Di tanti pulpiti.

Dal 2006, episodiche esternazioni sulla musica lirica e amenità varie. Sempre tra il serio e il faceto, naturalmente. #verybullo

Recensione avvelenata di Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti al Teatro Verdi di Trieste: una grande Carmela Remigio impreziosisce una bella sera di teatro.

In realtà, ad avvelenarsi – inutilmente peraltro – sono stati solo alcuni loggionisti, i quali, dal momento che sono stanziali e non escono dagli angusti spazi del Verdi di Trieste, del teatro lirico moderno hanno una visione ristretta.
So già che nei prossimi giorni ci saranno polemiche ma io esorto il management del Verdi a proseguire sulla strada di una intelligente innovazione. Solo in questo modo si può garantire il ricambio del pubblico: la qualità dei cantanti e l’originalità degli allestimenti sono fondamentali. E, se qualcuno s’arrabbia, pazienza (strasmile).

Dal mio punto di vista, Lucrezia Borgia di Donizetti è l’appuntamento più importante della stagione del Teatro Verdi, assieme al prossimo Boris Godunov che esordirà in febbraio.
Il capolavoro donizettiano è tornato a Trieste da dove mancava addirittura dal 1871, con un allestimento affidato alla regia di Andrea Bernard e coprodotto dalla fondazione triestina con il Festival Donizetti di Bergamo, dove ha avuto luogo la prima nello scorso settembre.Quando Donizetti, nel 1833, decise di trarre un’opera dalla tragedia Lucrèce Borgia di Victor Hugo, dovette scendere a patti non solo con la censura ma anche con le bizze della primadonna designata, Henriette Méric-Lalande, che accampò pretese da diva com’era prassi a quel tempo.
Si parva licet anche questa produzione, ovviamente solo dal punto di vista del Konzept, sembra cucita su misura per Carmela Remigio.
Infatti, la caratterizzazione della protagonista è molto lontana dalla figura della cinica e luciferina avvelenatrice che è patrimonio dell’immaginario collettivo; al contrario il regista cerca di indagare le debolezze e le fragilità di una donna e di una madre travolta dagli eventi.
Seguo sin dagli esordi Carmela Remigio – eccellente Marguerite nel Faust di Gounod nell’ultima esibizione triestina – e credo che un personaggio troppo “cattivo” non sarebbe stato nelle sue corde né per temperamento né per la naturale dolcezza ed empatia che la caratterizza.
Sono trattati in modo più convenzionale ma non banale, invece, tutti gli altri protagonisti.
L’atmosfera cupa e tetra della tragedia è demandata alle scene minimaliste ed efficaci di Alberto Beltrami e, soprattutto, al lugubre impianto luci di Marco Alba, che innerva di tensione ansiogena lo spettacolo e ne sottolinea splendidamente il percorso narrativo. La regia cura con lodevole attenzione le interazioni tra i personaggi, esplicitando in modo palese l’ambiguo rapporto tra Gennaro e Maffio Orsini e la violenza psicologica e fisica tra Don Alfonso e Lucrezia. Qualche caduta di gusto, a parer mio, si rileva solo nel comportamento eccessivamente sopra le righe dei coprotagonisti, impegnati continuamente in confusi contorcimenti a metà tra la lotta greco romana e il pornosoft.
Dal punto di vista musicale il direttore, Roberto Gianola, sembra preoccuparsi più di tenere correttamente insieme buca e palco che di interpretare davvero la partitura: credo che le tensioni interne al teatro, sfociate in una inaspettata protesta sindacale che ha fatto slittare di mezz’ora l’inizio della prima, non siano del tutto estranee a tale atteggiamento. La musica di Donizetti, che descrive perfettamente le peculiarità caratteriali dei personaggi tra irose esplosioni e giovanili ardori, ne esce un po’ appiattita. Peraltro, i concertati sono sembrati condotti con buoni risultati e l’accompagnamento dei cantanti ben curato nelle dinamiche mai soverchianti.
L’Orchestra del Verdi, a parte qualche attacco non felicissimo dei corni, suona da par suo e cioè bene, con quella pulizia adatta al melodramma romantico della prima metà dell’Ottocento.
Un’opera come Lucrezia Borgia per dirsi riuscita necessita di un autorevole supporto dei personaggi minori, e perciò va detto subito che tutte le parti di contorno – che trovate in locandina – sono state interpretate con grande efficacia sia dal lato vocale sia da quello scenico. Buona anche la prestazione del Coro, impegnato sul palco come non si vedeva da tempo.
Carmela Remigio è una belcantista, e da tale risolve la parte. Chi s’aspettava una Borgia assatanata e tragicamente fosca – sullo stile di una Gencer, tanto per fare un esempio – ne sarà rimasto deluso. Ma il soprano, al contrario, è stata capace di un’ottima prova perché senza eccessi e affidandosi solo all’accento e alla tecnica ha delineato una protagonista di rilievo. L’emissione omogenea, la perfetta padronanza della respirazione, le hanno consentito una linea di canto pulita e un legato d’alta scuola. Il fraseggio è sembrato sempre vario e consapevole, la recitazione composta e stilisticamente appropriata. Messe di voce, acuti, padronanza del palco, intonazione adamantina: la sua Lucrezia Borgia mi è sembrata convincente sotto ogni punto di vista e ha, giustamente, raccolto applausi anche a scena aperta.
Molto buona anche la prestazione di Stefan Pop nella parte di un Gennaro vigoroso, effervescente di baldanza giovanile e di infuocate lacerazioni. La voce ha un bel colore brunito ma rimane solare ed empatica, la salita agli acuti è piuttosto facile e il personaggio esce a tutto tondo anche perché il tenore riesce a fraseggiare con proprietà d’accento anche nei non pochi momenti di disagio psicologico dello sfortunatissimo Gennaro.
Convincente Dongho Kim nei panni del feroce e ambiguo Don Alfonso. L’artista può fare conto su di uno strumento sonoro e piacevole, forse di timbro più baritonale che da basso cantante, ma si dimostra anche all’altezza per fraseggio e dizione. Rimarchevole l’intesa con Carmela Remigio nel lungo e drammatico duetto del primo atto.
Per me Cecilia Molinari, Maffio, è stata una gradevole sorpresa. Voce di schietto timbro contraltile, magari non particolarmente dotata di volume, dizione perfetta, la Molinari si è fatta apprezzare per accento e vigorosa incisività sia dal lato vocale sia da quello scenico, caratteristiche che hanno reso vivo e palpitante un personaggio particolarmente insidioso.
Alla fine il pubblico, non proprio strabordante, ha decretato un ottimo successo a tutta la compagnia artistica. Qualche sonora contestazione – a parer mio totalmente ingiustificata – è stata riservata alla regia.
Si replica sino a sabato prossimo alternando due cast, mi sento di consigliare questa produzione a chi ama il teatro lirico.
(Foto di Fabio Parenzan)

