orchestra da camera – circa una ventina di elementi – rispettivamente da Eberhard Kloke (Lieder) e Klaus Simon (Sinfonia).
Una proposta raffinata e interessante ma che è stata proposta in modo discutibile e cioè alternando i Lieder ai movimenti della sinfonia, circostanza che ha tolto continuità di narrazione e quindi partecipazione emotiva a entrambe le composizioni.
Brillante, invece, l’esecuzione da parte dell’Ensemble Dissonance, una formazione orchestrale mista che accoglie elementi di varie compagini locali, tra cui Kana Matsui che è il Konzertmeister delle due principali orchestre slovene.
Sul podio c’era Jonathan Stockhammer il quale, dosando con attenzione le dinamiche considerata la particolare acustica della chiesa e l’organico ridotto, è riuscito a essere efficace sia nell’interpretazione della sinfonia sia nell’accompagnamento cameristico dei Ruckert-Lieder.
Ovviamente, alcuni passaggi dell’iniziale Trauermarsch sono stati penalizzati per mancanza di…polpa orchestrale ma era inevitabile. Al contrario, l’Adagietto è uscito scandalosamente commovente anche grazie alla bravura dei professori d’orchestra che sono tutti da elogiare, con un particolare cenno di merito alle percussioni e alla tromba.
Per quanto riguarda Nika Gorič, giovane artista slovena in ascesa, spendo volentieri parole di sincera ammirazione.
Elegante nella figura e nel portamento, raffinata nel porgere la parola, dotata di una bella voce di soprano leggero screziata da sfumature ombrose e di acuti saldi e penetranti, è sembrata perfettamente a proprio agio nella difficile tessitura dei Lieder. Inoltre, Gorič è artista moderna, capace di accentuare e valorizzare con una mimica di classe gli alterni sentimenti del tardo romanticismo mahleriano.
Alla fine successo calorosissimo per tutti, con Stockhammer e Gorič chiamati più volte alla ribalta e festeggiati anche dall’orchestra.

Gustav MahlerSinfonia n.5 in do diesis minore
Gustav MahlerRückert-Lieder
  
DirettoreJonathan Stockhammer
SopranoNika Gorič
  
Ensemble dissonance

Una Liederabend in casa grazie a un trio tutto al femminile.

Una decina di giorni fa, per la rassegna “Aperitivo Classico al DoubleTree by Hilton” patrocinata dall’Associazione Chamber Music e curata dal direttore artistico Fedra Florit, si è svolta una matinée di musica cameristica e liederistica. Protagoniste le tre interpreti dell’interessante compact “Le son du cor” di cui vado a scrivere.
Laura Menegozzo (viola), Hiromi Arai (pianoforte) ed Elif Canbazoğlu (mezzosoprano) formano un trio al femminile che si caratterizza per scelte di repertorio non banali e una solidissima preparazione tecnica.
Con l’unica eccezione di Johannes Brahms, Il disco è un viaggio che raccoglie alcune pagine musicali di compositori tutti nati nella seconda metà dell’Ottocento che hanno messo in musica i versi di poeti diventati icone di movimenti culturali diversi: dai poètes maudit come Baudelaire e Verlaine ai romantici Rückert e Heine, passando, tra gli altri, per Shelley e Goethe.
Ma chi sono questi compositori?
Oltre ai celeberrimi Brahms e Richard Strauss – rappresentato con il Lied Morgen! – compaiono Charles Martin Loeffler, Frank Bridge, Adolf Georg Wilhelm Busch e Joseph Marx, tutti di formazione anglotedesca e a loro volta solisti, quando non virtuosi, di uno strumento.
L’atmosfera generale è quella, intima e raccolta, della Liederabend che a chi scrive manca molto, soprattutto dopo un anno e mezzo di quasi totale astinenza teatrale.
L’amalgama tra le artiste è davvero encomiabile e l’ascolto piacevolissimo, anche per le belle doti del mezzosoprano Canbazoğlu, che può contare su una voce calda e educata, screziata da qualche nuance sombre che ben si addice ai versi poetici.
La pianista Arai lavora sottotraccia, ma con grande tocco e sensibilità dinamica, mentre Laura Menegozzo fa cantare mirabilmente la sua viola.
Registrato a Trieste presso l’Auditorium della Casa della musica nello scorso settembre, il compact è disponibile su numerosi negozi online.