Lucrezia Borgia Carmela Remigio
Don Alfonso Dongho Kim
Gennaro Stefan Pop
Maffio Orsini Cecilia Molinari
Jeppo Liverotto Motoharu Takei
Don Apostolo Gazella Rustem Eminov
Ascanio Petrucci Dario Giorgelè
Oloferno Vitellozzo Dax Velenich
Gubetta Giuliano Pelizon
Rustighello Andrea Schifaudo
Astolfo/una voce da dentro Giovanni Palumbo
Un coppiere/un usciere Roberto Miani
Direttore Roberto Gianola
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Coreografie e movimenti scenici Marta Negrini
Luci Marco Alba
Maestro del coro Francesca Tosi
Orchestra, coro e tecnici del Teatro Verdi di Trieste

 

15 risposte a “Recensione avvelenata di Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti al Teatro Verdi di Trieste: una grande Carmela Remigio impreziosisce una bella sera di teatro.

  1. Don José 18 gennaio 2020 alle 2:33 PM

    Totalmente d’accordo con te, soprattutto sulla maiuscola prestazione dei due protagonisti. E la Remigio(vista recentemente a Venezia quale Desdemona e Liu’ non del tutto convincenti) mi ha rapito con la sua interpretazione scenica&vocale!!

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  2. Amfortas 18 gennaio 2020 alle 4:18 PM

    Don, ciao. Semplicemente uno dei migliori spettacoli che si siano visti al Verdi negli ultimi anni, tutto qui 😀

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  3. Andrea Burro 19 gennaio 2020 alle 3:12 PM

    Salve, l’opera è bellissima e in generale si può dire che questo allestimento abbia reso per lo
    più giustizia al genio di Donizetti. Alla prima ho trovato tuttavia l’orchestra approssimativa e poco a fuoco soprattutto negli ottoni. Molto meglio nella seconda parte in cui evidentemente le cose hanno quadrato meglio. Unico neo veramente imperdonabile, la scelta di rinunciare alla banda fuori scena, cosa che ha totalmente falsato i vari piani sonori previsti dall’autore.Gli interventi della banda posti in buca sono veramente orrendi e suonano miseri al limite del ridicolo. È stata una scelta dettata da esigenze di risparmio? È un mio errore e la partitura così li prevede?
    Saluti
    Andrea

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    • Amfortas 19 gennaio 2020 alle 3:56 PM

      Ciao Andrea, come ho notato anch’io l’orchestra non era proprio al top, ma credo che le ragioni siano da cercare nel clima teso che c’era in teatro. Quanto alla banda, non saprei risponderti: mi pare che nelle precedenti tappe della produzione, a Bergamo e forse Modena o Reggio, fosse eseguita come previsto.
      Ciao e grazie!

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  4. Sergio 19 gennaio 2020 alle 8:52 PM

    Concordo totalmente su quanto da lei espresso. Allo spettacolo di domenica pomeriggio pubblico numeroso e calorosissimo successo, a mio modestissimo avviso meritatissimo. Sono un po’ più’ critico su scene e regia, ad es. il maneggiare mazze e palline da golf mi sembra una forzatura inutile e fine a se stessa.

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  5. Furio Petrossi 19 gennaio 2020 alle 11:21 PM

    Apprezzatissimi i cantanti (ho sentito di problemi con l secondo cast). La Remigio ha reso bene i diversi aspetti del carattere di Lucrezia. Le scene non hanno creato problemi in loggione. E’ stata date una chiave di lettura psicologica, con il rettangolo della culla come parte della mente di Lucrezia, parte a volte invasa e schernita, ma difesa come forse unico appiglio di umanità in una donna di potere. Il rapporto iniziale con il figlio che la corteggia è molto edipico.
    Musicalmente, ma solo a me, ha dato fastidio la cabaletta tra Gennaro e Orsini: di solito il contrasto tra una musica sostenuta / allegra e il contenuto drammatico delle parole (si promettevano eterna amicizia) fa effetto, mentre qui era gigionesco.
    Inferno, Purgatorio, Paradiso o il contrario? Mah!
    Comunque finalmente il nuovo avanza! (anche se ha quasi 190 anni…)

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  6. Amfortas 20 gennaio 2020 alle 9:38 am

    Ciao Furio, del secondo cast non ho ricevuto notizie, in compenso concordo con la tua breve disamina. Non ho capito in che senso ti abbia dato fastidio il duetto…
    Per quanto riguarda le sporadiche contestazioni alla prima credo si sia trattato, più che altro, di una puerile manifestazione di identità. Non hanno contestato la regia di Aida che gridava vendetta, suvvia. Cosa vuoi che ne capiscano, di teatro lirico?
    Ciao e grazie, Paolo

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    • Furio Petrossi 20 gennaio 2020 alle 6:48 PM

      Si tratta solo di una sensazione personale: sono abituato nei casi in cui due amici giurano di vivere e combattere insieme accompagnati da una musica veloce (Don Carlo, Puritani…) ad avere una interpretazione in cui i due “credono veramente” a quello che dicono; mi è sembrato, anche grazie al ridicolo libretto “Qual due fiori a un solo stelo…” che invece l’interpretazione sia qui stata “da compagnoni” che sapevano di dirla grossa; sarebbe legittimo. Magari è stata solo una mia sensazione, dovuta appunto al libretto.
      Per un paragone
      https://youtu.be/jBSJ3vupnG4?t=5960 .
      Comunque i cantanti sono riusciti a sostenere l’opera, che ha un libretto piuttosto ingarbugliato.

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      • Amfortas 20 gennaio 2020 alle 8:01 PM

        Ok, ho capito. A me piace molto il duetto, sinceramente. E poi è una di quelle amicizie ambigue, che nell’opera lirica compaiono con una certa frequenza: Don Carlo/Posa e Nadir/Zurga tra gli esempi più eclatanti.
        Ciao e grazie, Paolo

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  8. Pier 22 gennaio 2020 alle 12:42 am

    Caro gemello, confesso di aver visto per la prima volta la Lucrezia Borgia questa sera (questo te la dice lunga sulla mia competenza in fatto di melodramma). Abbiamo avuto la fortuna di avere il cast della prima, quindi concordo al cento per cento con il tuo commento sugli interpreti, Remigio e Pop in testa. Musicalmente una vera piacevolezza, anche l’orchestra mi è sembrata molto in forma.
    Non sarei così entusiasta per l’ambientazione. Minimalista va bene, cupa va bene, ma l’impervia scenografia ha ospitato una messinscena che a volte ha sfiorato il grottesco. I dispositivi meccanici mi affascinano sempre (penso alla Tosca di Milano) ma qui il traballante sandwich luminoso ha fatto da supporto ad un simbolismo non sempre riuscito, con movimenti spesso fine a se stessi. Sull’iperattività dei coprotagonisti hai già detto tu.
    Comunque rappresentazione che ha meritato i lunghi e calorosi applausi (tra cui i nostri) a fine opera per salutare i bravissimi interpreti e il direttore. Ehm, nessuno dello staff registico si è presentato sul palco.

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  9. Amfortas 22 gennaio 2020 alle 9:32 am

    Ciao Pier, felice che lo spettacolo ti sia piaciuto nel complesso. Non esiste un allestimento perfetto, o meglio è piuttosto raro che succeda che sia tutto ok. Io stesso di serate perfette ne ricordo poche in tanti anni di militanza: un Don Giovanni, un Affare Makropulos, una Katia Kabanova, qualche Wagner sparso, un Boccanegra sono i primi che vengono in mente nel triangolo Lubiana, Scala, Venezia e teatri esteri.
    Di solito lo staff registico torna ai patri lidi dopo la prima, è piuttosto difficile che restino sul luogo del delitto.
    Quest’anno sono 65, ti ricordo. Boh.
    Ciao, Paolo

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