Charles Martin Loeffler
  

4 Poèmes Op.5
  

Frank Bridge
  

Three songs for medium voice, viola and piano H.76
  

Adolf Georg Wilhelm Busch
  
3 Lieder Op.3a 
 
Joseph Marx
 
Durch Einsamkeiten
 
Johannes Brahms
 
Gesange Op.91
 
Richard Georg Strauss
 
Morgen!
 
ViolaLaura Menegozzo
PianoforteHiromi Arai
MezzosopranoElif Canbazoğlu
  

Serata dedicata a Richard Strauss al Teatro Nuovo Giovanni da Udine: Robert Trevino e l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai incantano.

Non credo che una pagina musicale o un compositore piacciano per caso, penso che dietro ci sia qualcosa, un percorso anche turbolento e spesso ignoto, una specie di fiume carsico di cui qua e là riaffiorano tracce dall’inconscio o comunque da un vissuto nascosto o dimenticato.

Per me la musica di Strauss è così, inquietante e un po’ misteriosa perché mi si propaga in territori che conosco poco oppure, forse, desidero non indagare troppo. Non vorrei che pensaste che mi stia dando delle arie da intellettualone, mi succede anche con Islands dei King Crimson o A love supreme di John Coltrane.
Però l’altra sera, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, era in programma un concerto di musiche di Richard Strauss e perciò di quelle sensazioni voglio scrivere.
La serata prevedeva, in apertura, gli splendidi Vier letzte Lieder (Quattro ultimi lieder) interpretati dal soprano Dorothea Röschmann assieme all’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, guidata per l’occasione dal giovane direttore emergente Robert Trevino.
La pagina è un vero e proprio testamento musicale e, in questo senso, avrei preferito che fosse posta a conclusione del concerto, dopo l’adrenalinica Eine Alpensinfonie (Sinfonia delle Alpi). La diversa collocazione avrebbe risposto a un’intima esigenza, perché avrei ripercorso virtualmente un itinerario reale: quello delle mie escursioni in montagna, spesso faticose ed esposte alla variabilità delle condizioni atmosferiche. Uscite che mi costano sempre più fatica sia fisica sia psicologica perché, diciamolo dai, sto invecchiando. Poi, appunto, quando torno a casa, mi metto lì ad ascoltare qualcosa che rimpingui l’appagante svuotamento da fatica virtuosa e risanatrice del corpo e di quel po’ di anima che mi resta.
Dorothea Röschmann ha tutte le caratteristiche per cantare questi Lieder, ma nell’occasione le sono mancati un po’ di morbidezza e velluto vocale per rendere al meglio il fluire incessante delle note. Eccellente, invece, il fraseggio, il dire sempre eloquente accompagnato da una composta sobrietà di fondo da grande interprete.
Grandiosa la prestazione dell’orchestra guidata da Trevino che con gesto disinvolto e sicuro ha pennellato di colori malinconici, autunnali, una partitura che davvero sembra un quadro di Monet o Gauguin.
Per quanto riguarda la successiva Eine Alpensinfonie se possibile le cose sono andate ancora meglio. Non mi soffermo neanche sulla nota difficoltà esecutiva di una pagina che pretende un organico orchestrale impressionante, in cui le percussioni hanno un rilievo peculiare e che oltretutto necessita di corni, trombe e tromboni fuori scena. Voglio dire che basta un niente per servire un piatto indigesto, in cui i gusti non si distinguono confusi in un magma sonoro indistinto, quasi soffocante.
Robert Trevino, invece, è riuscito a lavorare di cesello anche in questo caso, calibrando, probabilmente durante le prime due tappe della breve tournée, un colore scuro, tempestoso e al contempo radioso degli archi gravi e un equilibrio perfetto tra le varie sezioni orchestrali. La macchina del vento, quella del tuono, i campanacci, il glockenspiel e l’organo hanno poi fatto il resto.
Tutti sanno che si tratta di musica descrittiva e qualche volta la definizione suona come una diminutio ma, in questo caso, si è imposta solo la bellezza: quella delle montagne e l’altra, delle vette del genio di Richard Strauss.
Successo pieno del concerto, ovazioni a non finire e Trevino che, giustamente, ha voluto dividere il trionfo con l’orchestra.

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Il Festival di Lubiana si è chiuso con gli aforismi sonori di Webern e Berg.

Non è certo musica facile, quella di Webern e Berg, ma il pubblico ha apprezzato e il festival si è chiuso in bellezza. Leggi il resto dell’articolo

Tra Paganini e Mahler, al Teatro Verdi compaiono due grandi della musica di tutti i tempi, per non parlare di Paganini.

Come ho titolato, spero efficacemente, su OperaClick, ieri sera al Teatro Verdi aleggiava uno spirito ed era, indovinate un po’, quello di Jimi Hendrix!
Ora invece, mentre mi sto stendendo questa piccola introduzione alla cronaca di ieri sera, è il momento di ricordare che oggi 14 ottobre, nel 1990, ci lasciava per sempre Lenny Bernstein, che di Gustav Mahler è stato uno dei più grandi intrepreti di cui ci sia traccia.
Io continuo ad adorare entrambi questi due giganti, e spero che l’accostamento non suoni irrispettoso per nessuno dei miei happy few. Sono due delle tante facce di questo blogger che si chiama Amfortas aka Notung aka Paolo Bullo.
So che mi amate (?) anche per questo.
Un saluto a tutti!

Dopo la sosta della settimana scorsa, dovuta alla furiosa sarabanda della regata Barcolana che monopolizza la città fagocitando l’interesse per qualsiasi altro evento, al Teatro Verdi è ripresa la stagione sinfonica. E, lo sottolineo subito, teatro finalmente affollato come dovrebbe essere sempre.
Gli Angeli e demoni – tema conduttore di quest’anno – avevano per l’occasione l’aspetto sulfureo di Niccolò Paganini e quello soave di Gustav Mahler colto in una delle opere più morbide, anche se io definirei più realisticamente ambigua la sua Quarta sinfonia.
Di Paganini mi piace ricordare un’istantanea del grande Heinrich Heine il quale, nelle Florentinische Nächte, descrive così il musicista durante un’esibizione:

Dietro a lui s’agitava uno spettro, la fisionomia del quale rivelava una beffarda natura di caprone e talvolta vedevo due lunghe mani pelose (le sue, pareva) toccare le corde dello strumento suonato da Paganini. Talvolta esse gli guidavano pure la mano onde reggeva l’arco e risate belanti d’applauso accompagnavano i suoni che sgorgavano dal violino sempre più dolorosi e cruenti. Leggi il resto dell’articolo

Divulgazione sconsiderata della musica lirica: Tristan und Isolde, ovvero di quello che non si può dire né scrivere.

Anche per un perfect wagnerite – nel mio caso wagneriano fradicio sembra più appropriato – non è agevole dire due parole su Tristan und Isolde, titolo impegnativo che il Teatro Verdi presenta al pubblico in una nuova produzione autoctona.
Tale è infatti la complessità dell’opera che trovare un focus è impresa ardua.
Ci provo, abbiate pietà.

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A Trieste ancora una bella serata dedicata al Lied.

Altra recensione, questa volta di un concerto di canto, a cui seguira dopodomani la cronaca della serata alla Società dei concerti.
Poi fermerò i motori per ritemprarmi prima della salita alla Cima Coppi di quest’anno, impegnativa soprattutto dal punto di vista emozionale, almeno per me.
Un saluto a tutti! Leggi il resto dell’articolo